Il nuovo governo e le politiche di genere

Marina Pivetta
www.womenews.net

Fa piacere che il nuovo Governo sia formato da donne e uomini in un rapporto 50 a 50. Mi chiedo se questo atto del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi abbia avuto, come retro-pensiero – suggerito magari dalla moglie da lui pubblicamente ringraziata – quello di dare risposta ad una domanda politica che da decenni viene rivolta a gran voce: perché continuano a tener fuori le donne dalle porte del potere?

Bene, Matteo Renzi le ha aperte e di questo gli va dato atto. Però le modalità non sono certo nuove. Il vecchio metodo – in questo caso obbligatorio – della cooptazione ci dice che ancora molta strada deve essere fatta sul piano inclinato della rappresentanza politica. Non dimentichiamo che dietro l’angolo c’é la legge elettorale!

Il 50 e 50 non può essere una scelta di facciata. Quindi la riforma elettorale che risulta tra i primi impegni di questo nuovo governo dovrà tener conto della rappresentanza di genere senza nessun possibile trabocchetto.

Ma torniamo al Governo. Nominare delle Ministre non garantisce, in maniera automatica, politiche di genere capaci di dare risposta ai bisogni delle donne. Sicurezza economica, partecipazione alla vita politica, culturale e sociale… vedono, soprattutto in questi tempi di crisi, le donne fortemente penalizzate, anche se, a detta di molti e sottolineo il maschile, sono loro a poter diventare le motrici di una rinascita che le veda protagoniste, assieme ai giovani.

In questo Governo non è prevista la Ministra per le Pari Opportunità. Chi, allora, potrà fare da riferimento a quella fitta rete associativa che da decenni permea il territorio coprendo vuoti istituzionali?

Forse, dovrà essere lo stesso Presidente del Consiglio a farsene carico se non vuole che questa sua scelta innovativa rimanga solo un’ operazione di facciata anche se con un buon impatto simbolico. Dunque, dovrà assumersi lui la responsabilità di dare continuità al dialogo con il mondo dell’associazionismo femminile. Oppure affidare la delega a qualcuno/a che sia in grado di farlo.

Chissà se questa scelta del 50 e 50 in sede governativa non faccia fare anche un passo in avanti a non poche parlamentari, a tante giornaliste e a molti loro colleghi che, pur declinando i congiuntivi in modo perfetto, si ostinano a sbagliare concordanze e desinenze solo perché si vergognano a dire ministra o deputata o senatrice. Quale il loro retro-pensiero? Modificare i comportamenti politici significa avere anche la capacità di modificare i propri comportamenti culturali che sono anche linguistici! Perché non cercare di far coincidere forma e contenuto?

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50% di donne al Governo. Non sto serena

Giulia Rodano
www.womenews.net

Nel governo la metà dei ministri sono donne. Ma io non sto serena. Rimane qualcosa che non mi convince, anzi, per dirla tutta, che mi irrita, un sassolino nella scarpa o una briciola tra le lenzuola.
 Non sto serena perché solo qualche settimana fa una giovane donna in gamba è rimasta fuori dal Consiglio regionale della Sardegna.

Nonostante Michela Murgias avesse raccolto oltre il 10% dei consensi. E non ho sentito una sola parola di condanna su una legge elettorale così infame, Anzi la Tavola della parità ha ribadito la richiesta di modifiche corporative all’ Italicum, che tanto somiglia alla legge sarda.


Non sto serena perché delle donne ministro una è portatrice di clamorosi conflitti di interesse, un’altra intende governare la scuola applicando invece che rovesciando le ricette devastanti dei suoi predecessori e perché della terza non ho sentito una sola parola conto gli F35. E siamo solo alle prime battute.

Mi si dirà, ma potrebbero fare altrettanto gli uomini. E vero. E quindi non basta che ci siano le donne per farmi essere serena. Non è questa presenza che fa la novità del governo.

Possibile che in un governo con otto ministre non ci sia una parola nel programma per la lotta alle dimissioni in bianco, non vengano pronunciata dal presidente del Consiglio le parole giustizia sociale, o il temine evasione fiscale o la parola precariato o al a disoccupazione intellettuale.

Che non ci sia una parola per le ragazze che devono rinunciare alla maternità perché la partita Iva o il contratto a termine non le garantiscono più. Non sto serena.
A me avevano insegnato, le tante che mi hanno preceduto e che hanno aperto la strada, che le donne, lottando per la loro liberta, avrebbero contribuito alla liberta di tutte e di tutti.
Avrebbero cambiato la politica, le sue forme e i suoi contenuti, avrebbero rovesciato il punto di vista sulle cose, affermando quello di genere. Avrebbe preteso un mondo in cui dove ogni volta che si pensa o di dice uno non può che dirsi e intendersi due.
Invece sembra bastarci che ci sia un numero di ministre pari a quello dei ministri, chiunque siano, qualunque cosa facciano e dicano.
Sembra bastarci – esattamente come agli uomini – che ci vengano assicurati dei posticini sicuri in una brutta legge elettorale.

Non ci interessa che più della metà delle donne sarde siano fuori della rappresentanza. Non ci viene in mente che una legge che esclude i cittadini, escluderà le donne e le escluderà di più. Ma quello che sembra interessarci è essere il 50% dei non esclusi.

Le donne non devono salvare il mondo, mi si dice. Ma milioni di donne non sono libere, in Italia. A che pro il 50/50 se loro sempre non libere rimangono?