La costituzione non è un optional. Nemmeno per lavoro, salute, scuola di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it | 19.03.2014

L’esibizione di Matteo Renzi alla trasmissione di Vespa di giovedì 13 marzo ha confermato, se ce ne fosse stato bisogno dopo la pirotecnica conferenza stampa del giorno precedente, la sua scelta di imitare Berlusconi nelle vesti di grande comunicatore, magari mettendo a frutto anche l’esperienza di frequentatore della trasmissione di Mike Buongiorno, la ruota della fortuna.

Parlare a lungo annunciando provvedimenti presi, promettendone altri, millantati come parti di un organico programma di governo, e auspicando tagli all’imposizione fiscale non è servito solo a nascondere il vuoto delle prospettive, ma anche a camuffare le conseguenze dell’unico provvedimento tradotto in decreto legge fra i tanti annunciati: quello sui contratti dei nuovi assunti e degli apprendisti che ne peggiora le condizioni di lavoro.

Rende i primi validi per tre anni, esentati da motivazioni giustificative e rinnovabili fino ad otto volte, introducendo così la legalizzazione del precariato a vita. Per gli apprendisti elimina i vincoli nella retribuzione e nella parte riferita alle ore di formazione, e abolisce l’obbligo di confermare i precedenti prima di assumerne di nuovi.

Forse potrà servire ad incrementare l’occupazione giovanile, anche se lo stesso ministro Poletti ha detto che ci vorrà almeno un anno per avviare il tutto, ma sarà prestazione di mano d’opera, per di più a buon mercato, per benevola concessione padronale e non esercizio di un diritto garantito.

Non è il lavoro secondo Costituzione, ma è coerente con quel modello di democrazia che s’intende imporre con la pessima legge elettorale approvata dalla Camera e con le modifiche costituzionali in gestazione.

Alla stessa conclusione si giunge se si riflette sulla scarsa attenzione mostrata in quella stessa occasione per la crisi profonda in cui versa lo stato sociale. Diventato finanziariamente insostenibile per le carenze strutturali gravate dall’omologazione fra ricchi e poveri, appesantite dagli sprechi e inquinate dal clientelismo politico e familistico, ha fin qui evitato l’implosione compromettendosi con il sistema assistenziale offerto dalla Chiesa cattolica. Giustificato in nome della sussidiarietà tale compromesso costituisce una degenerazione inaccettabile di quel progetto che, con il Servizio Pubblico Nazionale, aveva sancito e reso fruibile il diritto dei cittadini alla salute. Con l’assistenzialismo delle Congregazioni religiose e delle Caritas si pratica l’amore del prossimo che, al di fuori dei rapporti interpersonali, diventa elemosina: benemerito e lodevole da parte della Chiesa, diventa inaccettabile se si sostituisce al diritto di cittadinanza nello Stato. La Chiesa povera per i poveri, invocata e predicata finalmente da papa Francesco, non deve servire da alibi per la dismissione dello Stato sociale che è parte integrante del sistema repubblicano!

Un’altra conferma di questa confusione si ritrova nel discorso sulla scuola centrato sull’edilizia e non sulla sua qualità. Per quella Letta aveva già stanziato i 2 miliardi di euro di cui Renzi si è appropriato con grande enfasi usando la scuola come occasione di rilancio dell’attività produttiva nel settore delle costruzioni.

Mancano sia un riferimento ad un grande piano per rilanciare la sua qualità, sia dichiarazioni per smentire le proposte equivoche e contraddittorie, presenti anche negli ambienti ministeriali, che la compromettono ulteriormente. Si parla di ripristino del bonus maturità, di riduzione a quattro anni della scuola superiore, di eliminazione o riduzione di varie discipline non immediatamente funzionali al mercato del lavoro e di opportunità di far vincere il merito nella valutazione degli insegnanti.

Ancor più preoccupanti a tal proposito sono le dichiarazioni, sempre più frequenti, della ministra Stefania Giannini sulla funzione della scuola paritaria da lei dichiarata come uno dei punti del sistema che funziona meglio e quindi da rafforzare, magari aumentando i finanziamenti oltre i 483 milioni già accreditati.

Nel giustificarli li presenta come necessari a garantire la libertà effettiva di scelta educativa dei genitori sposando in pieno due punti controversi della concezione clericale: la scuola non è un polo dialettico alternativo alla famiglia nel processo educativo delle giovani generazioni; nella scuola statale non c’è sufficiente pluralità di orientamenti per garantire libertà.

Tale concezione è stata autorevolmente riaffermata dall’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, parlando a trentamila persone, studenti, genitori e docenti, riunite in piazza del Duomo per la 32ª edizione della marcia «Andemmal Domm» («Andiamo al Duomo») promossa dalle scuole cattoliche dell’arcidiocesi ambrosiana. Le scuole paritarie sono intese finalizzate a ridare alle famiglie, ai genitori, la responsabilità dell’educazione dei figli almeno fino alla loro maggiore età e costituiscono la sede di un pluralismo nella proposta scolastica, che sia garantita e verificata ai vari livelli dalle Istituzioni, ma quest’ultime governino la scuola, ma non pretendano di gestirla. Lascino la libera scelta alle famiglie e al popolo.

Questa opinione è legittima pur se confutabile, per un cardinale, ma non per una ministra della Repubblica vincolata ad intendere la funzione del Sistema scolastico nazionale, di cui è responsabile, secondo i principi sanciti nella Costituzione. Questa impone alla Repubblica di dettare le norme generali sull’istruzione e di istituire su tutto il territorio scuole statali per tutti gli ordini e gradi. I privati, anche la Chiesa cattolica lo è, possono istituirle per raggiungere propri obiettivi, ma senza oneri per lo Stato e rispettando la Legge votata per fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali, che chiedono la parità. Istituire scuole private è, quindi, una concessione per rispondere ad esigenze particolari: non possono perciò sostituirsi a quelle del Sistema scolastico nazionale modellato su interessi generali.

Forse il Presidente Napolitano prima di nominare i ministri dovrebbe accertarsi della loro conoscenza del testo della Costituzione che giurano di osservare lealmente.