Ripartiamo da un’altra Europa

colloquio con Arturo Paoli a cura di Silvia Pettiti
MicroMega n. 2 del marzo 2014

«Pensando al senso della moneta oggi nella società globale, ci viene offerto l’euro come moneta unica,
simbolo dell’unità europea da costruire giorno per giorno con l’ideale che la terra d’Europa non sia
più macchiata di sangue fratricida come lo è stata nel secolo scorso. Molti dimenticano troppo presto gli
olocausti di due guerre, che non sarebbero avvenuti in un contesto di unità europea. Non riflettono
sufficientemente che il supremo bene, che è la pace, può solo essere conquistato dall’unione fra le
nazioni e che l’euro è uno dei simboli, forse il più significativo e importante. La pace non è un valore
disincarnato, metafisico. La pace è un valore che prende corpo nel lo scambio dei beni, nella
complementarietà dell’uso delle materie prime che dovrebbe rimpiazzare la lacerante competizione che
è la legge della società capitalistica. Non dovrebbe essere decisivo che il petrolio sgorghi in una terra o
in un’altra, che una parte dell’aiuola-mondo sia più ricca di minerali e un’altra climaticamente più
capace di produrre alimenti. Sono consapevole che quello che sto scrivendo è utopistico, che l’euro
non è simbolo di questo accordo, ne siamo ancora lontani …»1.

Fratel Arturo Paoli, 101 anni compiuti
il 30 novembre scorso, piccolo fratello di Charles de Foucauld dal 1954, con 45 anni di vita trascorsi
in America Latina, pronunciava e scriveva le parole citate nel febbraio del 2002, all’indomani
dell’unificazione della moneta europea, durante un’assemblea convocata dalla Banca popolare
etica a Firenze.

I suoi numerosissimi scritti, oltre che la sua lunga vita, testimoniano come egli abbia inteso la fede
cristiana come impegno per la giustizia, la fraternità e la pace, e abbia ritenuto essenziale orientare le
proprie scelte politiche alla luce di quei valori: « “Quel candidato mi assicura i templi, le scuole
cattoliche, la libertà religiosa?”, non sono questi i criteri del Regno! I criteri del Regno sono la pace, la
giustizia, la fraternità. Questo candidato mi fa sperare che finalmente cessi la fabbrica delle armi?
Domanderò a lui: tu vuoi la pace, la giustizia? Poi non mi importa sapere qual è l’appartenenza
politica. Dobbiamo uscire dal fascino infantile dell’interesse personale perché se siamo soggiogati ad
esso tradiamo i poveri e poi è inutile parlare dei poveri: diventa una beffa» 2. Testimoniano anche la
consapevolezza che la politica sia regolata dalle leggi dell’economia: «Credo che oggi non occorra
spendere parole per affermare che le guerre e moltissime forme di violenza abbiano sempre una causa
economica; di conseguenza, come si può pensare alla pace al di fuori dell’economia il cui simbolo è
la moneta?» 3, diceva ancora a quella assemblea di economisti, evidentemente fiducioso nella loro
eticità dichiarata fin dal nome. Arturo Paoli non ha perduto la forza di denunciare contraddizioni e
ingiustizie, né la passione per l’uomo e la storia, malgrado l’anagrafe gli imponga ora inevitabili
limitazioni. Non ha avuto dunque esitazioni di fronte alla richiesta di sottoscrivere l’appello per una
lista della società civile alle prossime europee in sostegno della candidatura di Alexis Tsipras alla
presidenza della Commissione.

Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta ad aderire a una proposta che non è solo di impegno
civile, ma di natura politico-elettorale?

Tutto dipende da come si interpreta la vita: la si può interpretare come ricerca del piacere e del vantaggio
personale oppure come risposta alle richieste che ti giungono dalla vita. Quando si raggiunge la mia età –
ho superato da diversi mesi il secolo di vita – tutto si semplifica: le decisioni sgorgano dall’interno ed
esprimono quello che siamo diventati nel corso dell’esistenza. Durante la mia lunga vita ho sempre
studiato il pensiero dei filosofi e dei sociologi sulla politica e sull’economia, non per ragioni
accademiche, ma perché ho vissuto insieme ai diseredati della storia, ai depredati dalla rapacità dei ricchi
e dei potenti, vedendo in loro il volto sfigurato e il corpo umiliato del Cristo crocefisso, vittima di una
congiura politica oltre che religiosa. Ho visto con i miei occhi le conseguenze tragiche di un’ingiusta
ripartizione delle ricchezze, di una politica che mette al centro dei suoi interessi il denaro e non le persone.
Tornando in Italia ho trovato una situazione che sinceramente non mi aspettavo: questi ultimi anni della
mia vita sono i peggiori cui abbia assistito dal punto di vista politico. Abbiamo una classe dirigente
incapace e misera, che impoverisce sempre di più un numero crescente di cittadini. Non vedo alzarsi un
progetto o un metodo che sia in grado di rispondere ai bisogni essenziali dei poveri, che sono sempre più
numerosi anche in Italia. Evidentemente Europa può essere una speranza, soprattutto per noi italiani. Se c’è
un candidato europeo che si impegna per una politica che cerca di creare più giustizia e più solidarietà, io lo
sostengo. È molto semplice.

