Un programma fallimentare che sottrae risorse al Paese. Tutti i numeri sugli F35

Giampaolo Petrucci
Adista Notizie n. 8 del 01/03/2014

Ritardi, inaffidabilità, costi alle stelle, scarsa trasparenza. Il maxi programma d’armamento Joint Strike Fighter (Jsf), che comporta l’acquisto di 90 cacciabombardieri di quinta generazione F35 prodotti dalla multinazionale armiera Lokheed Martin, è tutto sbagliato e, a livello istituzionale, si decide di insabbiare il fallimento, proseguendo comunque nell’insostenibile spesa, abbassando la trasparenza delle informazioni e raccontando anche qualche bella bugia. Prosegue l’«opera informativa e di trasparenza» avviata, già dal 2009, dalla Campagna “Taglia le ali alle armi”, per svelare quell’«opacità che ha fin dall’inizio contraddistinto le informazioni ufficiali» e per rinnovare le «richieste parlamentari di cancellazione della nostra partecipazione» al Jsf (www.disarmo.org/nof35).

Lo scorso 17 febbraio, presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco, nel cuore di Roma, è stato presentato il secondo rapporto della Campagna, dal titolo: “Caccia F35. La verità oltre l’opacità”. Si dichiara nel comunicato stampa successivo al lancio che, «in presenza di opacità e carenze informative, è ancora una volta il lavoro delle reti della Pace e del Disarmo a mettere a disposizione di politica ed opinione pubblica uno sguardo realistico sul programma militare più costoso della storia».

E sì, perché ad attendere che la politica (magari il Ministero della Difesa) si attivi per rendere trasparenti le ragioni, le regole e i numeri del Jsf, verrebbe da dire, ci si potrebbe far vecchi. Al centro della denuncia del dossier, infatti, proprio l’omertà politica e mediatica che soggiace a tutto il processo di adesione e di procrastinazione del piano d’armamento. Ma una volta squarciato il velo, è poi facile intuire cosa realmente c’è dietro un programma, considerato ormai anche dall’opinione pubblica sensibilizzata dalle mobilitazioni della società civile e dalla base cristiana, fallimentare sotto ogni punto di vista: economico prima di tutto, ma anche strategico, tecnologico e politico.

Tanto che, si legge ancora nel comunicato, il Jsf «non è “solo” una questione che riguarda i pacifisti: sono in gioco il modello di Difesa del nostro Paese e le sue politiche di spesa militare, ma più in generale l’impostazione strategica che guida le scelte economico-finanziarie del governo e l’impiego delle risorse pubbliche in una fase di crisi economica e sociale drammatica che sta colpendo gran parte dei cittadini italiani». L’acquisto e lo sviluppo dei velivoli, infatti, costeranno all’Italia ben 14 miliardi di euro (oltre 52 per l’intera gestione del programma): una manovra, spiega il comunicato, che «sottrae le risorse necessarie per affrontare le vere priorità del Paese, quelle con le quali i giovani, gli studenti, i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione, gli abitanti di territori abbandonati all’incuria si confrontano ogni giorno».

Ecco così chiarito lo slogan «le armi non uccidono solo quando sparano», con cui il coordinatore della Rete Disarmo, Francesco Vignarca, ha aperto la conferenza stampa. Vignarca ha citato le cifre presentate dettagliatamente dal rapporto e ha concluso che si tratta di «un programma fuori controllo»: i costi lievitano ben oltre ogni previsione della Difesa; dei 10mila posti di lavoro promessi dalla Difesa un anno fa si è calati ad un’aspettativa di molto inferiore al migliaio; rispetto ad un investimento pubblico già effettuato di 3,4 miliardi di euro (fasi di sviluppo e primi acquisti), si prevede un ritorno industriale sulle aziende italiane di appena il 19%. Infine, dato non irrilevante, il livello di affidabilità tecnica: dati alla mano, Vignarca ha dichiarato che, di 90 velivoli acquistati, solo 30 sarebbero effettivamente impiegabili in azioni militari reali.

Intanto, il Canada è uscito dal programma e l’Olanda ha confermato solo 37 dei 85 aerei. E l’Italia? Il rapporto denuncia che la questione è stata sottratta al dibattito pubblico e che la Difesa ha più volte tenuto all’oscuro e ignorato il Parlamento. Fino al paradosso: per ottenere informazioni sui contratti italiani, di fronte al muro di silenzio dalla nostra Difesa, la Campagna ha dovuto fare riferimento alle informazioni rese pubbliche dal Dipartimento Usa della Difesa.

Durante la mattinata è intervenuta anche Grazia Naletto, portavoce di “Sbilanciamoci!”, la quale ha presentato le possibili alternative d’impiego dei fondi per gli F35. Solo nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013, quando cioè la crisi era ai suoi massimi livelli, l’Italia ha stanziato 735 milioni di euro per il Jsf: nello stesso lasso di tempo, le politiche dell’austerità erodevano drasticamente il Fondo nazionale per le Politiche sociali, il Fondo per la non autosufficienza e il Fondo per la Famiglia; imponevano inoltre il blocco degli stipendi pubblici e l’aumento dell’Iva fino al 22%.

