Una Chiesa “per” tutti e dunque “di” nessuno di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista n. 10 del 15/03/2014

Un libro che è il frutto di una “scuola cittadina di teologia”. Una serie di incontri, cioè, tenuti da don Luciano Scaccaglia, prete e teologo “di strada”, parroco a S. Cristina a Parma, nei mesi da giugno a novembre 2013; e pubblicati ora nel volume dal titolo: Ri… concili… amoci con la Chiesa (l’opuscolo, autoprodotto, è in distribuzione presso la Comunità parrocchiale di S. Cristina, tel. 0521/238953; e-mail: luciano.scaccaglia@virgilio.it: i proventi del libro andranno a sostegno della Casa di Accoglienza “S. Cristina”). A firmare la prefazione è Marco Travaglio. Cattolico di tradizione liberale, giornalista formatosi nella stampa diocesana (cioè alla voce del popolo di Torino), Travaglio confessa subito di non essere un esperto del Concilio Vaticano II, e nemmeno dei precedenti concilii. Di essere anzi, «un profano assoluto». Altra “aggravante”, quella di essere «un conservatore in un Paese dove c’è ben poco da conservare» (come diceva Leo Longanesi), e quindi niente affatto «convinto che – nella religione come nella politica come in ogni altro campo della vita – ogni cambiamento sia per forza un miglioramento. Anzi. Molto spesso è il contrario». In ogni caso, aggiunge, «non mi sognerei mai di imporre i miei gusti agli altri che ne hanno di diversi, anzi di opposti: mi accontento del fatto che siano soddisfatti tutti. Perciò non mi sono mai appassionato agli opposti estremismi dei nostalgici che vorrebbero proibire l’innovazione e dei rivoluzionari che vorrebbero proibire la tradizione. Penso che per essere cristiani sia sufficiente (è una parola!) credere alla resurrezione di Cristo e cercare di comportarsi di conseguenza: tutto il resto è opinabile, dunque lecito». Insomma, secondo Travaglio, «non è per questa o quella innovazione che dobbiamo benedire Papa Giovanni XXIII che ebbe l’idea del Concilio Vaticano II e tutti i padri conciliari che quell’appuntamento riempirono di contenuti immortali, conciliando ciò che andava salvato della tradizione con le esigenze di un mondo cambiato». La Chiesa, proprio in quanto cattolica, cioè universale, «dev’essere “per” tutti e dunque “di” nessuno».

Più netto, nella sua introduzione, Ennio Mora (curatore del volume), che, citando don Milani, afferma che oggi «il rimanere nella Chiesa è appena giustificato dal monopolio dei sacramenti che essa detiene». Dal Concilio in poi, infatti, è stato percorso un «cammino in discesa» che fa assomigliare la Chiesa «più ad un’istituzione ecclesiastica che ad una Comunità di credenti, ad una organizzazione piramidale più che a un’assemblea orante e solidale, a una religione da osservare più che a una fede da vivere: compromissioni col potere a tutti i livelli, dogmatismo spinto e fine a se stesso, rigorismo assurdo e anacronistico, moralismo rigido, sessuofobico e deviante, integralismo identitario e farisaico». In tale contesto «il ritorno all’autentico spirito conciliare rappresenta un’occasione ghiotta per revisionare profondamente la macchina ecclesiale».

Seguono quindi, uno dopo l’altro i testi degli incontri tenuti da don Luciano, che ripercorrono l’evento conciliare con rigore storico e documentale, ma con un linguaggio per “non addetti”, dalla attesa seguita al suo annuncio ai temi affrontati nel corso dell’assise, alle grandi questioni che il dibattito conciliare ha sollevato, in tema di donne, ruolo dei laici, liturgia, ecumenismo, dialogo interreligioso, Chiesa dei poveri. E questo non solo guardando agli anni del Vaticano II, ma anche ai decenni successivi, nei quali il Vaticano II si andava incarnando, tra difficoltà e contraddizioni, nelle Chiese locali, oltre che in quella universale.

Nell’ultimo incontro, intitolato “Motivi di speranza”, Scaccaglia conclude il suo percorso citando diverse auctoritas, dal card. Carlo Maria Martini a don Andrea Gallo; da don Pino Puglisi fino ai teologi Boff, Küng e Tamayo, ma soprattutto papa Francesco (citatissimo) che nelle loro parole e nei loro gesti hanno rivelato la volontà di pensare e costruire una Chiesa più profondamente evangelica e radicata nel Concilio. Soprattutto in papa Bergoglio, su cui forte (eccessiva?) si avverte la fiducia riposta dall’autore, Scaccaglia individua l’artefice di imminenti, profondi, rinnovamenti nella struttura della gerarchia, nella riforma della Curia e finanziaria, nella pastorale, nel dialogo con il mondo laico, specie sui temi etici.