Lei si è sempre occupato degli «ultimi» del mondo, impegnandosi per la loro «liberazione»
economica e sociale oltre che spirituale. Perché ora l’impegno su una questione così «occidentale» e del
«primo mondo» come l’Europa e il parlamento europeo?

Quando ho lasciato il Brasile per fare ritorno in Italia, per motivi che dipendevano dalla mia età e dalle
necessità che inevitabilmente si presentano quando si invecchia, il cambiamento è stato grande. Qualche
volta rimpiango la vita semplice ed essenziale che ho vissuto in America Latina, che non era certo
comoda ma aveva un’armonia di fondo, poiché univa il pratico di tutti i giorni con la scelta evangelica di
stare dalla parte dei poveri. Ma quando sono tornato in Italia e mi è venuta incontro la possibilità di
vivere a Lucca, ho voltato pagina: jamais en arrière – mai indietro è il motto di padre de Foucauld, cui
ho cercato di essere fedele. Bisogna vivere là dove si è, completamente: non si può avere la testa da una
parte e il corpo da un’altra. Allora ho cominciato a interessarmi delle persone che ho attorno, che
frequentano la casa in cui vivo, che mi scrivono, e sono loro che mi hanno trasmesso l’urgenza dei
problemi gravi che attraversano l’Italia e, penso, tutto il «cosiddetto» Primo Mondo. Mi sono sempre
occupato dei giovani, di formarli a una vita responsabile e giusta attraverso lo studio, l’attenzione agli altri,
la politica. Ma è sempre più difficile interessarli perché la tecnica ha creato il mito del fai da te,
dell’uomo solo per il quale, come diceva Sartre, les autres sont l’enfer. Sono molto anziano ma sono
convinto del contrario, che il vero inferno dell’uomo sia la solitudine.
Sono anche un uomo del Novecento, che ha attraversato tutto il secolo, e credo che non ci possa essere
convivenza pacifica senza una politica che garantisca i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli. Oggi
l’Europa ha un grande bisogno di questo.

Lei ha vissuto e conosciuto direttamente il fascismo e la seconda guerra mondiale, poi la nascita
della Repubblica e della Costituzione italiana che costituiscono le basi della nostra democrazia.
Come giudica la qualità della democrazia in Italia e in Europa oggi?

Democrazia significa governo del popolo; un governo deve esprimere la voce del popolo perché si possa
dire democratico. E la voce del popolo è il voto, cioè la scelta di chi dovrà rappresentarlo nella vita
politica. In Italia però il popolo è stato «ubriacato» da uomini che non hanno alcuna preparazione
politica, non seguono una dottrina né un progetto, fanno dichiarazioni comiche più che politiche. È stato
fatto tutto il possibile per distogliere il popolo dal suo diritto al voto, che implica conoscere le intenzioni di
chi vuole governare, quale programma vuole attuare. Non ci sono gli estremi per poter dire che noi
italiani abbiamo un governo democratico.

Ma quali sono le cause che hanno prodotto questa deriva?

Sono anni che si parla unicamente di denaro. Evidentemente la democrazia ha una propria voce sul
come si usa il denaro, il denaro è una voce della democrazia ma non è la democrazia.

Un simile sistema è in grado di riformarsi o è destinato alla distruzione?

Temo sia destinato a distruggere prima di autodistruggersi. La politica oggi è un gioco di potere, una
scacchiera dove si leva l’uno per mettere l’altro, si lascia una carica per assumerne un’altra più importante,
ma non c’è miglioramento né peggioramento, non succede nulla, le cose restano nello stesso posto,
solamente assumono un nome diverso. Tutto avviene senza passare per il voto, neanche per sogno.

Chi paga il prezzo di questo?

A pagare siamo noi! L’impoverimento, non solo materiale ma soprattutto culturale causato da Berlusconi e
da Grillo è spaventoso. Viviamo in una sorta di anarchia, nel senso dello spengimento assoluto di orizzonti
e progetti politici.

C’è una via di uscita, la possibilità di recuperare i valori fondamentali della democrazia?

