Ucraina: USA e Russia alla resa dei conti

Michele Paris
www.altrenotizie.org

La prova di forza tra l’Occidente e la Russia dopo il colpo di stato in Ucraina – favorito dagli USA e dai loro alleati e condotto da formazioni armate neo-fasciste – continua senza sosta dopo l’incontro di questa settimana alla Casa Bianca tra il presidente Obama e il neo-premier Arseny Yatseniuk e il persistente fallimento degli sforzi diplomatici per risolvere la crisi.

In seguito alle nuove minacce di sanzioni economiche e all’escalation militare volta ad accerchiare la Russia da parte degli Stati Uniti e della NATO, Mosca è ricorsa ad alcune contromosse. Non solo il Cremlino ha annunciato l’inizio di una nuova esercitazione militare ai confini con l’Ucraina, ma ha anche prospettato l’adozione di proprie sanzioni “simmetriche” in risposta a quelle occidentali.

Il ministero della Difesa russo ha fatto sapere che le esercitazioni coinvolgeranno 8.500 uomini e svariati equipaggiamenti bellici, facendo aumentare immediatamente i timori di un possibile allargamento dell’intervento dalla Crimea ad altre regioni dell’Ucraina orientale.

In merito alle sanzioni, a parlare è stato il vice ministro per lo Sviluppo Economico, Alexei Likhachev, il quale ha promesso azioni di ritorsione nel caso dovessero essere presi provvedimenti di natura economica da parte dei governi occidentali. L’arma principale russa, anche se non l’unica, potrebbe essere quella energetica, visto che molti paesi europei dipendono quasi interamente dalle forniture di gas provenienti da Mosca, senza disporre a breve di alternative percorribili.

In vista del referendum sull’indipendenza della Crimea previsto per domenica prossima, intanto, il parlamento di Kiev ha chiesto ufficialmente alle Nazioni Unite di convocare una sessione di emergenza al Palazzo di Vetro per impedire “l’annessione” della penisola sul Mar Nero da parte della Russia. L’appello dei parlamentari ucraini si baserebbe sul principio di auto-difesa, riconosciuto dall’ONU, secondo il quale un paese ha il diritto di chiedere l’aiuto di altri stati o di organizzazioni per la sicurezza collettiva – come la NATO – per ristabilire la propria integrità territoriale quando essa viene violata.

Qualsiasi risoluzione ONU in questo senso non ha ovviamente alcuna possibilità di essere approvata dal Consiglio di Sicurezza, dove la Russia detiene il potere di veto, ma l’appello di Kiev potrebbe fornire la giustificazione di un intervento della NATO a sostegno di un paese che di essa non fa parte – come l’Ucraina – in caso di escalation della crisi.

Proprio questo scenario lo ha evocato un paio di giorni fa il capo di Stato Maggiore USA, generale Martin Dempsey, assicurando che le forze armate americane sono pronte a “rispondere militarmente” alla Russia, se sarà necessario.

Preparativi militari stanno avvenendo anche nella stessa Ucraina dopo l’annuncio del presidente ad interim, Oleksandr Turchynov, della necessità di lanciare un piano di arruolamento di decine di migliaia di volontari in un esercito attualmente ridotto all’osso.

Secondo il segretario del Consiglio per la Sicurezza Nazionale e la Difesa, Andry Parubiy, già 40 mila volontari avrebbero risposto all’appello delle nuove autorità. L’annuncio di Parubiy suona a dir poco sinistro visti i suoi precedenti. Quest’ultimo è infatti uno dei numerosi esponenti della galassia dell’estrema destra ucraina che sono stati protagonisti della deposizione illegale dell’ormai ex presidente Yanukovich e che hanno ottenuto incarichi di rilievo nel nuovo governo.

Parubiy è ad esempio il co-fondatore del partito anti-semita Svoboda e durante gli scontri di piazza delle scorse settimane aveva guidato i gruppi paramilitari neo-fascisti inquadrati nell’organizzazione “Settore Destro” contro le forze dell’ordine.

