Palestina, occupazione e risorse naturali

Giovanni Vigna
Nena News

Ronnie Barkan è un attivista israeliano per i diritti umani che lotta insieme ai palestinesi per combattere e fermare le ingiustizie perpetrate dal governo del suo Paese contro la popolazione araba locale. Barkan, obiettore di coscienza, ha deciso di non prestare servizio nell’esercito israeliano, pratica la disobbedienza civile e la non violenza. Abbiamo rivolto a Ronnie, che è uno dei cofondatori dell’Associazione “Boycott From Within” e conosce in modo approfondito le drammatiche condizioni di vita della popolazione autoctona, una serie di domande relative alla questione del furto delle risorse naturali dei palestinesi da parte dello Stato di Israele.

Secondo stime recenti, il giacimento petrolifero Meged 5, al confine tra Israele e Cisgiordania, abbia riserve di greggio ampiamente superiori a quelle preventivate in passato (3,53 miliardi di barili invece che 2,15, ovvero un settimo delle riserve petrolifere del Qatar). A chi appartiene tale pozzo petrolifero? Chi lo sta sfruttando attualmente?

Anche ipotizzando che sia giusto esaurire le risorse della Terra, la questione di chi dovrebbe beneficiare delle materie prime del pianeta è tutt’oggi dibattuta in diversi Paesi. In Sud America e nei Paesi scandinavi, ad esempio, è stata avvalorata la tesi secondo la quale i popoli di una terra detengono la proprietà delle risorse che si trovano in quell’ambiente naturale. Ma tali questioni sono assolutamente irrilevanti nel caso israeliano, nel quale problemi più semplici, che implicano le chiare violazioni delle leggi internazionali e del comportamento umano basilare, rimangono senza risposta. Quando gli israeliani vengono criticati, l’Unione Europea e gli Stati Uniti si mobilitano e conferiscono a Israele la piena impunità. Tale è il caso di Israele che mantiene un criminale e inumano assedio su Gaza, contando addirittura quante calorie destinate ai palestinesi possano entrare nella Striscia, facendo diventare tossico il 95% della fornitura d’acqua e proibendo alla popolazione l’accesso al proprio mare che è ancora occupato. Per quanto riguarda i siti nei quali Israele sta trivellando alla ricerca di petrolio, sia nel mare di Gaza sia qualche metro aldilà della Linea Verde, è sensato affermare che la popolazione assediata non ha utilizzato le riserve di petrolio che Israele sta cercando di sfruttare. Se guardiamo all’enorme potenziale economico e al disastro ambientale provocato dall’attività di trivellazione in quest’area, allora la questione diventa ancora più cruciale, in quanto la maggior parte di questa terra apparteneva ai palestinesi, prima del progetto di pulizia etnica risalente al 1948. Tutto ciò che è accaduto dopo si colloca in un sistema discriminatorio di apartheid che, per definizione, ignora i diritti degli originali proprietari palestinesi.

È vero, come afferma un rapporto della Banca Mondiale, che Israele impedisce ai palestinesi della Cisgiordania di sfruttare dal punto di vista economico le proprie risorse naturali?

Una grande quantità della terra, ricca di risorse naturali, è stata annessa da Israele. La gente pensa, erroneamente, che le colonie di etnia ebraica, in Cisgiordania, servano solo per rubare la terra, mentre invece hanno un ruolo ben più importante, che comprende il controllo della popolazione, lo spezzettamento della Cisgiordania in tanti “bantustan” e il furto di risorse naturali. In certi casi, come la ricerca di minerali nella zona del Mar Morto, Israele viola un’altra norma, secondo le leggi internazionali, rendendosi colpevole del crimine di saccheggio. Il Mar Morto, una meraviglia naturale, in parte appartenente alla Cisgiordania occupata, è stato affittato a una società privata dallo Stato di Israele che ha conferito a tale impresa il diritto, senza alcuna attività di supervisione, di scavare in quest’area per estrarre i minerali.

Israele è obbligato a fornire l’acqua per motivi di salute a tutti coloro che vivono sotto occupazione. L’acqua è stata rubata e negata alla popolazione locale. Per i palestinesi dei Territori Occupati, è illegale scavare un pozzo per approvvigionarsi d’acqua. I palestinesi sono obbligati ad acquistare la propria acqua a prezzi altissimi. In alcune zone aride, come la Valle del Giordano, le famiglie fanno in modo di mandare via i propri parenti, nei mesi estivi, perché, letteralmente, l’acqua non è sufficiente per il loro sostentamento. Tutto questo accade, mentre le vicine colonie di etnia ebraica ricevono abbondanti quantità d’acqua per la loro agricoltura e le loro piscine. Succede spesso che le condutture dell’acquedotto attraversino un villaggio palestinese che tuttavia non ha accesso all’acqua. Così, ogni prodotto agricolo coltivato dai coloni in tali zone, è cresciuto grazie all’acqua della gente di quella terra.

Secondo il rapporto della Banca Mondiale, in Area C, due terzi della Cisgiordania, sorgono duecento insediamenti israeliani che permettono al governo di controllare la maggior parte delle risorse naturali dei palestinesi (falde acquifere, terra, miniere e siti d’interesse turistico e archeologico). Quali vantaggi potrebbe trarre l’economia palestinese dallo sfruttamento di queste risorse naturali e del pozzo petrolifero Meged 5 che sorge nell’area C?

