La “Parola” che non ti ho detto. Un incontro a sostegno dell’altra informazione di Adista

Redazione
Adista Notizie n. 10 del 15/03/2014

Un’occasione di riflessione e di sensibilizzazione attorno alle tematiche legate ad un’informazione religiosa “laica”, cioè aperta, plurale e soprattutto non clericale. Ma anche un incontro sullo stile di quelli che si facevano anni fa, per il sostegno militante delle realtà di “area”. Lo hanno organizzato a Roma, il 22 febbraio scorso, l’associazione per una Informazione Equa e Solidale, il gruppo di controinformazione ecclesiale, Nuova Proposta, il nodo romano di Noi Siamo Chiesa, la Comunità cristiana di Base di S. Paolo, oltre ad Adista e Confronti: un centinaio di persone e più si sono ritrovate, presso la sede dell’università eCampus, per discutere con il teologo Vito Mancuso e con Sergio Tanzarella, storico della Chiesa, animatore della Chiesa di base casertana, per anni collaboratore del vescovo Raffaele Nogaro, sulle ragioni della progressiva “eclissi” di quella parte del mondo ecclesiale genericamente definibile come “progressista”, “conciliare” o “di sinistra”. Una eclissi che si misura non tanto in termini numerici, quanto nella mancanza di visibilità all’interno del dibattito pubblico, intra o extra ecclesiale, e anche (e forse anche in relazione a ciò) nella poca capacità di incidere dentro i processi reali di trasformazione della società e della Chiesa. All’interno di tale contesto, particolare sofferenza vivono storici organi di informazione come Adista e Confronti, per il cui sostegno – anche economico – la giornata era stata organizzata. Da una parte, ha sottolineato Valerio Gigante (della redazione di Adista), che moderava il dibattito, la cronica difficoltà in cui sono costrette a vivere testate che non hanno padrini o padroni ecclesiastici e politici, né lobby economico-finanziarie che le sostengano affinché facciano da cassa di risonanza al pensiero dominante; dall’altra, il calo di interesse attorno alle tematiche tradizionalmente proposte dalla “Chiesa altra”; ma, soprattutto, il taglio drastico dei contributi dello Stato all’editoria, che in questi anni ha determinato la chiusura di molti piccole testate indipendenti.

La “cementificazione” dell’informazione

Tanzarella ha incentrato il suo intervento soprattutto sulla vicenda della cementificazione della Campania, legata soprattutto alla figura di Caltagirone, un costruttore, ha ricordato Tanzarella, che oltre ad avere a disposizione una grande liquidità, controlla molte testate giornalistiche, tra cui anche il Mattino, un tempo la voce ufficiale della Democrazia Cristiana in Regione, oggi uno dei quotidiani che fanno opinione nel Sud Italia. Dalla fine degli anni ’90, ha raccontato Tanzarella, nel territorio casertano nacque una grande mobilitazione contro le cave di Caltagirone, utilizzate per ricavare materiale edile, ma che distruggono le montagne e il territorio campano. Il vescovo Nogaro, un manipolo di religiosi ed alcuni intellettuali sfidarono Caltagirone. Da allora il Mattino cancellò letteralmente Nogaro, il cui nome fu letteralmente rimosso dalle pagine del giornale. Se non parlava di Nogaro, il Mattino non si occupava nemmeno di cave, anche quando esse avevano relazione – come testimoniano gli atti processuali – con la criminalità organizzata e la camorra, di cui il giornale, ha detto Tanzarella, preferiva dare una immagine folklorica o sanguinaria, evitando però accuratamente di indagarne i legami con appalti, affari e politica.

