Il nuovo corso nella Chiesa deve discutere criticamente del Concordato Craxi-Casaroli a trent’anni dalla firma di NoiSiamoChiesa

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Il nuovo corso nella Chiesa deve discutere criticamente del Concordato Craxi-Casaroli a trent’anni dalla firma

 

Dopo trenta anni tutto va bene?

Nel mezzo della attuale crisi economico-sociale e politica  non fa meraviglia che il trentesimo anniversario dalla firma il 18 febbraio 1984 del nuovo Concordato Craxi-Casaroli non riceva grandi attenzioni. Ben altre sono le urgenze nel paese. Peraltro, tra le autorità dello Stato e della Chiesa che si occupano dei loro reciproci rapporti, da tempo esiste una specie di silenzio soddisfatto (o complice?) per una situazione di equilibrio con  soddisfazione reciproca, che è  interrotta solo ad intermittenza dalla questione, importante ma non centrale, della tassazione degli immobili ecclesiastici. Eppure permane nella nostra società, soprattutto nella comunità dei credenti, una posizione critica nei confronti dei rapporti tra i due poteri che non ritiene risolto ogni problema dopo la firma di trent’anni fa. Proprio perché sempre esclusa dal circuito mediatico vogliamo riproporla non solo a futura memoria ma anche perché riteniamo che una nuova occasione di riflessione si presenta ora con il nuovo corso che la Chiesa sta forse accingendosi a percorrere da quando c’è un nuovo vescovo di Roma.

Il dissenso dell’area conciliare

Il disaccordo nell’area del cattolicesimo critico viene da lontano. Nel marzo del 1985, al momento della ratifica parlamentare dell’Accordo, 46 esponenti significativi  di tutta l’area “conciliare” del cattolicesimo italiano, insieme a riviste e centri culturali, molti dei quali ancora attivi, così esprimevano la loro opinione: “queste scelte del Vaticano, condivise dalla CEI, ci sembrano contrarie alla più genuina ispirazione conciliare ed alle aspettative diffuse tra i cristiani per una Chiesa credibile e povera, sostenuta dalla fede e libera di predicare e di praticare la pace fondata sulla giustizia e sulla libertà…………Siamo contro ogni neocostantinianesimo, e la nostra speranza è che libertà e laicità si radichino e crescano nelle coscienze dei cittadini e dei credenti perché finalmente deperisca per sempre la logica dei patti stretti da una parte e dall’altra nel nome del potere” (1).

Che gli interrogativi sul senso stesso della revisione dei Patti del ’29 non fossero ristretti a quelli che in quel tempo si chiamavano “cattolici  del dissenso” lo testimonia quanto scriveva allora, tra gli altri,  il noto vaticanista Luigi Accattoli : “Il Concordato è un argomento grigio se non fa spazio all’utopia…riduce i rapporti  tra Stato e Chiesa alla loro ricaduta burocratica, come a volerli sottrarre a ogni vento di novità, consegnandoli per intero ai loro apparati amministrativi” e ancora “non vi sarà quiete religiosa nel nostro paese finché la Chiesa cattolica continuerà a godere di quell’ultimo privilegio rappresentato dalle particolari garanzie costituzionali e internazionali della forma concordataria rispetto a quella delle intese” (2). E lo stesso Dossetti, protagonista alla Costituente della redazione degli articoli 7 e 8, si poneva questioni di fondo nel suo noto discorso all’Archiginnasio di Bologna il 22 febbraio del ’86, quando ipotizzava una evoluzione dei rapporti “sempre meno previlegiaria (in senso positivo o negativo), meno politica, sempre meno corporativa” e affermava come essere “sempre più importanti le norme veramente basali e dinamiche dell’articolo 8 sulla libertà ed uguaglianza giuridica delle diverse comunità religiose” (3).

