Quote rosa, via sbagliata di L.Muraro

Luisa Muraro
www.libreriadelledonne.it

L’attenzione che i mezzi di comunicazione prestano alle donne, più seriamente che in passato, è il segno di un cambiamento in corso.

Prendiamo il fatto finora più commentato, la battaglia trasversale che hanno ingaggiato (e perso) numerose deputate per realizzare la parità con la forza della legge. Le ho guardate con simpatia, perché hanno preso un’iniziativa che non era dettata dai capi dei rispettivi partiti; l’indipendenza femminile a me piace.

Ma non ero d’accordo con il tipo di battaglia e quando sulle prime pagine è apparsa la notizia della loro sconfitta, ho commentato sia pure con rammarico: per me questa non è una brutta notizia.

Sono persuasa che innumerevoli altre hanno provato un sentimento simile: noi donne comuni, che ci limitiamo a votare, non ci siamo sentite sconfitte. Le quote rosa imposte per legge nel parlamento non hanno il nostro favore.

Ma c’è una giusta obiezione: le donne, tutte e ciascuna, che vivono i problemi pressanti di oggi e che contribuiscono fattivamente a dargli una qualche soluzione, come far sì che siano rappresentate degnamente nella vita pubblica? Grande domanda.

Secondo me, le quote rosa in parlamento sono una risposta che non va bene. Le deputate hanno sottovalutato il malumore generale verso la politica ufficiale e devono sapere che l’elettorato femminile non è disposto a fare eccezione per le loro simili che sono in politica.

Eppure una risposta alla domanda di rappresentanza femminile, esiste. Io mi considero rappresentata da quelle che si espongono nella vita pubblica per affermare cose vere e giuste, in primo luogo le cose che troppi uomini non prendono in considerazione.

Mi sento rappresentata da donne amiche di altre donne, anche quando non la pensano uguale, come Tina Anselmi, democristiana, che dichiarò la sua stima verso la comunista Nilde Iotti.

Mi ha rappresentato quella superiora generale delle suore americane che, ritta davanti a papa Wojtyla, lo richiamò al tema del sacerdozio femminile (di cui era proibito parlare!).

Le mie studentesse si sono sentite rappresentate da quella loro compagna che si alzò per censurare un atto di autoritarismo: “prof, adesso lei esagera”. La prof in questione ero io, lo confesso.

Ho portato esempi diversi per dire che le donne come tali non sono un gruppo uniforme portatore di comuni interessi particolari, esse sono quell’umanità che domanda di esistere alla luce del sole e che sta trovando in sé la forza di riuscirci, in prima persona, senza deleghe.

Un numero piccolo ma crescente di uomini si muove insieme a loro ed è per questa via, suppongo, che si può stabilire quell’equilibrio che sta a cuore alle nostre deputate in parlamento.