L’unico sbocco che vedo è una dittatura che assuma il potere di spengere tutte le opposizioni e imponga
con la forza una direzione che faccia uscire dal pantano. Non lo consiglio né lo spero, ovviamente, ma
non sono digiuno di politica e sono molto preoccupato per questa piccola repubblica italiana che vedo in
balia di se stessa, senza un progetto che non sia la rincorsa al denaro per arrivare ad acchiapparlo per
primi.

Questa considerazione sul futuro è inquietante. Ma perché gli italiani sono inclini a «innamorarsi»
di figure carismatiche e populiste che affascinano con idee che sono sogni più che progetti?

Le ultime generazioni hanno perso la fonte di informazione e di formazione, rappresentata dai partiti politici,
necessaria per comprendere che cosa sia la democrazia e che cosa voglia dire dare un voto e quali
conseguenze possa avere. Siamo in un momento di sbandamento, la politica oggi non è altro che fare i conti
con i soldi, come si acquistano, come si consumano, come si accrescono. I partiti non esistono più perché non
esistono più ideologie, vi è soltanto l’unico progetto di dare assoluta indipendenza all’uso del denaro. Molti
hanno esultato per la fine dei .partiti, ma io penso che siano il solo strumento capace di formare una classe
dirigente all’altezza dei propri doveri, che persegua gli interessi di una nazione e non il vantaggio privato.

Lei è un uomo di fede e di Chiesa. Per ottenere privilegi o vantaggi (finanziamenti alle scuole
cattoliche, esenzioni fiscali ma anche leggi in materia di bioetica) è accaduto che la Chiesa abbia
dato il suo appoggio a governi che hanno perseguito politiche economiche ingiuste socialmente.
Pensa che qualcosa possa cambiare con papa Francesco?

Credo che la Chiesa non debba entrare direttamente nella vita politica di un paese, non è suo compito
suggerire come si debba formare un governo e quali politiche debba perseguire. Certamente la scelta
così chiara e costante dei poveri, da parte di papa Francesco, rappresenta una protesta permanente, è come
gridare la sofferenza dei poveri sentendoli fratelli. Con questo amore per i poveri e questo dichiarare
che i poveri sono nostri fratelli certamente papa Francesco alza un grido di protesta politica.
Spetterebbe ai politici cattolici raccoglierlo e metterlo in pratica.
Questi politici, anche se dicono di essere profondamente religiosi, mentono. Se lo fossero realmente
penserebbero che ogni loro scelta politica si ripercuote direttamente sulle classi più deboli, o
aiutandole o danneggiandole. Loro compito sarebbe di rispettare e difendere i diritti dei poveri,
indeboliti sempre di più dalla crisi.

Secondo il suo sguardo di uomo religioso, pensa che il conflitto sociale e la sconfitta della
democrazia corrispondano all’alternativa evangelica «o Dio o mammona?».

Non c’è dubbio, lo vedo chiarissimamente. Il denaro è diventato un idolo, si è trasformato nel fine
ultimo di ogni azione e ha smarrito l’uomo.

In un articolo del 2005, Arturo Paoli scriveva: «Forse la tragedia dell’uomo moderno è dovuta al fatto
che egli ha dimenticato di domandarsi: chi è l’uomo? L’incapacità di trovare la propria identità, di
sapere che cosa è l’autentica esistenza umana, lo spinge ad assumere una falsa identità e fingere di
essere ciò che è incapace di essere e di non riuscire ad accettare ciò che si trova nella vera radice del
suo essere. L’ignoranza riguardo all’uomo non è mancanza di conoscenza, ma una conoscenza
errata»4. E concludeva: «E questo è avvenuto anche a noi europei, sebbene a partire da Socrate abbiamo
predicato nei templi del sapere e in quelli della preghiera: “Conosci te stesso”. Non è esatto dire che
l’uomo abbia smesso di interrogarsi sulla sua identità, ma si è separato dal progetto di Dio.(…)
Mettete la tenerezza di Dio nella vostra storia, piena del sangue dei vostri fratricidi, ininterrotti da
Caino in poi, perché diventi storia di fraternità»5.

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(1)A. Paoli, Prendete e mangiate, edizioni la meridiana, Molfetta 2002, pp. 44-45.
(2) Ivi, pp. 16-17.
(3) Ivi, p. 40.
(4) Nel testo, pubblicato sul periodico mensile Ore undici e poi ripreso nel libro Prendete e mangiate, Paoli citava
l’opera dello scrittore Abraham Joshua Heschel, Chi è l’uomo, p. 26.
(5) Ivi, pp. 26 e 29.