Come la diversità di genere interroga la comunità cristiana

Virginia Ramey Mollenkott
The Other Side magazine, maggio-giugno 2001 Liberamente tradotto da Sara M. (www.gionata.org)

Credo che sia arrivato il momento per i cristiani di ampliare la loro accoglienza per includere l’intera gamma della diversità umana, compresa la diversità di genere. Io lo credo sia a causa delle realtà biologiche e psicologiche attorno a noi che per il messaggio di inclusività, continuamente ampliato, che vedo nella Scrittura. Spero perciò che arriverà il momento in cui le congregazioni cristiane di ogni luogo abbracceranno l’intera creazione di Dio come buona.

Attualmente la nostra società è dominata da un costrutto di genere binario: una gamma di assunzioni ampiamente indiscusse sul fatto che ci siano solo due sessi (maschile e femminile) e che coloro che sono nati “maschi” tendano naturalmente a ciò che per la nostra società è considerato “mascolino” (compresa l’attrazione solamente verso le donne) e che coloro che sono nate femmine tendano naturalmente a ciò che per la nostra società è considerato “femminile” (compresa l’attrazione solamente verso gli uomini).

E’ un sistema che permette un solo insieme di scelte: una persona deve o auto-definirsi esclusivamente maschio o femmina o altrimenti deve ammettere di essere innaturale, mutante o anormale. Una volta che una persona si sia auto-identificata come femmina, gli atteggiamenti sociali cospirano a sfumare qualsiasi distinzione tra il suo sesso biologico e i ruoli femminili di genere socialmente assegnati , il che per le donne tende a significare o inappagamento nella sfera privata o severe limitazioni nella sfera pubblica.

Se si rifiuta di conformarsi alle limitazioni della femminilità, la donna sarà etichettata come “dominante”, “stridula” o “lesbica”. Molte donne vengono mantenute nella conformità dalla paura di tali etichette. Anche i ragazzi e gli uomini sono schiacciati nella conformità di genere tramite nomignoli, ma nel loro caso i nomignoli (“femminuccia”, “codardo”, “frocio”) inculcano disprezzo per il femminile in quanto debole, dipendente o passivo. Di conseguenza, il controllo di genere sulle femmine si ottiene celebrando le virtù “mascoline” ma piazzandole al di là delle possibilità delle “vere donne”, mentre il controllo di genere sugli uomini si ottiene tramite una “femminilità” degradante a cui nessun “vero uomo” vorrebbe mai essere associato. In questo secolo, sia i movimenti delle donne che i movimenti per i diritti civili di gay, lesbiche e bisessuali hanno sollevato le questioni di genere in modi nuovissimi e diversi.

Uno dei contributi più utili che hanno offerto è la distinzione tra orientamento sessuale, identità di genere, ruoli di genere ed espressione di genere. Molte delle nostre discussioni sul genere confondono questi quattro elementi. L’orientamento sessuale ha a che fare con il genere da cui una persona è attratta. L’identità di genere si riferisce ai sentimenti profondi che ha una persona circa il suo essere maschio o femmina o altro. I ruoli di genere si riferiscono ad una correlazione costruita socialmente tra la biologia di una persona e le sue capacità, i suoi atteggiamenti, i suoi interessi e il suo comportamento. (E’ interessante notare che queste aspettazioni sui ruoli di genere differiscono moltissimo da cultura a cultura e da epoca a epoca). L’espressione di genere si riferisce al modo in cui le persone rappresentano se stesse attraverso l’abbigliamento, il linguaggio del corpo e i comportamenti, siano essi maschili, femminili o altro.

Con l’aiuto di questa lente, quando guardiamo le realtà della creazione intorno a noi, scopriamo una diversità a cui non sempre siamo preparati. Siano gay o etero, molti uomini non sono incasellabili in comportamenti, atteggiamenti e ruoli maschili e molte donne non sono incasellabili in comportamenti, atteggiamenti e ruoli femminili. Vediamo in tutto ciò che è creato, gli animali come gli umani, relazioni sia tra sessi diversi che tra sessi uguali. Vediamo che culture diverse hanno aspettative completamente divergenti sui ruoli maschili e i ruoli femminili. Troviamo anche individui che non possono essere veramente identificati come maschio o femmina. Alcune persone hanno cromosomi oppure organi sessuali parzialmente sviluppati che non combinano con il loro genere visibile.

