Donne in vista di L.Menapace

Lidia Menapace
www.italialaica.it | 27.02.2014

Sulla maggiore visibilità di donne nelle istituzioni, dal governo Renzi in poi si è aperto un dibattito talora astioso tra noi donne e nobilmente “protettivo” da parte di alcuni “patriarchi gentili”. Vorrei dire la mia più compiutamente di quanto non abbia fatto subito, comunque confermando quanto già detto. Le elettrici in Italia sono più degli elettori dal referendum monarchia/repubblica in qua e ora -come da ultimo censimento- noi cittadine siamo circa duemilioni e 200.000 più degli elettori. Se la nostra vuol essere una democrazia rappresentativa anche dei generi, la presenza di donne nelle istituzioni dovrebbe essere addirittura del 52% a 48.

Chi deve preoccuparsene? chi sta al potere deve farsene carico, ex art.3cost. che dice che “la Repubblica rimuove gli ostacoli ecc.ecc.”. Dunque è inadempiente: ricordo che sul citato articolo 3 fu relatrice alla Costituente la bravissima e compianta e allora la più giovane partecipe dell’Assemblea Teresa Mattei e si deve ritenere questo articolo egualitario proprio segnato dalla azione politica delle donne costituenti.

Come fa la Republica a rimuovere ecc.? può prendere esempio dalle donne norvegesi, le prime al mondo ad avere ottenuto il riconoscimento del diritto di voto attivo e passivo. Poichè pensavano che spontaneamente non sarebbe stata riconosciuta anche l’entità della loro presenza, inventarono una clausola, detta “clausola di non sopraffazione di genere” (ridicolmente tradotta da noi “quote rosa”), la quale dice che nella composizione delle liste nessun genere può superare il 60% dei posti, nessuno avere meno del 40, in modo che col tempo una equilibrata e non meccanica rappresentanza si stabilizzi tra i generi. La norma é transitoria e avrebbe dovuto durare fino a che spontaneamente le liste sarebbero state composte così: la norma transitoria è ancora in vigore anche in Norvegia. Dunque un margine di diffidenza è fondato.

Inoltre se si vuole un riequilibrio tra i generi bisogna chiederlo, pretenderlo, come fece Olympe de Gouges già nel 1793 nel corso della Rivoluzione francese, evitando però una sua ingenuità fatale: Olympe scrisse “I diritti delle donna e della cittadina”, chiedendo il voto, che le bambine e ragazze andassero a scuola, che le donne potessero dare il loro cognome a figli e figlie, e che il parto fosse assistito in modo da non essere sempre o quasi un rischio di morte, tutto giusto e non tutto raggiunto finora. Aggiunse imprudentemente: se possiamo salire al patibolo, potremo ben salire anche alla tribuna e fu prontamente ascoltata e ghigliottinata: mai lasciargli una scelta, dire sempre che cosa si chiede.

Qualche “patriarca gentile” (come si dice in gergo femminista) ci suggerisce di non accontentarci di donne elette a caso e così poco adatte alla bisogna: ma perchè non si preoccupa del livello dei suoi simili? o pensa di sorvegliare lui la scelta delle donne e noi donne quella degli uomini? così incominceremmo a liberarci di tutti quelli che non tengono le mani a posto, e avanti, dato che tra Strauss Kahn, Netanyahu, Hollande, Berlusconi, ecc.ecc. non c’è che l’imbarazzo della scelta. Non mi convince proprio.

Penso che dobbiamo registrare che le nostre insistenze stanno smuovendo materialmente l’ostacolo e mantenere il diritto di giudicare e criticare anche le elette, come giudichiamo e critichiamo anche gli eletti. A me sembra giusto e normale.