Chi spianò la strada a Matteo piè veloce

Corradino Mineo
www.confronti.net

Il problema di Renzi non è Renzi, sono gli altri. Si è affermato, come politico puro, grazie alla debordante volontà di potenza e dopo che i maestri della politica, i professionisti presunti di quel mestiere, uno dopo l’altro s’erano gettati giù dalla torre. Il «rottamatore» ha dato solo l’ultima spintarella. Molto di più hanno fatto Beppe Grillo, sputtanando l’opposizione inconcludente al ventennio di Berlusconi, e Giorgio Napolitano prima ricorrendo al governo dei tecnici e mostrando con che povera creta fosse impastata la «riserva della Repubblica», poi ostinandosi a proporre un governo costituente con Berlusconi, sovrapponendo alla palude le «larghe intese della Casta».

Così è arrivato sul proscenio il piè veloce, non scordiamolo. Ma cosa c’è dietro Renzi: il nulla sotto vuoto spinto, come pretende Maurizio Crozza? Vediamo. Ha accompagnato il Pd dentro il socialismo europeo ma sarebbe dura definirlo socialista. Né democristiano: gli manca il pensiero lungo di Moro, il senso dello Stato di Scalfaro, quello della mediazione di Prodi. La sera in cui vinse le primarie, Renzi chiamò l’Italia «la bella addormentata». Bella, per natura e cultura, ma dormiente, incapace di scuotersi dal torpore, e di scrollarsi di dosso le piattole che la tormentano. Poi ha preso la corona da premier e se l’è messa in testa come Napoleone. Subito ha promesso di far fuori il Senato, assemblea di vecchi tromboni usi, secondo lui, a perder tempo e a farne perdere alla Repubblica. Intanto si metteva di buzzo buono (con Verdini) a trasformare la Camera nel luogo della «dittatura della maggioranza». Garantendo solo a tre – Berlusconi, Grillo e Renzi stesso – la possibilità di divenire dittatori e dandogli la possibilità di scegliere, uno a uno, i deputati, con le liste bloccate.

Semplificazione brutale, attacco alla democrazia, esito autoritario? Piano, non siamo più nel 1948, né nel ‘68. Una parte, rilevante, del potere democratico l’abbiamo delegata alle istituzioni europee. Un’altra, non marginale, a un sistema diffuso e pervasivo – forse troppo pervasivo – di autonomie regionali e locali. Tuttavia Matteo Renzi non ha ragione. Il suo progetto è rozzo, per la parte che chiede la pelle del Senato: troppo segnato dalla preoccupazione di poter gettare un osso al populismo di Grillo. Mentre l’Italicum è fin troppo disegnato a misura della convenienza e del desiderio di sopravvivenza di Berlusconi.

Il problema tuttavia non è Renzi, che oltretutto ha disegnato tali riforme in una fase diversa, quando al governo c’era ancora Letta. Il problema siamo noi, senatori, deputati, politici democratici. Potremmo dirgli: d’accordo Matteo, stai sereno, ti tagliamo quanti parlamentari vuoi, basta con il doppio voto di fiducia al governo, superiamo l’assetto paritario delle attuali Camere. Ma non c’è bisogno di ridurre il Senato a un dopo-lavoro: resti un «Senato di garanzia» per le leggi costituzionali, quelle elettorali e quel che riguarda diritti fondamentali delle persone e rapporti tra Stato e Regioni.

Potremmo dirgli: hai ragione, è giusto che un minuto dopo lo spoglio l’elettore sappia chi ha vinto le elezioni e governerà. Però portiamo almeno al 40 per cento la soglia per strappare il premio di maggioranza al primo turno e imponiamo un’unica soglia di sbarramento ai partitini. Chi supera il 4 per cento dei voti, abbia rappresentanza in Parlamento, sia se fa parte di una coalizione sia se corre da solo. Ah, un momento, introduciamo pure una preferenza, Matteo. Perché, sai, più che i notabili oggi devono farci paura i partiti e i partiti personali.

Gli risponderemo così? Temo di no. Lo stesso succede, anzi peggio, con la politica europea. Renzi bluffa, non ha le carte in mano, cerca solo di guadagnare del tempo? Può darsi, ma che altro fare? Leggo sul Giornale della destra l’elogio di quel milione e mezzo di Veneti che vorrebbe lasciare l’Italia. E dove vanno, in Slovenia? Giorgio Squinzi dice che la Merkel si è irritata col nostro giovanotto. Certo, con Letta non aveva bisogno di corrugare il sopracciglio; forse che le nostre aziende stavano meglio?

Poi, ecco Susanna Camusso. No al precariato: brava, giusto! Peccato che l’area del lavoro senza tutele, a cottimo, in nero, anonimo, non sia mai cresciuta come in questi anni. C’entra qualcosa l’arroccamento della Cgil tra i pensionati e la sua trasformazione in un sindacato che chiede la «concertazione» ma dimentica cosa sia la lotta? Infine gli 80 euro in busta paga a maggio per quei dipendenti fino a ieri irrisi dal neoliberismo, accusati di essere poco produttivi, offesi dalla sperequazione salariale. E noi che facciamo? Dubitiamo delle «coperture».

Sinistra, non dirmi cosa pensi di Renzi: dimmi, se puoi, cosa vorresti che facesse per il paese.