Politici e Cristiani, come la Chiesa ha monopolizzato la politica: ecco il ritorno della Dc

Francesco Christian Schembri
www.corriereinformazione.it

L’obiettivo è sempre rimasto quello: rifondare la Democrazia Cristiana. Un grande centro cattolico dove far confluire tutte le anime cosiddette moderate del Paese. Dopo la morte, apparente, della Balena Bianca molti hanno pensato che con essa sarebbe anche deceduto il monopolio della Chiesa che durante lo strapotere della Dc ha, e non poco, condizionato la vita politica dell’Italia.

Il tentativo da parte della Chiesa è sempre stato quello di vedere l’Italia come una sorta di nazione sotto il comando clericale; un tentativo che prende origini nel 1919 con la fondazione del Partito Popolare di Don Luigi Sturzo.

Infatti, il “peso” del Vaticano sulla politica italiana ha sempre pervaso i palazzi del potere soprattutto con la complicità della Dc. Un potere immane che ha insite radici profonde in una “tavola di valori” cristiana che recita: “Il primato e la centralità della persona umana, il carattere sacro e inviolabile della vita umana in ogni istante della sua esistenza, la figura e il contributo della donna nello sviluppo sociale, il ruolo e la stabilità della famiglia fondata sul matrimonio, il pluralismo sociale e la libertà di educazione, l’attenzione privilegiata alle fasce più deboli della popolazione, la libertà e la giustizia sociale a livello mondiale”.

Nulla di più di uno scenario che si sposa perfettamente con un sostegno politico che in Italia ha visto fare la Democrazia Cristiana la parte del leone.

Un processo che si interruppe inevitabilmente con la fine della Balena Bianca a partire dal 1992, anno in cui per la prima volta la Dc scese sotto il 30% dei consensi e che, con l’imminente avvento di “mani pulite” e “tangentopoli”, portò il graduale decadimento con la scissione in vari partiti.

Movimenti e partiti che forse non seppero interpretare perfettamente quella sintonia con la Chiesa che invece proprio la Democrazia Cristiana seppe intercettare e fare di sé il principale centro del potere politico italiano.
Ma allora quale fu la strategia della Chiesa in questo nuovo scenario? Aprire una nuovo capitolo del cattolicesimo politico. Come? Attraverso lo smembramento della classe dirigente precedente e il conseguente ricollocamento in tutti i partiti politici. Centro, Destra, Sinistra, senza alcuna distinzione doveva vedere uomini “ex-democristiani” al potere in nome e per conto della Chiesa.

Fantapolitica? Se andiamo a vedere lo scenario politico attuale, Enrico Letta e Angelino Alfano al governo chi lo avrebbe mai previsto? Ma il frutto di questo sistema è solo il retaggio di ciò che fu la Democrazia Cristiana e la decisione di punto di non ritorno che solo attraverso la presenza di uomini “cattolici” poteva (ed oggi potremmo dire “ha potuto”) consentire una riunificazione apparentemente impossibile sotto il marchio dello scudo crociato.

E a riferirlo indirettamente è stato lo stesso cardinale Camillo Ruini, già capo dei vescovi riuniti nella Cei dal 1991 al 2007, che in uno dei suoi ultimi interventi avevano annunciato: “mai più un ritorno alla Dc. Sono venute meno le premesse pre-politiche dell’unità dei cattolici in un solo partito”. Secondo il cardinale Ruini “L’unità dei cattolici in un solo partito non può avere futuro. Nella Chiesa si è fatto strada un pluralismo marcato, impensabile quando alla fine della guerra nacque la Democrazia cristiana”.

In questa linea dunque il naturale assetto da trovare è quello di un graduale ritorno all’egemonia della Chiesa attraverso uno “smembramento” politico apparente ma non sostanziale.

Franco Marini, Beppe Fioroni, Dario Franceschini, Enrico Letta, solo gli esempi più lampanti di ex democristiani (ora nelle file del centro-sinistra) che si trovano a governare con Roberto Formigoni, Maurizio Lupi, Rocco Buttiglione, Mario Mauro, Angelino Alfano (ora nelle file del centro-destra e più specificatamente di appartenenza Comunione e Liberazione).

Ed è proprio nel centro-destra che molti ex Dc hanno trovato casa grazie a Comunione e Liberazione. Infatti con lo scioglimento del Movimento Popolare e la dissoluzione della Democrazia Cristiana, l’attenzione politica degli aderenti al movimento si è, nella maggior parte dei casi, spostata ad alcune componenti dell’allora Casa delle Libertà.

L’obiettivo forse era quello di annientare le fazioni più estremiste della sinistra italiana. E a ben vedere il tentativo oggi è centrato se vediamo allo scenario politico che non offre più visione di quello che fu il comunismo italiano.