La posizione anticoncordataria di  “Noi Siamo Chiesa”

“Noi Siamo Chiesa” ha già espresso molte volte la sua riflessione critica sugli accordi di Villa Madama, su quelli successivi e sulla prassi dei rapporti Stato/Chiesa nell’ultimo trentennio (si leggano i testi su www.noisiamochiesa.org/Archivio_NSC/movimento/PattLat.htm in occasione del sessantesimo anniversario dei Patti Lateranensi e del quindicesimo del nuovo Concordato e su www.noisiamochiesa.org/Archivio_NSC/attual/NSC.Concordato.18.2.04.htm nel ventesimo oltre ad altri testi sull’ottopermille, sulle questioni fiscali ecc…reperibili sul sito www.noisiamochiesa.org ). Rimandando a questi documenti  vogliamo qui, per brevità, ricordare solo i punti essenziali delle nostre opinioni per quanto riguarda  i rapporti istituzionali e, quindi, la politica concordataria.

Il Concilio, al paragrafo 76 della Gaudium et Spes, esplicitamente afferma che “la Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Essa anzi rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse fare dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni”. Soprattutto nel nostro paese questo passo indietro dai privilegi avrebbe dovuto essere proposto dalle autorità ecclesiastiche in ragione della storia difficile successiva alla fine del potere temporale dei papi. Essi furono ottenuti come contropartita dell’appoggio della Chiesa al fascismo che portò la nazione al disastro. La rinuncia sarebbe stato un evangelico rovesciamento della logica dei patti del ’29, fondati su un reciproco interesse, sarebbe stata una scommessa, fino in fondo, sui valori di libertà e di uguaglianza contenuti nella Costituzione, sarebbe stata  un impulso a ricercare al proprio interno risorse ideali e materiali per strade nuove, per un nuovo corso veramente conciliare di tutta la Chiesa italiana.

Si decise diversamente, trovando ossequienti le forze politiche, salvo alcune combattive minoranze. Il partito socialista, che alla Costituente votò contro l’art.7,  fu  protagonista del nuovo patto. Gli accordi di Villa Madama hanno cancellato le norme ormai desuete e palesemente incostituzionali, il sistema è stato modernizzato, razionalizzato, esteso ad altri campi d’intervento e le due Intese successive sui beni ecclesiastici e sull’ora di religione hanno consolidato l’accordo quadro generale. Questo vero e proprio nuovo Concordato ha permesso e grandemente facilitato l’organizzazione, a livello nazionale, della struttura della Conferenza episcopale italiana, prima quasi inesistente, che si è vista attribuire risorse quintuplicate nel corso degli anni (dal 1990 a oggi) col sistema dell’ottopermille e ne ha favorito la forte centralizzazione.

In seguito sono andate avanti le Intese previste dall’art.8 con grande fatica e lentezza (ma questo istituto è stato sbloccato dal precedente accordo con la Chiesa cattolica) mentre l’ipotizzata nuova legge sulla libertà religiosa è rimasta permanentemente bloccata.

Tre novità per cambiare

Visto nella gestione quotidiana da parte degli attori istituzionali il nuovo sistema sorto nel ’84 ha avuto successo, nessuno più lo discute, anzi nessuno più ne parla se non raramente e molto poco per contestarlo. Rispetto però a trent’anni fa ci sono tre fatti nuovi che sono tali da potere e da dovere mettere in discussione tante situazioni consolidate nel rapporto tra potere civile e potere ecclesiastico. Li elenchiamo:

1)      non esiste più il partito dei cattolici, non esiste più il partito comunista, la situazione, cioè, che riproponeva rigidamente nel 1984  lo stesso schema che ci fu alla Costituente;

2)      il nuovo pontificato pone nuove sollecitazioni, come quelle per una Chiesa povera e dei poveri e per un diverso ruolo della Conferenza Episcopale. Esse incontrano grande consenso nel popolo cristiano e dovrebbero poter incidere direttamente sui rapporti Stato/Chiesa;

3)      la società italiana è diventata multiculturale e multi confessionale.

