Un paese allo sbando

Giovanni La Torre
www.italialaica.it

E’ stato reso noto il primo rapporto dell’Ue sulla corruzione.

E’ inutile dire che l’Italia ne esce malconcia, e questo non tanto per la posizione in classifica nelle ultimissime posizioni con Romania, Bulgaria e Grecia, visto che era già nota, ma per tutte le considerazioni di contorno. L’immagine che ne esce è quella di un paese allo sbando, governato da una classe politica corrotta e collusa. Un paese dove il potere politico anziché agevolare l’opera di quei pochi organi che ancora combattono quel cancro della democrazia e dell’economia, cerca in tutti i modi di mettere il bastone tra le ruote. Un paese dove le “grandi opere” costano un multiplo di quanto costano negli altri paesi e nessuno se ne cura di capire il perché. Chi ha la bontà di leggermi sa che indico nella corruzione la causa principale del declino italiano, da essa derivano il dissesto delle finanze pubbliche e il calo vertiginoso della produttività totale dei fattori. Ma proprio per questo, per evitare il rischio che possa essere considerato prevenuto, riporto di seguito alcuni passi del capitolo dedicato al nostro paese:

“In Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese e lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono oggi tra gli aspetti più preoccupanti … Uno studio del 2010 a cura del “Center for the Study of Democracy” considera il caso italiano tra i più esemplari per capire quanto stretti siano i legami tra criminalità organizzata e corruzione. (Sentite ora)

Secondo lo studio è soprattutto la corruzione diffusa nella sfera sociale, economica e politica a attrarre i gruppi criminali organizzati e non già la criminalità organizzata a causare la corruzione”;

“E’ degno di nota il caso di un parlamentare indagato per collusione con il clan camorristico dei casalesi … soprattutto per il riciclaggio di rifiuti tossici. Il Parlamento ha rifiutato ben due volte l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, impedendone la carcerazione preventiva”;

“I tentativi di definire un quadro giuridico in grado di garantire l’efficacia dei processi e la loro conclusione nei casi complessi sono stati più volte ostacolati”;

“Non esistono codici di comportamento per le cariche elettive a livello centrale o regionale. Quanto al conflitto di interessi non sono in essere specifici dispositivi di verifica”;

“I termini di prescrizione previsti dalla normativa italiana, sommati alla lunghezza dei processi … hanno determinato e determinano tuttora l’estinzione di un gran numero di procedimenti. La revisione della normativa che regola attualmente la prescrizione rientra tra le raccomandazioni specifiche per paese che il Consiglio [d’Europa] ha rivolto all’Italia a luglio 2013”;

“Nel solo caso delle grandi opere pubbliche la corruzione (comprese le perdite indirette) è stimata in ben il 40% del valore totale dell’appalto. Grandi opere di costruzione come quelle per la ricostruzione a l’Aquila dopo il terremoto del 2009, per l’Expo Milano 2015 o per la futura linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione sono viste, nella sfera pubblica, come particolarmente esposte al rischio di distrazione di fondi pubblici e infiltrazioni criminali”;

“Secondo gli studi, l’alta velocità in Italia in Italia è costata 47,3 milioni di euro al km nel tratto Roma-Napoli, 74 milioni tra Torino e Novara, 79,5 milioni tra Novara e Milano e 96,4 milioni di euro tra Bologna e Firenze, contro gli appena 10,2 milioni di euro al km della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni della Tokio-Osaka”.

E mi fermo qui perché comincia a prendermi il volta stomaco. E pensare che per qualcuno il debito pubblico deriva dal fatto che “gli italiani hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità”. Per quanto riguarda la cosiddetta nuova legge sulla corruzione, il rapporto la indica più come occasione persa che altro.

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Corruzione, bufale e illusioni

Carlo Musilli
www.altrenotizie.org

Bustarelle, reti di clientele, favori sottobanco, mani che si lavano tra loro e insieme lavano il viso. Mentre in Italia si continua a demonizzare il costo del lavoro come principale deterrente agli investimenti esteri, Bruxelles, per una volta, insinua un dubbio costruttivo: e se c’entrasse qualcosa anche il nostro livello siderale di corruzione?

