“Mamma, perché Dio è maschio?” Un libro sugli stereotipi di genere di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Documenti n. 9 – 8 Marzo 2014

. A rendere l’idea di quanto, fin dalla più tenera età, il simbolico sia importante nella costruzione del proprio sé e della propria identità, forse basta quanto Pina Caporaso, insegnante di Pistoia, racconta all’inizio del documentario “Bomba libera tutti”, realizzato nel 2012 insieme a Daniele Lazzara e dedicato alla riflessione sugli stereotipi di genere tra i bambini e le bambine. «C’è un aneddoto della mia vita di insegnante che racconto spesso e che ho voluto collocare all’origine di questa storia. In seconda elementare portammo la classe ad una mostra d’arte contemporanea. Tornati a scuola scrivemmo l’elenco dei nomi degli artisti, incollandovi accanto la foto dell’opera esposta. In fondo c’era uno spazio nel quale i bambini e le bambine dovevano fingersi artisti, scrivere il proprio nome e disegnare un’opera inventata da loro. Nell’entusiasmo generale, arrivò come una doccia fredda la domanda di Matilde: “Maestra, ma l’artista può essere anche una femmina?”. Rispondendole di sì le chiesi come mai avesse fatto quella domanda. “Perché tutti gli artisti della mostra erano maschi…”».

Fiabe, modelli familiari, immagini televisive o pubblicitarie, libri scolastici: a tutto questo, e ad altro ancora, attingono i bambini e le bambine alle prese con la costruzione della propria identità e con la percezione del proprio genere. E per questo, di fronte alla diffusione degli impoverenti stereotipi maschili e femminili che vediamo ogni giorno, libri come Dalla parte delle bambine, che Elena Gianini Belotti scrisse nel 1973, o il suo “sequel”, Ancora dalla parte delle bambine, che Loredana Lipperini ha dato alle stampe nel 2007, restano, purtroppo, di stringente attualità.

Sarebbe bene riprenderli in mano, così come sarebbe bene immergersi nella lettura di Mamma, perché Dio è maschio? Educazione e differenza di genere (Effatà Editrice, 2013, pp. 218, euro 18) che Rita Torti – esperta di studi di genere e collaboratrice di enti, scuole e associazioni per progetti sui temi del femminile-maschile in ambito culturale, sociale e religioso – ha da poco pubblicato nella collana “Sui generis” della casa editrice Effatà.

Motore del lavoro di Torti – che si inserisce a pieno titolo nel solco di Gianini Belotti e Lipperini, ma con uno sguardo rivolto soprattutto alla dimensione religiosa – è stato il lavoro preparatorio per il Convegno “Ma tu la pipì come la fai? Femmine&maschi: i bambini ne parlano, noi ne parliamo ai bambini”, organizzato nel 2012 dall’Ufficio Scuola della diocesi di Parma. «Era la dodicesima edizione – spiega l’autrice nel Prologo – di un’iniziativa nata per ragionare, con educatrici/educatori, insegnanti e genitori, sulle domande che bambini e bambine rivolgono ai grandi e che, in modo più o meno diretto, coinvolgono l’aspetto evidenziato nell’intestazione comune a tutta la serie dei convegni: “La fede dei bambini da -9 mesi a 8 anni”».

Dopo aver tracciato un percorso all’interno delle dinamiche sociali in cui con maggiore evidenza idee ed esperienze di femminilità e mascolinità si incontrano e interloquiscono, il libro entra nel vivo mettendo in dialogo il quadro di acquisizioni e domande emerso con realtà legate all’esperienza religiosa. Oltre all’analisi della riflessione sul maschile/femminile elaborata dall’Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani) e a un excursus sulla trattazione dei medesimi temi da parte di un’importante rivista rivolta a chi si occupa di educazione alla fede dei giovani (Note di pastorale giovanile), il libro si sofferma sulle riflessioni sollecitate dai disegni dei bambini e delle bambine che hanno partecipato al progetto e sulla ricognizione compiuta dall’autrice su alcuni libri di testo per l’Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola primaria.

A raccontare, per esempio, come bambine e bambini dai tre ai dieci anni immaginano Dio sono pervenuti oltre 140 disegni. Nella loro quasi totalità Dio ha fattezze umane di vario tipo. Pochissime le eccezioni, come quella di un bambino di nove anni che immagina Dio «come un nucleo luminoso». O quella della bambina che ne dà l’unica rappresentazione zoomorfica: «Io immagino che Dio sia un cerbiatto dolce, gentile e che aiuta sempre tutti». Dio ha sicuramente un sesso: in quasi tutti i disegni compare in forma maschile anche se, in quelli di alcune bambine, vi è una rappresentazione più ambigua. I capelli lunghi, per esempio, sono decisivi per una bambina che illustra il proprio disegno dettando la didascalia alla maestra: «Dio è una femmina perché ha i capelli lunghi».

Quanto ai libri di religione presi in esame, questi non si discostano dalle problematiche già evidenziate in maniera più generale da ricercatori e ricercatrici nei libri di testo delle scuole. Abramo è il solo protagonista della storia dell’alleanza. Sara c’è in tutti i libri presi in considerazione, ma non Rebecca, Rachele, Lia, citate solo da alcuni. Nessun libro menziona Sifra e Pua, le due levatrici che ingannarono il Faraone violando il suo ordine di uccidere i piccoli ebrei al momento della nascita.

Quadro che sostanzialmente non muta di segno passando al Nuovo Testamento. Insomma, bambini e bambine possono, conclude Torti, «maturare la convinzione che nella storia di Gesù e del suo popolo uno dei sessi abbia avuto grande importanza, e l’altro decisamente meno; che quella storia, se raccontata lasciando da parte uno dei due, stia in piedi ugualmente e soprattutto non cambi di significato».

Un libro importante perché, come sottolinea l’autrice, «ci sono almeno due rischi non da poco se le nuove generazioni continueranno a crescere senza avere bene in mente che la storia umana è stata fatta tanto dalle donne quanto dagli uomini; che ci sono stati modi diversi di essere donne e di essere uomini, anche compresenti nello stesso periodo e nello stesso luogo; che ci sono fonti e testimonianze di modi di vivere e di pensare, di prodotti dell’intelletto, dello spirito e delle mani di cui nei libri di scuola non si parla. E, soprattutto, che c’è un motivo per cui tutto questo è stato messo nel dimenticatoio da qualcuno che ha avuto il bisogno e il potere di farlo. Il primo rischio è che bambine e bambini, ragazzi e ragazze, non abbiano gli strumenti per porsi in modo vigile rispetto ai modelli di maschilità e femminilità che oggi vengono loro proposti; e, prima ancora, per rendersi conto che si tratta appunto di modelli, di costruzioni sociali, in quanto tali negoziabili e modificabili. Di conseguenza sarà abbastanza difficile che pensino di esercitare lo sguardo critico, il senso etico, la libertà e le energie per contribuire a un mondo in cui maschi e femmine non siano intrappolati in stereotipi e dinamiche che limitano la pienezza umana e ostacolano la realizzazione di una convivenza arricchente per entrambi. E – secondo rischio – se e quando vorranno farlo, non avendo ricevuto in eredità storie, esempi, pratiche e domande a cui appoggiarsi, è come se ogni volta dovessero ricominciare daccapo: di fronte a sé, di fronte ai pari, di fronte alle resistenze della società».