Ci pare che queste tre situazioni nuove dovrebbero fare riflettere e possibilmente convincere all’azione nelle seguenti direzioni:

— la crisi sociale e politica dovrebbe indurre la gran parte delle strutture ecclesiastiche e il Popolo di Dio a sentirsi parte in causa, ancor più di quanto  già non avvenga in molte situazioni,  nell’esprimere comportamenti diffusi e culture che appoggino i migliori valori della Costituzione repubblicana contro i localismi, i poteri criminali, lo strapotere della finanza, la corruzione dilagante. Non più, cioè, grandi questioni sui “valori non negoziabili” oppure tentativi, peraltro recentemente falliti, di inserirsi nel gioco politico, oppure appoggi non troppo mascherati allo schieramento di centrodestra e ai suoi leader screditati, oppure difesa accanita di ogni status di privilegio. Ma invece –auspichiamo- i credenti come maestri di legalità, di moralità, di solidarietà senza alcuna specifica sponsorizzazione politica in quanto soggetto collettivo.

— le parole di papa Francesco su una Chiesa povera e dei poveri non dovrebbero essere pura immagine. Ci si dovrebbe interrogare su cosa ciò possa significare concretamente in ogni situazione per quanto riguarda la gestione delle risorse. La Chiesa italiana (diocesi, ordini religiosi, movimenti, associazioni di vario tipo, santuari…) è complessivamente abbastanza ricca  (dopo quella tedesca la più ricca in Europa) sia per il miliardo annuo di euro che proviene  dall’ottopermille, sia  per altri contributi statali o degli enti locali, sia  per patrimoni accumulati nel tempo. Cosa si può fare?

— la nuova presenza di culture e di religioni sono una ricchezza da rispettare, da conoscere e di cui facilitare l’introduzione nella società italiana, cercando di valorizzarne tutti gli elementi interessanti e utili. Per andare in questa direzione è necessaria una legge sulla libertà religiosa che regolamenti la presenza di tutte le religioni che non possono o non vogliono firmare Intese e che riconosca loro nel concreto ( luoghi di culto, presenza nelle carceri, nelle scuole  e negli ospedali ecc….) i principi già contenuti nella Costituzione. Questa legge è stata, fino ad oggi, vista con diffidenza ed ostacolata dalla CEI, ritenendo che essa concederebbe un eccessivo ruolo alle altre religioni. Un ottimo contributo, da tutti accettabile, è quello contenuto  nella Carta di Milano, documento elaborato l’anno scorso dal Forum delle religioni di Milano, in occasione della ricorrenza dei 1700 anni dall’Editto di Costantino.

Un incontro celebrativo il 12 febbraio

            Il 12 febbraio la “Fondazione Socialismo” ha promosso un incontro a Roma per ricordare il trentennale dell’Accordo di Villa Madama. Promotori di questa utile iniziativa sono stati i principali protagonisti delle trattative e delle firme di allora; non ci si poteva quindi aspettare che vi si desse voce a chi ebbe e ha una riflessione diversa da quella del consenso al sistema, che allora fu  rinnovato e consolidato. Nel convegno sono state ricordate le vicende che portarono alla firma, le intese con le altre confessioni, la giurisprudenza successiva, il rallentamento nel completamento del sistema e anche situazioni nuove (pluralità delle nuove confessioni che esigono il ddl sulla libertà religiosa); vi è stata manifestata  una evidente soddisfazione per il buon esito del percorso trentennale, comprensibile dal punto di vista dei promotori dell’incontro.

La CEI e la Segreteria di Stato

La maggiore attesa era per gli interventi di Mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI e di Mons. Pietro Parolin, segretario di Stato.  Non solo entrambi sono di recentissima nomina ma sono anche i principali responsabili, da parte dei vescovi e della S. Sede, dei rapporti con le istituzioni della nostra Repubblica. Ciò avviene in un momento in cui  un nuovo corso sembra avviarsi nella Chiesa, avendo come obiettivo un  rapporto con i beni e con la politica diverso da quello a cui ci eravamo abituati da tanto tempo