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Letta dura, senza paura. E a Milano, l’asse Ruini-Cl torna a battere un colpo

Valerio Gigante
Adista Notizie n. 5 del 08/02/2014

Forse ci ha azzeccato Marco Damilano, che nel suo articolo sull’Espresso (30/1), ha parlato di «ridotta della Valtellina, ultimo baluardo di quel che resta della stagione ruinian-ratzingeriana e dei suoi agganci con il centrodestra». Certo è che le nuove nomine fatte al Comitato Permanente dell’Istituto Toniolo – l’Ente morale fondato nel 1920 dal Vaticano per gestire l’Università Cattolica di Milano (i due terzi del CdA dell’ateneo sono infatti nominati dal Toniolo), ma anche gli atenei di Brescia, Cremona, Piacenza, Roma, Campobasso, il Policlinico Agostino Gemelli di Roma, nonché la casa editrice “Vita e Pensiero” – sono destinate a far discutere. Per il merito, certo, ma anche per il significato politico ecclesiale che portano con sé. A sorprendere maggiormente è soprattutto la designazione di Gianni Letta, braccio destro di Silvio Berlusconi, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, grande tessitore di rapporti tra destra politica e destra ecclesiastica, tanto da essere nominato “gentiluomo di Sua Santità” da Benedetto XVI, entrati nel comitato già il 5 dicembre scorso (ma sul sito del Toniolo i nomi delle new entries sono stati pubblicati solo nei giorni scorsi). Oltre a Letta nel comitato d’indirizzo dell’istituto arrivano altre tre persone: Franco Anelli, che è subentrato nel 2012 nella carica di rettore dell’Università cattolica a Lorenzo Ornaghi, dopo che quest’ultimo era diventato ministro del governo Monti; Carlo Fratta Pasini, veronese, presidente del Banco popolare (con solidi legami d’affari con la Compagnia delle Opere) e la professoressa Eugenia Scabini, presidente del Comitato scientifico del Centro di Studi e Ricerche sulla Famiglia della Cattolica. Tutte nomine avvenute, a norma di statuto, per cooptazione, cioè a maggioranza assoluta dei voti espressi dai componenti già presenti nel comitato. E cioè da Dino Boffo, Felice Martinelli, Roberto Mazzotta, Cesare Mirabelli, Paola Bignardi e Lorenzo Ornaghi. Sempre a norma di Statuto, a presiedere l’Istituto è il cardinale arcivescovo di Milano, il ciellino card. Angelo Scola. Che ha fortemente caldeggiato le nuove nomine.

E infatti ora, oggettivamente, la nuova composizione del Toniolo sposta i rapporti di forza ancora più nettamente a favore dell’asse formato da Comunione e Liberazione e dal card. Ruini, che governa l’istituto da oltre vent’anni. Oltre a Letta, da sempre vicinissimo al cardinale ex vicario del papa per la diocesi di Roma e ex presidente della Cei, sono ruiniani “doc” Dino Boffo, Paola Bignardi, e Lorenzo Ornaghi. Carlo Fratta Pasini è amico personale di Scola. Eugenia Scabini era invece amica del fondatore di Cl, don Luigi Giussani. Entrambi sono quindi di area ciellina. “Eccentrico”, almeno in parte, rispetto a questa cordata resta il solo Cesare Mirabelli, in passato cooptato al Toniolo per volere di Bertone, ma che è comunque tradizionalmente legato all’establishment vaticano (tanto da aver partecipato ai lavori di revisione del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede, culminati nell’accordo Craxi-Casaroli del 1984).

Fino a poco tempo fa lo Statuto del Toniolo prevedeva che a presiedere l’istituto fosse uno dei membri del Comitato Permanente, designato dall’assemblea. Tradizionalmente si trattava di un laico. Alla fine del 2003 fu però designato l’allora arcivescovo di Milano Tettamanzi, cui venne in seguito rinnovato l’incarico per un secondo mandato.

Quando Tettamanzi lasciò per raggiunti limiti di età la guida della diocesi, nel giugno 2011, la sua intenzione era di mantenere la guida del Toniolo, essendo il suo mandato in scadenza a dicembre 2012. La sua permanenza era sostenuta sia dalla componente ciellina che da quella ruiniana presente nel Comitato, assai intimorita dall’“opa” lanciata sull’istituto dall’allora segretario di Stato vaticano Bertone, che intendeva piazzare i suoi uomini al Toniolo per inserire anche il Policlinico Gemelli nel grande polo sanitario sotto egida vaticana che stava cercando di realizzare (v. Adista Notizie n. 5/2012). All’epoca, per indurre Tettamanzi a lasciare, Bertone arrivò anche a scrivere al cardinale di Milano una lettera riservata, datata 24 marzo 2011 – ma pubblicata in esclusiva sul Fatto Quotidiano del 28 febbraio 2012, all’epoca del Vatileaks – nella quale gli chiedeva le dimissioni, forte di una richiesta esplicita che sarebbe venuta dal papa stesso. Nella lettera Bertone arrivava ad indicare anche il nome del successore di Tettamanzi, che avrebbe dovuto essere Giovanni Maria Flick. Tettamanzi resistette fino al 21 marzo 2012, quando lasciò la presidenza del Comitato, pur restandone membro. Al suo posto, il comitato elesse non Flick, ma il nuovo arcivescovo di Milano, il card. Scola, già cooptato nell’organismo qualche mese prima. Nei mesi successivi, siamo alla fine del 2012, lo Statuto del Toniolo fu modificato. Tra le novità, anche quella che la carica di presidente del Comitato Permanente (e del Consiglio di Amministrazione, che ne è emanazione) spetta di diritto all’arcivescovo di Milano.

Così, mentre in Conclave gli uomini di “sistema”, come Scola e Odilo Pedro Scherer sono usciti sconfitti, mentre nei palazzi vaticani la destra ecclesiastica arranca e si divide, cedendo il passo nelle nomine cardinalizie e nella presenza nei posti chiave della Curia e del Governatorato, in periferia sembra ancora che il “partito romano”, il vecchio establishment che fa capo ora soprattutto a ruiniani e ciellini, sia in grado di dire la sua. «Per far passare la nottata e organizzare la rivincita», ipotizza Damilano.