Una storia di collaborazione e discriminazione di M.Vigli

Marcello Vigli
Adista n. 4 del 01/02/2014

Fra gli altri pesanti condizionamenti che la Repubblica italiana ha ereditato dalla monarchia fascista si può annoverare anche il regime concordatario, nato con i Patti lateranensi siglati da Mussolini nel 1929. I quali risolvevano, con il Trattato, il contenzioso fra il Regno d’Italia e il dissolto Stato pontificio, riesumandolo nella minuscola versione della Città del Vaticano; ma sancivano anche, con il Concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede, un’ipoteca sulla società italiana della gerarchia ecclesiastica cattolica, riconoscendo solo ad essa la rappresentanza della comunità ecclesiale.

All’Assemblea Costituente si pose il problema di conciliare questa presenza, così ingombrante in un regime non più monarchico e autoritario, con i principi e le regole di uno Stato democratico. Ampio e vivace nella fase preparatoria fu il dibattito che si concluse con la formulazione di quello che sarebbe diventato l’articolo 7 del testo definitivo della Costituzione repubblicana e che in Assemblea fu approvato grazie alla inattesa scelta di Togliatti di farlo votare dai costituenti comunisti.

Si è a lungo discusso sulle ragioni politiche e l’opportunità di tale scelta, ma è certo che le conseguenze influirono pesantemente sulla laicità delle pubbliche istituzioni, legittimando l’ingerenza delle gerarchie cattoliche nelle dinamiche della politica italiana. L’articolo 7 infatti riconosce l’indipendenza e la sovranità della Chiesa cattolica alla pari dello Stato e costituzionalizza il regime pattizio: non i Patti lateranensi, che pure vengono citati modificabili di comune accordo, come si è spesso detto e come, nei primi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, hanno cercato di accreditare giuristi cattolici. Il riferimento a questa possibilità di revisione per adeguare il Concordato alle norme costituzionali, o almeno per eliminare le contraddizioni più evidenti divenne, invece, argomento ricorrente a sinistra per contrastare i fautori della sua abrogazione in nome della laicità delle istituzioni.

A rilanciarla contribuì nel 1974 l’inatteso e clamoroso esito del referendum sul divorzio. Fu istituita una Commissione paritetica che, dopo avere elaborato sei bozze tutte respinte dal Parlamento, fornì al governo un progetto di revisione molto attento alle richieste della Santa Sede. Siglato il 18 febbraio del 1984 da Casaroli e Craxi, fu approvato dal Parlamento come Accordo di Palazzo Madama, con la sola astensione dei liberali e il voto contrario dei parlamentari, cattolici e non, della Sinistra indipendente.

Il testo conferma i caratteri antidemocratici del regime concordatario con il richiamo esplicito all’art. 7 della Costituzione, con l’aggiunta di un parallelismo, fra la codificazione del diritto canonico e i principi sanciti nella Costituzione, per il quale i due contraenti, riaffermando che lo Stato e la Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani, s’impegnano al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’essere umano e per il bene del Paese.

Appare subito evidente che fra Costituzione e diritto canonico non c’è concordanza, e che Stato e Chiesa non possono avere la stessa opinione sulla promozione dell’essere umano e sul bene del Paese. Lo ha ampiamente dimostrato il contenzioso che ha travagliato da allora ogni tentativo di aggiornare ed estendere la sfera dei diritti civili costantemente osteggiato da interventi della gerarchia cattolica.

All’interno di questa ambiguità, il nuovo accordo aggiunge un’aggravante: il regime concordatario, da strumento per definire i rapporti fra due autorità, statale e ecclesiale, con finalità diverse, diventa premessa per una innaturale collaborazione. Per di più conferma alla Chiesa cattolica una preminenza discriminante nei confronti delle altre confessioni religiose, sia di quelle che con lo Stato hanno siglato Intese sulla base dell’art. 8 della Costituzione, sia di quelle in perenne attesa della legge sulla libertà religiosa.

In verità, ove questa fosse approvata, si sanzionerebbe definitivamente questa discriminazione, articolata in tre livelli fra le diversi religioni – concordataria, soggette a Intese, solo alla legge – che uno Stato autenticamente laico non può sopportare.