Mons. Galantino

Galantino ha fatto un diligente excursus, dagli anni Ottanta a oggi, su come la nuova situazione è stata vissuta dalla Conferenza episcopale. Egli non ha fatto  riflessioni  sulla tematica della Chiesa povera e/o su una nuova necessaria normativa sulla libertà religiosa  nella situazione di oggi. Sorprendente è stato il suo richiamo al Rosmini quando ha detto: “Una parte delle sua considerazioni sulla quinta piaga le ho ritrovate  sullo sfondo dell’accordo del ‘84”. Abbiamo riletto “La piaga del piede sinistro: le servitù dei beni ecclesiastici” e le sette massime di cui vi si parla(4). La prima dice che “l’oblazione dei fedeli deve essere spontanea”. Si vuole sostenere che l’ottopermille è spontaneo? La seconda massima per proteggere “la Chiesa dalla corruzione che da sé arrecar possono i beni terreni, si era che questi si possedessero, si amministrassero e dispensassero in comune”. Si pensa forse che l’attuale gestione delle risorse non sia appannaggio esclusivo delle autorità ecclesiastiche? La terza dice che il clero deve usare dei beni per il proprio sostentamento “per il puro bisognevole” impiegando il superfluo per gli indigenti. E’ forse quanto sta avvenendo? Vorremmo conoscere i criteri di spesa e i bilanci delle diocesi e degli Istituti per il sostentamento del clero. Essi sono attualmente  in Italia un vero e proprio segreto di curia e non sappiamo  quanto siano conosciuti e rendicontati adeguatamente all’interno delle stesse strutture ecclesiastiche. Ma il Rosmini sosteneva che gli “antichi vescovi conferivano col loro popolo e col clero anche per ciò che riguardava i beni temporali”  e che si doveva pubblicare “un annuale rendiconto…sicchè l’opinione dei fedeli di Dio potesse esprimere una sanzione di pubblica stima o di biasimo”. Si vuole forse sostenere che i dati troppo aggregati e molto generici divulgati online dalla CEI e, semiclandestinamente, dalle diocesi su come vengono impiegate le risorse provenienti dall’ottopermille (e che non è mai possibile discutere in alcuna sede)  siano coerenti con quanto dice il Rosmini?

Luisito Bianchi, ha fatto una approfondita ricerca sulla gratuità dei ministeri nella storia della Chiesa a partire dal magistero paolino (5). A questa tradizione ci si dovrebbe ispirare. Egli ha, in particolare, documentato che i beni materiali della Chiesa (i cosiddetti “benefizi”) sono sempre stati considerati, almeno nelle dichiarazioni formali, patrimonium pauperum (usabili dal clero per lo stretto necessario e solo in quanto povero). Con decisione del tutto discutibile anche dal punto di vista giuridico, essi sono stati sottratti a questa antica destinazione, per essere trasferiti d’autorità agli Istituti per il Sostentamento del clero, con la legge n. 222 del 20 maggio 1985, applicativa dell’Accordo di Villa Madama, che di tutto parla meno che del loro antico scopo. “Noi Siamo Chiesa” ha collaborato a un convegno sull’intera questione della povertà nella Chiesa e sulla gestione delle sue risorse, pubblicandone  poi i contenuti (6).

Mons. Parolin

Anche il segretario di Stato Parolin –a nostro giudizio- ha fatto un intervento ricco di richiami storici ma privo di riferimenti alle novità che percorrono la Chiesa. Egli ha letto il canone 76 della Gaudium et Spes ma fermandosi davanti  al passaggio più importante che sopra abbiamo integralmente citato. Ha concluso parlando di “laicità positiva” (espressione equivoca di cui si abusa spesso) e si è richiamato continuamente all’art.1 dell’Accordo dove si parla  “della reciproca collaborazione” tra Stato e Chiesa “per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese”. Invece di assumere  questa impegnativa affermazione solo come  orientamento generale, un po’ generico e piuttosto declamatorio, a noi piacerebbe leggerla alla luce  della  storia dei rapporti tra Chiesa e società italiana in questi trenta anni per quanto riguarda problemi concreti come le mafie, le guerre, la moralità pubblica e il rapporto con le politiche del centrodestra. Che tipo di collaborazione c’è stata? Sempre a vantaggio del paese?