L’economia palestinese è un’economia succube, come tutto ciò che si trova sotto il controllo israeliano, ed è completamente dipendente da Israele. In questo senso, non sarebbe sufficiente che Israele smettesse di rubare e trarre profitto dalle risorse dei palestinesi ma, al contrario, sarebbe necessario che si verificasse una completa trasformazione del sistema, in modo che ogni profitto di questo tipo o ogni euro che arriva dai fondi europei potesse giovare, veramente, ai palestinesi.

Secondo lei, la questione dello sfruttamento delle risorse naturali dei palestinesi dovrebbe essere uno dei punti da affrontare nell’ambito dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi, ripresi di recente?

Così come nel caso dell’economia, non c’è niente nei cosiddetti negoziati di pace che abbia a che fare con la pace. Tutto ciò che riguarda i negoziati è inquadrato intorno al perpetuare il controllo israeliano sui palestinesi e alla negazione dei loro inalienabili diritti di base. Un esempio chiaro è offerto dall’insistenza di Israele a negoziare solo sulla base del riconoscimento del proprio diritto a esistere come Stato caratterizzato da una supremazia etnica “ebraica”. Nessun Paese ha il “diritto” di esistere come Stato che crede nella supremazia di una razza, in base alla quale una maggioranza etnica, creata artificialmente, mantiene i propri privilegi, negando i diritti fondamentali degli altri gruppi etnici. Tutto ciò accade mentre Israele costringe all’esilio forzato la maggior parte dei palestinesi, negando agli indigeni il diritto a tornare alle loro case. Naturalmente, la questione della proprietà delle risorse naturali è assente dai negoziati che non comprendono anche cose più importanti, inclusa la mancanza di chiare istanze di rispetto dei palestinesi, protetti dalle leggi internazionali e dai diritti umani universalmente riconosciuti, così come sono stati chiaramente espressi nell’ambito dell’appello palestinese al boicottaggio sostenuto dal Movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni).

L’occupazione israeliana non riguarda solo la colonizzazione e la confisca delle terre ma, più in generale, lo sfruttamento delle risorse naturali. Perché i palestinesi non possono sfruttare i giacimenti sottomarini di gas che si trovano al largo delle coste di Gaza?

Se qualcuno dovesse avere la possibilità di sfruttare il gas sottomarino, certamente sarebbe il popolo della Striscia di Gaza a dover beneficiare di queste risorse naturali. Ad ogni modo, la questione legale che abbiamo a portata di mano non è come correggere le leggi israeliane dell’apartheid ma, piuttosto, come porre fine, tutti insieme, all’apartheid stesso. Solo allora, potremo ottenere una base legittima su cui costruire l’uguaglianza e il rispetto per tutti coloro che vivono in questa terra.

La questione del diritto allo sfruttamento delle risorse naturali esiste anche per i ricchi giacimenti di gas al largo delle coste israeliane e libanesi che sono oggetto di tensioni tra i governi di Gerusalemme e Beirut?

Il governo israeliano che risiede nella Gerusalemme occupata sta portando avanti un’intensa privatizzazione dei siti offshore di gas. Contro questa politica stanno manifestando gli ebrei israeliani privilegiati, insistendo sul fatto che il gas appartiene a noi cittadini e non ai cosiddetti “tycoons”. Questo tipo di reazione da parte del pubblico israeliano è necessaria considerando che, in Israele, poco più di una dozzina di famiglie controllano circa l’80% del budget annuale del governo. Ma non è sufficiente che gli ebrei israeliani privilegiati manifestino per i propri diritti, senza conoscere tuttavia i diritti delle persone svantaggiate che subiscono l’apartheid e senza prima chiedere l’uguaglianza per tutti. Per quanto riguarda le tensioni che si possono creare tra Israele e gli Stati vicini relativamente alle risorse naturali, la storia del progetto sionista in Palestina dimostra che tali tensioni tendono a fare il gioco della causa sionista, fornendo ai suoi sostenitori la legittimazione a espandersi e annettere terre e risorse oppure, quanto meno, a perpetuare la guerra. Così, porre fine allo scontro sionista-palestinese e al conflitto con i Paesi vicini vorrebbe dire, necessariamente, riconoscere la proprietà delle risorse e la redistribuzione della ricchezza.

Quali sono gli obiettivi dell’Associazione “Boycott From Within” che lei ha fondato e quali saranno le vostre prossime azioni?

Gli obiettivi di “Boycott from Within”, nome usato comunemente per riferirsi all’Associazione “Boycott! Supporting the Palestinian BDS Call from Within”, sono esattamente gli stessi che si trovano nell’appello del Movimento BDS per il boicottaggio. Siamo un gruppo molto piccolo di persone che fanno parte della fascia di persone privilegiate che, tuttavia, vivono sotto occupazione e in condizione di apartheid. Esprimiamo il nostro assoluto sostegno e la nostra solidarietà a chi non ha privilegi, a chi è stato privato del diritto di voto e agli oppressi. Le nostre azioni sono studiate in coordinamento con il movimento globale a guida palestinese che cresce, giorno per giorno, con l’obiettivo di promuovere e applicare i diritti fondamentali dei palestinesi. Facciamo appello alla comunità internazionale affinché faccia la sua parte per porre fine ai crimini israeliani, per mezzo del boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni a Israele, inclusi gli importanti aspetti del boicottaggio accademico e culturale. Affermando queste tesi, infrango una legge israeliana che ha lo scopo di far tacere le voci del dissenso come la mia che arrivano dall’interno. Il movimento per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutta la gente di questa terra tacerà solo quando questi valori saranno diventati realtà.