Il dossier lancia la sua proposta, con tanto di esempi. Con il costo di un solo F35, attualmente stimabile in 135 milioni di euro, si potrebbero avviare iniziative più digeribili, sostenibili e lungimiranti: ed esempio, retribuire 5.400 ricercatori per un anno; mettere in sicurezza 135 scuole; costruire 400 nuovi asili; comprare 21 treni per pendolari; accogliere “dignitosamente” 10.500 richiedenti asilo; in ultimo, consentire a 20.500 ragazzi di adempiere al “sacro dovere di difendere la patria”, sancito dalla Costituzione, in maniera disarmata e nonviolenta, attraverso l’istituto del Servizio Civile Nazionale, che negli anni ha però visto una progressiva erosione dei fondi a disposizione.

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F35: i numeri di un programma sbagliato

Redazione Altreconomia
www.altreconomia.it

“Taglia le ali alle armi” è una campagna che, dal 2009, dice no all’acquisto dei cacciabombardieri F-35. Nei giorni scorsi, ha presentato un nuovo rapporto sul programma Joint Strike Fighter (che potete leggere qui), intitolato – significativamente – “la verità oltre l’opacità”.
“In presenza di carenze informative -spiegano- è ancora una volta il lavoro delle reti della Pace e del disarmo a mettere a disposizione di politica e opinione pubblica uno sguardo realistico sul programma militare più costoso della storia”.

Il programma di acquisto degli F35, infatti, non è “solo” una questione che riguarda i pacifisti: “Sono in gioco il modello di Difesa del nostro Paese e le sue politiche di spesa militare, ma più in generale l’impostazione strategica che guida le scelte economico-finanziarie del Governo e l’impiego delle risorse pubbliche in una fase di crisi economica e sociale drammatica che sta colpendo gran parte dei cittadini italiani – spiega un comunicato diffuso dalla campagna -. Governare significa scegliere. Anche e soprattutto in tempi di forte crisi come questi. Gli oltre 14 miliardi per l’acquisto e lo sviluppo dei cacciabombardieri (e più di 52 per l’intera gestione del programma) potrebbero essere spesi molto meglio.

Ciascuna componente acquistata di un F-35 sottrae le risorse necessarie per affrontare le vere priorità del paese, quelle con le quali i giovani, gli studenti, i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione, gli abitanti di territori abbandonati all’incuria si confrontano ogni giorno: mancanza di occupazione, disagio abitativo, servizi sociali insufficienti, territori a rischio idrogeologico”.

Tra gli elementi messi in luce dal rapporto, che qui riassumiamo, ci sono:

– il costo complessivo del programma per l’Italia (se confermati 90 caccia), che è in minima ascesa ad oltre 14 miliardi di euro: ciò dipende dalla crescita dei costi unitari (e aumenterà ancora soprattutto considerando che gli USA stanno pensando ad un taglio nelle acquisizioni); si vocifera di riduzioni nell’acquisto anche nel nostro Paese e ciò comporterà rialzi sui costi unitari.

– La proiezione di costo totale “a piena vita” del progetto rimane su una stima di oltre 52 miliardi di euro.

– Per la prima volta vengono elencati in dettaglio tutti i contratti sottoscritti dall’Italia con gli Stati Uniti, e si dimostra come siano già stati spesi 721 milioni di euro nelle fasi di acquisto (oltre ai 2,7 miliardi per sviluppo e FACO).

– Sono 126 i milioni di euro già spesi per i primi tre caccia (quelli del Lotto VI, in prospettiva meno utilizzabili), sforando qualsiasi precedente stima del ministero della Difesa. Secondo “Taglia le ali alle armi”, la stima attuale media (conservativa) per aereo è di 135 milioni di euro complessivi.

– Le problematiche tecniche e di gestione che continuano a rimbalzare dagli Usa ci parlano di un programma in difficoltà, e per questo pericoloso anche per i partner internazionali, anche se Pentagono e Lockheed Martin minimizzano e continuano nel loro percorso. Tutto ciò però deve essere elemento da considerare attentamente da parte del nostro Parlamento, se vuole essere serio a riguardo di questa spesa pubblica.

– Nel corso del 2013 il Governo italiano ha proseguito l’acquisto dei caccia non attenendosi alle indicazioni delle mozioni di metà anno votate alla Camera e al Senato. Ciò è avvenuto non solo comprando definitivamente 3 + 3 aerei dei Lotti VI e VII con una giustificazione risibile (“si erano già sottoscritti contratti per inizio acquisto”, ma tali tipi di accordi non erano assolutamente vincolanti) ma anche facendo partire repentinamente anche il nuovo procurement del Lotti VIII e IX appena qualche giorno dopo l’ultimo voto in Senato.

– I dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro paese di circa il 19% in confronto all’investimento pubblico (meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi già spesi dal Governo italiano).

– Le aggiornate stime di costo permettono di continuare il confronto tra la spesa per i caccia ed altri utilizzi, più sensati, dei fondi pubblici. In particolare con lo stanziamento medio annuale previsto per i prossimi tre anni di 650 milioni di euro si potrebbero creare 26mila posti di lavoro qualificati, mettere in sicurezza circa 600 scuole all’anno e non tagliare ma aggiungere risorse in più al Servizio Sanitario Nazionale rafforzando anche i servizi di medicina territoriale H24.