Dopo aver sentito Galantino e Parolin, rimangono aperte tutte le questioni  importanti, da quella della povertà della Chiesa a quella di togliere il veto a una buona legge che regolamenti la condizione nel nostro paese delle religioni prive di Intesa.

Quale percorso ora

Come movimento che si impegna dal proprio inizio per la riforma della Chiesa riteniamo che i rapporti Stato-Chiesa abbiano nel nostro paese una importanza ben maggiore di quanta essi  ne abbiano negli altri paesi. Continuiamo perciò ad occuparcene cercando di fare circolare punti di vista diversi dalla vulgata comune nella convinzione che, nei tempi lunghi, le nostre riflessioni si affermeranno nella Chiesa e nella società. E la situazione non è più quella di prima perché abbiamo fiducia nel nuovo corso di papa Francesco. Rimanendo ferma la prospettiva generale, ci permettiamo di esprimere tre auspici minimali per l’immediato futuro :

1) si apra subito nella nostra Chiesa una impegnativa discussione, a trent’anni dal nuovo Concordato, sui rapporti della Chiesa con le istituzioni (e, come cittadini, delle istituzioni con la Chiesa) e con la politica, sull’ottopermille, sulle esenzioni fiscali, sul sistema dell’insegnamento della religione cattolica e su altro ancora;

2) ogni struttura della Chiesa (parrocchie, ordini religiosi, diocesi, opere sociali…) rebus sic stantibus rifletta su quanto nella gestione delle proprie risorse  può fare subito (se già non lo fa) affinché siano praticati   criteri di sobrietà e   di maggiore impegno per i più bisognosi;

3) si inizi a praticare quanto il Rosmini ha scritto nella sesta massima della quinta piaga: le risorse siano gestite in modo trasparente e pubblico, ci siano criteri certi, siano amministrate “con vigilanza”, chi le amministra (preti e diaconi) abbia il “ suffragio della plebe cristiana secondo la tradizione apostolica (Atti 6,2): essere persone a lei note di piena sua confidenza”.

NOI SIAMO CHIESA
Roma, 18 febbraio 2014

 

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(1) Questo è il testo integrale del documento con l’elenco dei  firmatari :

“Avevamo sperato, noi che teniamo, con uguale premura, ad una Chiesa evangelicamente ispirata e ad una forma veramente laica dello Stato, che ogni residuo di prassi costantiniana fosse cancellato dai nostri ordinamenti.

Non è stato così. Gli accordi di Villa Madama, ratificati dal Parlamento nei giorni scorsi, eliminano dal vecchio Concordato norme incostituzionali o disapplicate da tempo o cancellate dal referendum del ’74.
Permane invece l’insegnamento confessionale della religione cattolica pagato dallo Stato, anche se gestito in modo più moderno; la struttura gerarchica della Chiesa verrà finanziata in misura sicuramente non inferiore a quella attuale. Questi fondi saranno prelevati di fatto dal bilancio dello Stato e saranno gestiti in modo accentrato dalle Diocesi e dalla CEI con una stretto intreccio tra nuovo apparato amministrativo della Chiesa e la pubblica amministrazione dello Stato. Sono state estese le materie sulle quali Governo e Conferenza episcopale stringeranno accordi ed è auspicato l’ulteriore ampliamento del sistema pattizio ed il suo decentramento alle Regioni ed alle Diocesi.

Ci troviamo di fronte ad una modernizzazione e ad un vero e proprio rilancio del sistema concordatario.

Siamo convinti che in questo modo si limita la sovranità dello Stato ed è compromessa la vera libertà della Chiesa che continua a godere di una condizione di privilegio.

Queste scelte del Vaticano, condivise dalla CEI, ci sembrano contrarie alla più genuina ispirazione conciliare ed alle aspettative diffuse tra i cristiani per una Chiesa credibile e povera, sostenuta dalla fede e libera di predicare e di praticare la pace fondata sulla giustizia e sulla libertà.