A formazioni simili, va ricordato, appartenevano i cecchini che nelle fasi finali del confronto con il governo Yanukovich si sono resi responsabili della gran parte dei morti nelle strade di Kiev. La conferma di ciò era emersa la settimana scorsa in seguito alla pubblicazione di una conversazione telefonica tra il ministro degli Esteri estone, Urman Paet, e la numero uno della diplomazia UE, baronessa Catherine Ashton, nella quale il primo spiegava appunto che i cecchini facevano parte dell’opposizione e non delle forze di sicurezza.

Come la Ashton – con ogni probabilità già a conoscenza dei fatti descritti da Paet – media e governi occidentali hanno accolto con indifferenza la rivelazione esplosiva su eventi che sono risultati determinanti nel mobilitare l’opinione pubblica occidentale a favore del golpe, portato a termine dopo la diffusione della notizia delle decine di morti a Kiev.

Il silenzio occidentale riguarda poi anche la stessa presenza nel nuovo governo ucraino di individui come Parubiy, il cui vice nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Dmytro Yarosh, è il fondatore di “Settore Destro”. I tentativi di minimizzare il ruolo dell’estrema destra violenta e neo-fascista nelle vicende in corso a Kiev si scontrano dunque con una serie di nomine inquietanti, come ad esempio quelle di membri del partito Svoboda (già partito Nazional-Socialista di Ucraina) a ministro della Difesa (ammiraglio Ihor Tenyukh), a vice primo ministro per le questioni economiche (il fondamentalista anti-abortista Oleksandr Sych), a ministro dell’Agricoltura (Ihor Shvaika), dell’Ecologia e delle Risorse Naturali (Andriy Mokhnyk, protagonista qualche mese fa di un incontro con esponenti di Forza Nuova), dell’Educazione (Serhiy Kvit) e a Procuratore Generale (Oleh Makhnitskyi).

In questo scenario rapidamente delineatosi a Kiev con il pieno appoggio occidentale dopo la deposizione di Yanukovich, seguita anche dalla messa fuori legge della lingua russa in Ucraina, risultano poco rassicuranti le promesse fatte a Washington dal premier Yatseniuk di volere aprire un dialogo con le autorità della Crimea per aumentare il livello di autonomia della repubblica, composta per oltre il 60 per cento da russi o russofoni.

In ogni caso, al contrario delle tesi propagandate dai principali media occidentali, la risoluzione della crisi ucraina dipenderà non tanto dalle decisioni del presidente Putin ma, in larga misura, da quelle di Washington e Berlino.

In altre parole, se i resoconti ufficiali di questi giorni continuano a mettere in evidenza i presunti sforzi diplomatici dei governi occidentali per convincere Mosca a ritirare i propri soldati e ad accettare, ad esempio, la creazione un “gruppo di contatto” o l’invio di osservatori internazionali in Crimea per mettere fine allo stallo, la questione decisiva nella vicenda ucraina sembra essere in realtà il punto fino a cui gli USA e i loro alleati intenderanno spingersi per avanzare le loro mire strategiche nei confronti della Russia.

Per Putin, d’altra parte, l’Ucraina rappresenta un interesse vitale e il passaggio di questo paese sotto l’influenza occidentale, oltretutto con un regime composto da russofobi di estrema destra, rischia di portare, nel medio o lungo periodo, all’installazione di missili NATO praticamente entro i propri confini o alla sottrazione dello sbocco sul Mar Nero.

La Russia, perciò, non è in nessun modo disposta a cedere terreno se non di fronte a rassicurazioni sostanziali da parte occidentale. Più che rassicurazioni, quelle che vengono offerte al Cremlino sono però soltanto minacce che, se seguite, potrebbero condurre ad uno scontro frontale sia sul piano economico che militare, con pesantissime conseguenze, tuttavia, che l’Occidente potrebbe essere tutt’altro che disposto a dover pagare.