Oggigiorno fare la rivoluzione vuol dire tirare il freno di emergenza di L.Boff

Leonardo Boff, Teologo/Filosofo
Ricevuto dall’autore e tradotto da Romano Baraglia

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Si attribuisce a Carlo Marx una frase pertinente: “Si fanno soltanto le rivoluzioni che si fanno”. Vale a dire, la rivoluzione non configura un atto soggettivo e volontaristico, così non appena avviene, è subito sconfitta per essere immatura e per mancanza di consistenza.

La rivoluzione avviene quando le condizioni della realtà sono obiettivamente mature e simultaneamente esiste nei gruppi umani la volontà soggettiva di volerla. Allora essa irrompe con possibilità sempre garantita, di vincere e consolidarsi. Attualmente noi avremmo tutte le condizioni obiettive per una rivoluzione. Il termine “rivoluzione” è inteso qui in senso classico, come un cambiamento dei fini generali di una società che crea i mezzi adeguati per raggiungerli, il che implica cambiamento delle strutture sociali, giuridiche, economiche e spirituali di detta società. Il degrado generale in quasi tutti gli ambiti, specialmente nella struttura naturale che sostiene la vita è così profondo che anche solo per questo ci sarebbe bisogno di una rivoluzione radicale. Se no, potremmo arrivare troppo tardi e assistere a catastrofi ecologico- sociali di magnitudine mai vissute prima dalla storia umana.

Ma non esiste ancora, tra “i padroni del potere” la coscienza collettiva di questa urgenza. E nemmeno la vogliono. Preferiscono mantenere il loro potere sia pure col rischio di soccombere in un eventuale Armageddon. Il Titanic sta affondando ma la loro ossessione per il guadagno è così grande che continuano a comprare e a vendere gioie come se niente stesse succedendo.

Generalmente le “rivoluzioni”, come frequentemente si pratica in Brasile, sono fatte dai potenti che si mettono in prima fila dicendo: ‘Facciamo la rivoluzione’ prima che la faccia il popolo. Naturalmente non si tratta di una rivoluzione, ma di un golpe classista, con l’uso delle forze armate a questo scopo come nel caso della “rivoluzione del 1964″. Questi vincitori hanno i loro accoliti che ne cantano le lodi, gl’innalzano monumenti, danno il nome dei golpisti a strade, ponti e piazze come ancora si può vedere in Brasile.

Raramente la storia dei vinti viene scritta. La loro memoria è spenta ma questa memoria viene a galla con una forza di denuncia pericolosa. È merito dello storiografo messicano Miguel Leòn-Portilla quello di narrare il rovescio “della conquista dell’America Latina fatta dagli iberici”. Raccoglie le testimonianze fulminanti delle vittime aztecas, Maya e Incas. In portoghese è stato tradotto col titolo «A conquista da America latina vista pelos indios” (Vozes, 1987). Vediamo soltanto una testimonianza di parte indigena in occasione della presa di Tratelolco vicina a Tenochtitlan, attuale Città del Messico. E’ semplicemente da mettersi a piangere: per le strade giacciono dardi spezzati; capelli sparsi; case senza tetto; incandescenti i loro muri; vermi abbondano nelle strade e piazze e le pareti macchiate da cervella sfracellate, rosse sono le acque come se qualcuno le avesse tinte; abbiamo mangiato erba al salnitro, frammenti di mattoni, lucertole, topi, polvere di terra, più i vermi (Miguel Leòn-Portilla 41).

Tali tragedie ci pongono una domanda mai risposta in modo soddisfacente se ha senso la storia? Senso per chi? Ci sono interpretazioni di tutti tipi, dai pessimisti che vedono la storia come sequenza di guerre, assassinii e massacri, agli ottimisti, come quella degli illuministi che pensavano alla storia come crescita in direzione del progresso senza fine e di società sempre più civili.

Le due guerre mondiali, quella del 1914 e quella del 1939 e quelle fatte dopo hanno fatto più di duecento milioni di vittime e hanno polverizzato questo ottimismo. Oggi nessuno può dire in quale direzione camminiamo: neanche i santi e saggi Dalai Lama e Papa Francesco. Ma gli eventi si succedono in tutta la loro ambiguità alcuni pieni di speranza altri spaventosi.

Io dichiaro mi iscrivo nella tradizione giudaico-cristiana che afferma: la storia può essere pensata a partire da due principi: quello della negazione del negativo e quello del compimento delle promesse. La negazione del negativo vuol dire: il criminale non trionferà sulla vittima. Il negativo della storia non ne detiene il senso definitivo. Al contrario il “Creatore asciugherà ogni lacrima dagli occhi; la morte non esisterà più; non ci saranno più lutti, né pianto, né fatica perché tutto questo è già passato (Apc 21,4)”.

Il principio del compimento delle promesse sostiene: “Ecco, io rinnovo oggi tutte le cose. Ci sarà un nuovo cielo e una nuova terra, Dio abiterà tra noi, tutti i popoli saranno popolo di Dio (Apc 21,5; 1 e 3). È la speranza immortale della tradizione biblica, che non scompariva nemmeno quando gli ebrei venivano portati dai nazisti alle camere a gas per lo sterminio.

Con riferimento alla situazione attuale rammento una frase di Walter Benjamin citata da un suo studioso, Lowy: “Marx aveva detto che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia mondiale. Ma forse le cose si presentano in modo completamente differente. È possibile che le rivoluzioni costituiscano l’atto dell’umanità che viaggia in quel treno, di tirare il freno di emergenza; (Walter Benjamin: Avviso di incendio, Boitempo, 2005, pg 93-94). Il nostro tempo è di spingere i freni prima che il treno si schianti a fine corsa.