Nulla ci aspettavamo dal partito che si definisce cristiano, dobbiamo invece protestare contro i partiti laici che nei giorni scorsi hanno ratificato questo Concordato. Anche il Partito Comunista ha ceduto alle ragioni del realismo allineandosi al partito socialista, immemore delle sue tradizioni. Minoranze combattive hanno però testimoniato alla Camera un’opposizione che nel paese è ben più vasta di quanto sia in Parlamento.

Siamo contro ogni neocostantinianesimo, e la nostra speranza è che libertà e laicità si radichino e crescano nelle coscienze dei cittadini e dei credenti perché finalmente deperisca per sempre la logica dei patti stretti da una parte e dall’altra nel nome del potere”.

Vittorio Agnoletto, Enrico Bacci, Ernesto Balducci, Piero Barbaini, Sebastiano Baroni, Vittorio Bellavite, Gigi Berta, Natale Bianchi, Marco Boato, Ciro Castaldo, Centro “La Porta” di Bergamo, Pasquale Colella, Lucia Corbo, Cristiani per il socialismo (Milano), Mario Cuminetti, Roberto D’Alessio, Alberto De Nadai, Camillo De Piàz, Carlo Fornoni, Giovanni Franzoni, Gianni e Maria Gennari, Filippo Gentiloni, Giulio Girardi, Domenico Jervolino, Raniero La Valle, Nino Lisi, Gerardo Lutte, Gianni Manziega, Anna Maria Marenco, Anna Maria Marlia, Ettore Masina, Enzo Mazzi, Nuova Corsia (Milano), Amato Piaggio, Rita Pierro, Lucia Pigni, José Ramos Regidor, redazione di “Adista” (Roma), redazione di “Com-Nuovi Tempi” ora “Confronti” (Roma), redazione de “Il Tetto” (Napoli), Armido Rizzi, Carlo Rubini, Francesco Saija, Luigi Sandri, Fausto Tortora, Marcello Vigli, Umberto Vivarelli, Gian Gabriele Vertova, Adriana Zarri, Antonio Zavoli, Agostino Zerbinati.                             Roma, marzo 1985

(2) cfr. Gennaro Acquaviva-Giuseppe De Rita  “La Chiesa galassia e l’ultimo Concordato” (a cura di Luigi Accattoli) Rusconi editore 1987, pagg.135-137

(3) cfr. idem pag. 138

(4) cfr. Antonio Rosmini  “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa” (a cura di Clemente Riva), Morcelliana 1967 , pag.317 e segg.

(5) cfr. Luisito Bianchi “Il monologo partigiano sulla gratuità” collana  Inter Quaestiones dell’Abbazia di Praglia, Poligrafo editore  2004

(6) vedi Autori vari “Sulla Chiesa povera”, edizioni La Meridiana 2008. Si legga, in particolare, a pag. 92 sul patrimonium pauperum.  Qui di seguito l’Indice del volumetto :

Prefazione
Armido Rizzi

Sommario
Perché ci occupiamo di questo problema – Teresa Ciccolini
La povertà della Chiesa e nella Chiesa secondo le Scritture – Rosanna Virgili
Povertà e gratuità del ministero nella storia della Chiesa – Luisito Bianchi
A quaranta anni dal Concilio dov’è la Chiesa dei poveri ? – Roberto Fiorini
Le risorse economiche e la loro gestione nella Chiesa italiana oggi – Vittorio Bellavite

Documentazione

Domande rivolte ai vescovi italiani sui bilanci della Chiesa e le loro risposte
L’impegno solenne di cento Padri conciliari per la povertà (novembre 1965)
Il documento del Card. Lercaro a Paolo VI  (19 novembre 1964)
La Chiesa dei poveri al Vaticano II (di M.D. Chenu su “Concilium” del 4/1977)
Gli articoli della legge 222 del 20 maggio 1985 sull’ottopermille
Il rendiconto ufficiale della Chiesa allo Stato sulla gestione dell’ottopermille
I dati della gestione dell’ottopermille (informazioni CEI)