Il 4% dei bambini nasce con i genitali sia maschili che femminili sviluppati ad un certo livello e una persona ogni 5000 ha una composizione cromosomica diversa da XX e XY. La presenza di queste persone intersessuali tra di noi dissipa la nozione che la razza umana sia costruita su una ben definita polarità maschio-femmina. Anche le persone che si autodefiniscono transgender (http://it.wikipedia.org/wiki/Transgender) riflettono nella loro testimonianza ed esperienza il dolore e la lotta nel cercare di adattarsi ad un costrutto sociale che non funziona. In Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity (Il guaio del genere: il femminismo e la sovversione dell’identità), Judith Butler sottolinea come le persone transgender ci costringano a confrontarci con l’inadeguatezza del paradigma maschio-femmina.

Esse sono “l’eccezione, la stranezza, che ci indica com’è costruito il mondo banale e dato per scontato dei significati sessuali”. Rifiutando (o essendo incapaci) di adempiere ai ruoli di genere e al modo di presentarsi che la società si aspetta, ritrovandosi al di fuori della “normale” polarità maschio-femmina, le persone transgender rivelano che “il mondo dato per scontato della categorizzazione sessuale è artificiale, in effetti è un mondo che potrebbe essere costruito in maniera assai diversa.” Tutti noi perciò siamo chiamati a confrontarci con il costrutto binario di genere per il nostro stesso bene e per il bene di coloro che sono transgender. Poiché i ruoli di genere non sono in alcun modo equi, le assunzioni e i ruoli binari di genere sono devastanti per ognuno di noi – uomini “mascolini”, donne “femminili” e coloro che si trovano da qualche parte nel mezzo.

Un numero enorme di persone eterosessuali sono transgender, nel senso che trasgrediscono ai ruoli di genere assegnati dal costrutto binario di genere della nostra società. Ci sono molti ragazzi e uomini a cui non piacciono gli sport, la meccanica o gli affari e preferiscono la poesia, il lavoro a maglia o il pacifismo. Analogamente, molte ragazze e donne hanno poca tolleranza per i ruoli che la nostra società definisce “femminili” e preferiscono il lavoro nel mercato azionario alla cura dei figli o il rafting ad un soggiorno di bellezza in un centro termale.

Le persone dovrebbero essere forzate a modificare il proprio modo di vestire, di agghindarsi e di comportarsi per adeguarsi ad un’astrazione sociale? Oppure questo gran numero di trasgressioni di ruolo indica che la nostra polarità maschio-femmina è ormai obsoleta e inutile? Per molti decenni, le diversità transgender sono diventate sempre più ovvie in varie culture del pianeta. Contemporaneamente, la maggior parte delle chiese cristiane hanno nascosto la testa sotto la sabbia di una discussione senza fine se sia o no compatibile con la testimonianza cristiana l’ordinazione o una cerimonia di unione per quei membri che siano gay o lesbiche.

Mentre la chiesa guardava da un’altra parte, le questioni di genere sono diventate molto più complesse e, di conseguenza, gran parte del dibattito che si svolge all’interno dei muri della chiesa diventa sempre più irrilevante rispetto alle realtà contro cui gli individui si battono. Per esempio, adesso che alcuni cristiani si stanno abituando all’idea che l’omosessualità maschile e femminile sia un’identità e non una scelta, molte persone si rendono conto che un tale essenzialismo è solo un’altra astrazione limitante. Non è che scegliamo il nostro orientamento sessuale o la nostra presentazione di genere come sceglieremmo il gusto di un gelato.

No, noi facciamo queste scelte perché è l’unico modo per vivere autenticamente. Ma capire come la nostra società costruisce la “normalità” può darci la libertà di andare oltre le identificazioni statiche – se una persona ha bisogno di tale libertà per vivere autenticamente. Questo ci lascia nella confusione completa? Certamente è uno sconvolgimento – ma vogliamo confrontarci con la realtà o illuderci con un ritorno ad un’epoca mitica in cui gli uomini erano primari e dominanti, le donne secondarie e sottomesse, tutti erano eterosessuali e ci si aspettava che la gente reprimesse o tenesse nascosto qualsiasi impulso contrario?

Gesù ha detto: “Sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza” (Gv 10,10). Che non suona come se dovessimo costringere noi stessi ad adattarci a ciò che capita che la nostra società definisca come identità di genere, presentazioni e ruoli appropriati. In realtà, leggendo le Scritture vedo un movimento verso l’inclusione, verso un ampliamento dell’invito ad abbracciare ogni tipo di diversità, compresa la diversità di genere.