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Ci troviamo su un volo cieco: dove andiamo?

Leonardo Boff, Teologo/Filosofo
Ricevuto dall’autore e tradotto da Romano Baraglia

Chi ha letto i miei due articoli anteriori «Il funesto impero mondiale delle corporazioni» e «Una governance globale della peggior specie: i mercanti», avrà tratto di sicuro le conclusioni che nell’unica nave spaziale-Terra, i suoi passeggeri viaggiano in condizioni totalmente differenti. Un piccolo gruppo di super-ricchi ha occupato per sé la prima classe, con un lusso scandaloso; altri fortunati viaggiano ancora in classe economica sono serviti in modo decente quanto al mangiare e bere. Il resto dell’umanità, milioni e milioni, viaggia insieme ai bagagli, esposto a temperature di decine di gradi sotto zero, mezzo morti di fame, di sete e di disperazione. Danno pugni sulle pareti di quelli di sopra, gridando: “O condividiamo quello che abbiamo in questa unica nave spaziale oppure, a un certo punto,mancherà il combustibile, nessuna importanza avranno le classi, moriremo tutti”. Ma chi li ascolterà? in realtà, ci siamo persi in un volo cieco. Come abbiamo fatto ad arrivare a una situazione così minacciosa?

Abbiamo sperimentato due modelli di produzione e di utilizzazione dei beni e servizi naturali per soddisfare le richieste dell’umanità: il socialismo e il capitalismo. Tutti e due hanno fallito. Il sistema di socialismo reale era un’economia programmata statale, centralizzata. È arrivata a livelli ragionevoli di uguaglianza-equità in settori come Educazione, Sanità, Abitazione, ma per ragioni interne e esterne, soprattutto per il suo carattere dittatoriale non è riuscito a risolvere le sue contraddizioni ed è collassato.

Anche il sistema capitalista neoliberale di libero mercato con modesto controllo dello Stato è fallito per una sua logica interna, quella di accumulare in forma illimitata beni materiali senza nessun’altra considerazione. Ha creato due ingiustizie gravi: una sociale, fino al punto che il 20% dei più ricchi controlla l’82,4% delle ricchezze della Terra e il 20% dei più poveri si dovevano accontentare dell’1,6%; una ingiustizia ecologica, con interi ecosistemi devastati, e con l’eliminazione di specie di esseri viventi nell’ordine tra le 70 mila e le 100 mila all’anno. Questo sistema si è collassato nel 2008, esattamente nel cuore dei paesi centrali.

Il comunismo cinese è sui generis: pragmaticamente mette insieme tutti i modi di produzione, dall’uso della forza fisica delle persone, degli animali, fino alla più alta tecnologia articolando la proprietà statale con quella privata o mista, purché il risultato finale sia una maggior produzione con un minimo di senso di giustizia sociale ed ecologica.

È importante riconoscere che sta crescendo la convinzione ben fondata che il sistema-Terra reagisce ogni volta in modo sempre più violento: cambiamenti climatici bruschi, uragani, stunamis, disgelo, spaventosa desertificazione, erosione della biodiversità e riscaldamento globale che non cessa di aumentare. Quando si fermerà questo processo? E se continua, dove ci porterà? Siamo stimolati a cambiare rotta, vale a dire, assumere nuovi principi e valori, capaci di organizzare in forma amichevole la nostra relazione con la natura e con la Casa Comune. Il documento più ricco di suggerimenti è certamente la Carta della Terra, nato da una consulta mondiale durata otto anni sotto l’ispirazione di Michail Gorbach e approvata dall’UNESCO nel 2003. Questo incorpora i dati più certi della nuova cosmologia che mostrano la Terra come un momento di un vasto universo in evoluzione, viva e dotata di una complessa comunità di vita. Tutti gli esseri viventi sono portatori di dello stesso codice genetico di base, in modo che tutti sono parenti tra di loro.

Quattro principi portanti strutturano il documento: rispetto e cura della comunità di vita (1); integrità ecologica(2); giustizia sociale e economica (3), democrazia, non-violenza e pace (4). Con severità avverte: “O formiamo un’alleanza globale per curare la Terra e aver cura gli uni degli altri, oppure arrischiamo la nostra distruzione e quella della diversità della vita” (preambolo).

Le parole finali e il documento sono un appello per una ripresa dell’umanità: “Come mai avvenuto nel passato, il destino comune ci richiama tutti insieme per un cominciamento. Questo richiede una trasformazione profonda nella mente e nel cuore. Richiede un nuovo senso di interdipendenza globale e di responsabilità universale. Solo così raggiungeremo un modo di vita sostenibile a livello locale, regionale, nazionale e globale” (Conclusione).

Si noti che non si parla di riforme, ma di un nuovo cominciamento. Si tratta di reinventare l’umanità. Tale proposito esige un nuovo sguardo sulla Terra (mente), vista come un ente vivo, Gaia, e una nuova relazione di cura e amore (cuore), che ubbidisce alla logica universale della interdipendenza di tutti con tutti e della responsabilità collettiva, per un futuro comune.

Questo è il cammino da seguire che servirà da carta di navigazione per l’astronave-Terra, perché possa atterrare con sicurezza in un altro tipo di mondo.