I vescovi secondo Francesco di L.Sandri

Luigi Sandri
Il Trentino, 17 marzo 2014

Per la vita della Chiesa cattolica romana – una Comunità sparsa in tutti i Paesi del mondo, e suddivisa in circa duemila diocesi, situate in diversificati contesti ecclesiali e geopolitici – cruciale è la questione della scelta dei vescovi. In merito, pochi giorni fa papa Francesco ha fatto un impegnativo discorso sull’identikit del pastore, da lui definito “un martire del Signore Risorto”, che senza farsi incatenare da interessi mondani, annuncia al suo popolo la Parola di Dio.

E, a proposito di chi scelga il vescovo, ha parlato del “complesso lavoro” delle Nunziature e della Congregazione per i vescovi (il dicastero della Curia romana, oggi guidato dal cardinale canadese Marc Ouellet, che ha questo compito); ma ha lasciato in ombra il ruolo del “popolo di Dio”.

La prassi in vigore, in effetti, prevede che il nunzio della nazione in cui si trova la diocesi interessata interpelli, riservatamente, un gruppo ristrettissimo di persone per preparare una terna di candidati; la Congregazione curiale li esamina e poi invia le sue conclusioni al papa, che rimane sempre liberissimo di accettarle o meno. Rarissime sono le eccezioni, nella Chiesa latina, a questa procedura: così in un paio di diocesi svizzere è il capitolo della cattedrale che decide la terna.

Mentre è stringente nel descrivere il “chi è” del vescovo, Francesco ignora invece una questione molto spesso affiorata dopo il Vaticano II: quale è il ruolo del “popolo di Dio”, cioè dei fedeli di una diocesi, nella scelta del proprio pastore? Vi è, in merito, un’impressionante distonia tra le solenni proclamazioni del Concilio e la realtà: infatti, mentre contano la diplomazia pontificia e la Curia romana, il «popolo di Dio» è silenziato.

Eppure, nei primi secoli della Chiesa erano clero e fedeli a scegliere il loro pastore; poi, poco alla volta, il clero escluse la gente, e infine la Curia avocò tutto a sé. È vero che anche allora scoppiavano aspre contese tra opposte fazioni, per far prevalere l’una o l’altra candidatura. Ma, in linea di principio, la normalità era la partecipazione della gente. E oggi?

Pur nelle mutate circostanze, non vi sarà cambiamento sostanziale della strutturazione storica della Chiesa romana senza lo “spostamento” da Roma alle Chiese locali del compito di nomina del loro pastore. Una transizione che, ovviamente, esige gradualità, e procedure accertate, ad esempio affidando la scelta del vescovo ai Consigli pastorali e presbiterali che, in parte, sono eletti dalla gente.

Ma “dovrà” avvenire, altrimenti evapora la proclamata volontà di riforma della Chiesa romana. In proposito, in Germania sarà ritenuto un test significativo il “come” Francesco sceglierà il successore dell’arcivescovo di Colonia, cardinale Joachim Meisner, che si è dimesso – ottantenne – due settimane fa. Aveva detto il papa, nel suo discorso: “Il domani della Chiesa abita sempre nelle sue origini”. E allora? Coraggio, Francesco