Iniziamo dai numeri e sgombriamo subito il campo da un’inesattezza diffusa a macchia d’olio. Si dice che il nostro Paese produca il 50% della corruzione europea, ma questo dato è falso, dal momento che non è possibile verificarlo con rigore scientifico. Nel rapporto diffuso ieri dalla Commissione europea si stima che la corruzione valga circa 120 miliardi l’anno nell’intera Ue.

Non esiste però alcuna stima comunitaria relativa all’Italia: i 60 miliardi di cui si è scritto e parlato in queste ore fanno riferimento a un testo pubblicato l’anno scorso dalla Corte dei Conti, la quale a sua volta citava come fonte il SAeT e il Dipartimento della Funzione Pubblica, giudicando però la cifra “invero esagerata”. La stima in questione è stata inoltre smentita più volte da vari uffici della Pubblica amministrazione.

Schivata la bufala, è comunque innegabile che il problema corruzione abbia da noi un peso specifico di gran lunga superiore rispetto alle altre maggiori economie dell’Unione. “In Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese – scrive la Commissione -, uniti allo scarso livello d’integrità dei titolari di cariche elettive e di governo, sono tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l’alto numero di indagini per corruzione”.

Bruxelles ci ricorda quanto siano sporchi i panni da lavare nella famiglia italiana: solo nel 2012 sono scattate indagini penali e ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti politici locali in circa metà delle 20 Regioni italiane. Inoltre, più di 30 deputati della precedente legislatura sono stati indagati per reati legati alla corruzione o al finanziamento illecito ai partiti.

Fin qui, purtroppo, niente di nuovo. L’Europa ci fornisce una diagnosi che conosciamo a memoria, almeno dai tempi di Tangentopoli. Ben più interessante è ragionare sulla possibile cura. L’ultimo provvedimento anticorruzione varato dall’Italia è la legge Severino, approvata poco più di un anno fa sotto il governo Monti. Un pacchetto di norme inconsistente, il cui scopo fondamentale era sottrarre argomentazioni ai nemici della casta, mantenendo il più possibile inalterato lo status quo.

All’alba del febbraio 2014, finalmente, l’Europa si rende conto che quella riforma è in realtà uno specchietto per le allodole, perché “lascia irrisolti” troppi problemi: “Non modifica la disciplina della prescrizione, la legge sul falso in bilancio e l’autoriciclaggio – si legge ancora nel report – e non introduce reati per il voto di scambio”. Su quest’ultimo punto, in particolare, sembra proprio che l’unica contromisura concepibile dai politici italiani (berlusconiani in testa) sia la lista bloccata sulle schede elettorali.

Ma non è finita. Bruxelles punta il dito anche contro la mancanza di norme efficaci in tema di conflitti d’interesse e rileva che “i tentativi” di produrre norme per garantire processi efficaci sono stati “più volte ostacolati dalle leggi ad personam” del Cavaliere: dal lodo Alfano alla ex Cirielli, dalla depenalizzazione del falso in bilancio al legittimo impedimento.

La Commissione sottolinea poi che la corruzione non riguarda solo il settore pubblico, ma anche quello privato. Su questo versante i problemi sono due: l’Italia non ha pienamente applicato una direttiva europea per contrastare il fenomeno e utilizza ancora un sistema di contabilità societaria che non rispetta la Convenzione penale del Consiglio d’Europa.

In generale, però, al di là dei numeri più o meno realistici e dei singoli interventi di cui il Paese avrebbe bisogno, il rapporto della Commissione indica l’elefante nella stanza che la politica italiana ignora da sempre. Il clientelismo e la corruzione di amministratori e burocrati sono sempre stati, sono ancora e saranno sempre una zavorra pesantissima per l’economia italiana, perché falsano la concorrenza, fanno aumentare i costi per le imprese e per lo Stato, scoraggiano gli investimenti e producono un aggravio fiscale sulle tasche dei contribuenti. Lo sappiamo, ma non ci poniamo il problema.

Tanto per fare un esempio tratto dalla cronaca recente, abbiamo dovuto aspettare che Antonio Mastrapasqua fosse indagato dalla Procura di Roma per capire che chi dirige l’Inps non può avere altri incarichi, tanto meno se in conflitto d’interessi. Dovremmo ricordarci di questa nostra attitudine la prossima volta che torneremo a parlare di articolo 18.