La storia della creazioni comincia affermando che Dio non è né maschio né femmina, ma entrambi. Il primo capitolo della Genesi enfatizza che sia maschio che femmina sono fatti ad immagine del Dio creatore. Entrambi sono egualmente creati a divina immagine di un Essere supremo – che quindi deve essere inteso nel suo comprendere sia la mascolinità che la femminilità che tutto ciò che sta nel mezzo. Secondo gli studiosi della Genesi, la creatura originale era “adam”, cioè una creatura di terra che era sia maschio che femmina. Fu solo nel rispondere al bisogno di compagnia dell’ “adam” che Dio fece cadere l’ “adam” in un sonno profondo per dividere la creatura in ciò che noi intendiamo come maschio e femmina.

Per quel che riguarda l’inclusione di genere nella Scrittura, forse il miglior esempio è quello dell’eunuco, un termine che può riferirsi sia a uomini castrati che a persone che non erano in grado di avere figli. Nella concezione moderna, questo termine include gli intersessuali e i transessuali dopo l’operazione e simbolicamente include gli omosessuali e i celibi. Nell’antico Israele, gli eunuchi erano esclusi dal tempio – e quindi dall’assemblea del popolo di Dio (Dt 23,2). Ma il profeta Isaia capovolge quella legislazione, proclamando l’inclusione e offrendo agli eunuchi fedeli “un monumento e un nome più prezioso che figli e figlie” (Is 56,4-5). Anche Gesù parlò bene degli eunuchi nel suo discorso su matrimonio e divorzio, classificando le persone che non si sposavano come in coloro che erano “nati così dal grembo della madre” o “resi tali dagli uomini” o coloro che si erano “resi tali per il regno dei cieli” (Mt 19,12).

Questo movimento verso l’accettazione ha il suo culmine in At 8,26-40, dove un eunuco etiope entra col battesimo nella nuova comunità dell’alleanza dei giudei che sono discepoli di Gesù. Quest’eunuco, simbolo della comunità ostracizzata delle minoranze sessuali, è uno dei primi emarginati dell’antico Israele ad essere accolto come eguale al discepolato di Gesù. Anche Gesù, che Paolo definisce “secondo Adamo”, sfida le norme di genere. Non si sposò, nonostante avesse l’obbligo religioso di farlo al compimento dei diciotto anni. Compiva azioni come cucinare o lavare i piedi dei suoi discepoli – azioni culturalmente assegnate alle mogli o agli schiavi, non ai maschi liberi e certamente non ai maestri religiosi.

I cristiani contemporanei hanno bisogno di incarnare questa stessa audace incisività biblica nei confronti di tutte le persone di fede. Questo comporterebbe accettare semplicemente la presentazione di genere delle persone per il suo valore, avvicinare ognuno come l’essere umano a noi uguale che è e rilassarci sulla questione del genere – sia il nostro che quello di tutti gli altri. Sogno il giorno in cui le congregazioni cristiane abbracceranno l’universalismo profetico di Isaia: “la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli. Oracolo del Signore Dio, che raduna i dispersi d’Israele: ‘io ne radunerò ancora altri, oltre a quelli già radunati’ “ (Is 56,7-8). Richard Rohr, un francescano studioso di etica e autore, recentemente ha commentato: “Come il cosmo stesso, Dio si riduce a due sole cose: la diversità e la comunione. L’intera creazione non può star mentendo”.

Quando l’amore cristiano sarà universale, allora e solo allora il cristianesimo comincerà a ridursi a quelle stesse cose. In effetti, perché il cristianesimo riesca a sopravvivere come religione vivente, dovrà realizzarsi la comunione con la diversità. L’intera creazione di Dio non sta mentendo.

* Virginia Ramey Mollenkott è autrice o co-autrice di numerosi testi di teologia femminista e teologia GLBT (lesbica, gay, bisessuale e transgender). Ha tenuto numerose conferenze sui diritti di gay, lesbiche, bisessuali e delle persone transgender.