Un modo di informare che paga, se – come ha affermato lo storico della Chiesa – la giornalista “anticamorra” del Mattino Rosaria Capacchione è in Parlamento e il Tg1 («con il benestare di tutti i partiti») è diretto da Mario Orfeo, direttore del Mattino dal 2002 al 2011. «Dopo l’omissione – ha proseguito Tanzarella – contro Nogaro si è consumata la vendetta». «Nel 2003, a novembre, dopo la strage di Nassiryia il Mattino titolò: “Nogaro condanna i morti di Nassirya”. Il vescovo si era limitato a rilevare come il concetto di “martiri” fosse difficilmente applicabile a quei morti, poiché nulla aveva a che vedere una missione militare con il concetto cristiano di “martirio”». Cossiga chiese l’allontanamento del vescovo da Caserta. Gli organi di stampa scatenarono una campagna mediatica furiosa. Il ministro degli Interni chiese alla Cei di rimuovere Nogaro, evidentemente ignaro delle norme ecclesiastiche. «La presidenza della Cei rispose limitandosi ad osservare che la rimozione di un vescovo non è di sua competenza». Non difese il vescovo dalle accuse. Anzi, lo isolò. «In quei giorni, l’unica testata ad aver riportato le parole di Nogaro fu Adista. Non ci voleva molto, bastava osservare il principio della ricerca della verità storica e dell’onestà. Ma solo Adista lo fece». Nel 2006, durante il governo Prodi, si parlava del rifinanziamento della missione in Afghanistan. Nogaro decise di fare un appello ai parlamentari, per metterli in guardia dalle drammatiche conseguenze di un loro voto favorevole. Maurizio Di Giacomo preparò per l’Ansa un lungo lancio di ben 25 righe. «Ma nessun giornale riportò nulla di quell’unica voce di dissenso in Italia all’interno della Conferenza episcopale sulla questione afghana. “Non possiamo mettere in difficoltà un governo amico”, dissero interpellati direttamente alcuni direttori di giornali. Solo Adista, anche in quel caso, pubblicò le parole del vescovo sulla guerra». Questa è l’informazione che c’è in Italia. Quella che forma una mentalità. E condiziona il voto e le scelte politiche dei cittadini. Per questo, ha concluso Tanzarella, «strumenti come Adista restano insostituibili per lasciare ancora qualche spiraglio dentro un mondo della comunicazione ormai quasi totalmente funzionale alle logiche del potere».

“In-formare” le coscienze

La relazione di Vito Mancuso si è invece concentrata sulla necessità di «raddrizzare i termini», di porre cioè «un filo diretto tra nomen e res, tra la parola e la realtà a cui ci riferiamo. Ecco allora l’importanza di andare alla radice del significato delle parole. Mancuso ha iniziato con il termine “informare”. La materia diventa ordinata quando viene “informata” e diventa così portatrice di significato, ha spiegato. «È come per gli ingredienti di una torta: se non c’è la ricetta, la materia grezza non darà mai luogo ad una forma ordinata. Quando si fa informazione ci si dovrebbe mettere nell’ottica più complessiva di chi mette ordine e organizza». Del resto, polemos è il padre di tutte le cose, come dice Eraclito: per questa ragione, ha spiegato Mancuso, è il conflitto che forma l’essere. L’informazione assume quindi un ruolo cruciale nella società. E il suo controllo diventa funzionale ad orientare le coscienze. Per questo motivo coloro che vogliono conquistare e mantenere il potere e l’egemonia si servono dell’informazione. «Quello che suscita particolare indignazione è l’esercizio di questo stile quando si parla di informazione religiosa, quando è la Chiesa il soggetto che esercita il ruolo di orientare e gestire l’informazione».

Se il termine informazione è cruciale, altrettando si può infatti dire per l’aggettivo “religiosa”. «“Religione” viene da religio, un termine che fa riferimento a ciò che lega, collega, relaziona. Non al proprio ego, alla propria ambizione ma al logos, al karma, alla sophia, a qualcosa cioè di più grande. La stessa radice “gl” di lego, lex, logos, tutti concetti che hanno in sé il significato di tenere assieme L’informazione religiosa dovrebbe perciò essere animata da questo desiderio di produrre un movimento di collegamento tra singolo e insieme, tra il singolo e la logica complessiva del mondo. Del resto, “informazione” e “religiosa” rimandano alla medesima logica. Quante più relazioni ci sono tanto più l’informazione è ricca. La vera informazione religiosa deve quindi amare la diversità e l’alterità. Perché è la pluralità che crea collegamenti e quindi arricchisce. L’informazione che ama la pluralità serve la verità; non il potere. Ed è servizio spirituale nel suo senso più pieno»: «Possiamo dare informazione corretta solo nella misura in cui siamo informazione corretta».