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Polemica in Francia: la filosofa non può parlare perché sostiene l’“ideologia di genere”

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 13 del 05/04/2014

La filosofa Fabienne Brugère sul tema della cura ha scritto fior di libri e per questo il Consiglio Famiglia e Società della Conferenza episcopale francese (Cef) aveva pensato di invitarla, in qualità di relatrice, all’annuale giornata di formazione dei delegati diocesani alla pastorale familiare del 19 marzo scorso, incentrata proprio sulla cura dell’altro. Ma a pochi giorni dall’evento, mons. Jean-Luc Brunin, che presiede il Consiglio, ha fatto dietrofront e ha annunciato il ritiro dell’invito. Efficaci sono state le pressioni di alcuni settori conservatori, capeggiati dal portale Le Salon beige, animato da un gruppo di cattolici di estrema destra, che il 3 marzo ha lanciato un appello da sottoscrivere e inviare al presidente della Cef, mons. Georges Pontier, nel quale esprimevano «tristezza e indignazione» per questa «pugnalata alle spalle».

Ma quali sono le colpe imputate a Brugère? L’aver espresso posizioni in contrasto con il Magistero della Chiesa su alcuni temi, come l’aborto e il matrimonio gay, e l’essere un’estimatrice della filosofa femminista Judith Butler, teorica degli studi di genere.

«Sappiamo bene che la maggioranza dei vescovi è stata messa davanti al fatto compiuto e che ignora gli orientamenti filosofici della signora Brugère, ma – si chiedono sul sito Le Salon Beige – come impedire che, nell’opinione pubblica, questo invito sia interpretato come un sostegno dei vescovi all’ideologia di genere?». L’appello a mons. Pontier è a «non lasciar credere che voi, vescovi di Francia, avete deciso di rompere l’unità tra francesi di buona volontà, costituitasi attorno alla legge naturale e alla difesa dell’innocenza dei nostri figli. Non lasciate pensare che i vescovi di Francia sostengono l’assurda ideologia di genere contro l’antropologia biblica, contro il progetto di Dio creatore che, fin dall’inizio, ci ha creati maschio e femmina».

Detto, fatto. Il 10 marzo scorso, dopo aver consultato i membri del Consiglio, mons. Brunin, ha deciso di tornare sui suoi passi. Una «decisione dettata dalla saggezza», ha spiegato. «Le condizioni per il dialogo non erano soddisfatte, come hanno dimostrato le tensioni emerse. Confermare l’intervento avrebbe potuto condurre a una divisione che avrebbe minacciato la comunione ecclesiale». «Non tutti i cristiani – ha proseguito – sono pronti a impegnarsi in un’etica dell’incontro e del dialogo, nonostante le raccomandazione di papa Francesco».

La decisione non è piaciuta a tanti. A contestarla, in un editoriale in prima pagina sul quotidiano cattolico La Croix (14/3), dal titolo “Lacerazioni”, è il capo redattore, p. Dominique Greiner. Oltre a rilevare che non è stata «ben accolta da una parte dell’episcopato, che deplora una ritirata sotto la pressione di una minoranza eretta a polizia del pensiero», p. Greiner ritiene che l’episcopato abbia perso «una bella occasione di dimostrare che, nonostante tutto, la Chiesa è in dialogo».

La Federazione Réseaux du Parvis, che riunisce 50 realtà del cattolicesimo conciliare francese, fa sapere «di non comprendere la decisione presa da mons. Brunin». Desta sconcerto la giustificazione avanzata da Brunin, sulla maturità dei cristiani: «Bisogna intendere che i cristiani sono dei bambini immaturi, incapaci di dialogare con altri che non siano dei loro?», si chiedono. «Oppure bisogna intendere che, finché i più settari tra i cattolici rifiuteranno il dialogo, il che è loro caratteristica fondamentale, se ne rifiuterà la possibilità a tutti?».

«L’episcopato francese non trova altra via d’uscita che piegarsi davanti ad una piccola cricca ultraidentitaria», è il commento di Christine Pedotti, cofondatrice della Conferenza dei battezzati e delle battezzate di Francia, su Témoignage Chrétien (18/3) sulle cui pagine anche Philippe Clanché ha contestato la decisione di cedere al «diktat» di una frangia «notoriamente ostile alla democrazia». La motivazione, prosegue Pedotti, «la paura, non di Roma, la scusa solitamente addotta, ma l’abitudine alla paura che, con la rinuncia alla libertà e al pensiero, porta al panico morale e allo spirito di capitolazione. Se non vuole scomparire – è la sua conclusione –, il cattolicesimo deve assumersi dei rischi, respirare all’aria aperta».