Una piccola storia di provincia…

Gilberto Squizzato
Cdb di Busto Arsizio

Alla comunità di base di Busto Arsizio, perfino un po’ stanca e magari anche delusa da decenni di disillusioni sulla possibilità di vedere dischiudersi orizzonti di libertà e povertà dentro la Chiesa italiana, è stata riservata in questi tempi una grande gioia. Abituati infatti da anni a concelebrare un po’ stancamente (e in pochi) l’Eucarestia ecco che all’improvviso alla mensa della cena del Signore giungono, inattesi, isperati, nuovi amici e fratelli.

Li ha condotti nella nostra piccola sede (che condividiamo per ovvi motivi economici con altre associazioni della nostra città) un amico che ci ha scoperto forse per caso, cercando in rete: Alberto Boschi, per anni missionario laico e imprenditore sociale in Nicaragua, che da qualche tempo è rientrato in Italia e ora abita a una ventina di chilometri da noi. E’ lui che ha invitato alla nostra messa così semplice e scarna amici, di cui ignoravamo l’esistenza, delle più diverse provenienze: chi di Varese, chi da Somma Lombardo, fra loro ci sono fratelli e sorelle del Salvador, della repubblica dominicana, del Nicaragua. Che gioia! Subito la nostra eucarestia si illumina di sorrisi nuovi, si arricchisce di un lievito insperato. Nuove esperienze di vita, nuove sensibilità, nuove storie sono sedute con noi a celebrare la memoria viva del Signore Gesù.

Sentiamo dentro di noi una gratitudine nuova per Lui che ci ha offerto la possibilità di incontrare questi volti, di stringere queste mani, e pensiamo: “Ma allora valeva la pena di resistere fin qui, di non chiudere la baracca, di tenere aperto questo piccolo spazio di ricerca e di condivisione! E noi che tante volte siamo stati tentati di abbassare le saracinesche, di considerare chiusa la nostra storia!.. E invece no! Eccoci qui a vivere una nuova giovinezza!”

Il momento più bello è quando un’amica venuta da molto lontano ci chiede se può condividere il pane del Signore anche se non è battezzata. Noi le diciamo che sì, è possibile, perché in quel gesto noi non vediamo un premio per chi ha già fatto una lunga strada di conversione e di dottrina, ma il momento in cui riconoscendoci fratelli in Lui possiamo condividere il pane di una vita nuova. Lei ci pensa, poi dice sorridendo: “E’ presto ancora… vedremo…”

Ma subito chiede un’altra sorella: cosa c’è di diverso fra questa messa e quella celebrata nelle chiese? Ci prender alla sprovvista. Ma come?! La nostra storia di comunità di base dura da quarant’anni e vuoi che con due paroline ti riassumiamo questo lungo cammino di ricerca? Ma l’amica non può aspettare, vuole subito una risposta. E così siamo costretti a ripensare in pochi attimi all’essenziale.

In che cosa la nostra celebrazione dell’Eucarestia, che è la stessa di tutti i credenti, è però anche diversa? Beh, alla fin fine non è difficile ricordarci delle nostre lunghe, laboriose riflessioni, e del coraggio che ci è stato necessario –in compagnia di don Marco d’Elia e di Amilcare Giudici che ci ha lasciato da pochi anni- per dar vita a questa nostra liturgia. Sembrava quasi che ce ne fossimo dimenticati, ma è l’essenziale: ed è esattamente ciò che contraddistingue tutte le celebrazioni di tutte le comunità di base italiane e che noi continuiamo caparbiamente a difendere come la “nostra” novità decisiva che vorremmo veder diventare prassi di tutta la Chiesa.

Anzitutto spieghiamo alla nostra amica che nella nostra comunità non può parlare solo il prete: la Parola è data a tutti e dunque tutti possono prendere la parola per condividere anche durante la celebrazione (non prima o dopo!) riflessioni, esperienze, domande, suggerimenti per la vita. E’ appunto quella “riappropriazione della Parola” che negli anni Settanta, Ottanta, Novanta ha segnato in profondità la coscienza del movimento delle Comunità di Base e ne ha plasmato la vicenda così ricca di tensioni e di novità creative. Anche qui da noi tutti possono parlare, non c’è un “padrone” della liturgia che lascia dire ai laici solo le preghiere dei fedeli! La Parola opera in tutti: dunque ciascuno, nel suo piccolo, può praticare la “parresia”, la libera parola in cui esprime la dimensione profetica del credente.

“E poi, come vedi, cara amica, questa Eucarestia non è presieduta da un sacerdote con i paramenti religiosi. Noi qui abbiamo con-celebrato l’Eucarestia con  Marco d’Elia anche per tutti quei trentatrè anni durante i quali è stato “sospeso a divinis” (per disobbedienza politica, soprattutto). Non abbiamo mai voluto rinunciare a pensare che il prete è il “presbitero”, cioè il più anziano nella fede, cioè la guida che è la comunità a riconoscere come tale. Perciò, con lui, abbiamo scoperto che è la comunità tutta insieme a poter celebrare l’Eucarestia pronunciando quelle parole (“Questo è il mio corpo.. questo è il sangue…”) con le quali Gesù donò tutto se stesso poche ore prima di consegnarsi alla croce dei suoi persecutori. La nostra comunità si chiama “di base” proprio perché non attribuisce a nessuno dei suoi membri un potere sacro speciale.”

E’, appunto, la riappropriazione dei sacramenti che per il movimento delle comunità ha costituito una lunga, laboriosa acquisizione non di una disinvolta anarchia, ma di una nuova responsabilità di tutti i suoi aderenti. E pieghiamo perciò alla nostra sorella venuta da lontano che noi partecipiamo senza difficoltà e senza superbia anche alle celebrazioni che si tengono nelle chiese e che sono presiedute da un prete perchè non pretendiamo di avere alcun monopolio della verità e nessuna ambizione di praticare l’unica liturgia giusta. Viviamo invece la speranza che un giorno si possa superare tutti insieme la separazione sacrale fra popolo (laici) e clero…

Sì, ci vorrà molto tempo, ma anche per questo val la pena di resistere caparbiamente e amorevolmente nella fedeltà a questa immagine (e a questa pratica!) di una chiesa “di base” in cui il carisma della libera parola, della profezia, e il servizio comune della celebrazione eucaristica, sono riconosciuti a tutti i membri della chiesa (delle innumerevoli chiese) del Signore Gesù di Nazareth.

Quanti anni sono passati! La Dc si è dissolta, l’unità politica dei cattolici e il collateralismo sono ricordi ormai vecchi, ma anche il nostro entusiasmo a volte acritico per tutti i movimenti di liberazione è stato messo a dura prova, le ingiustizie scandalose del mondo sono sempre quelle ma hanno assunto forme nuove, “la sinistra” è un progetto che ha visto dissolversi la chiesa comunista (come la chiamava Pasolini) e franare i socialismi realizzati… Gli orizzonti del nostro impegno storico e politico sono oggi più incerti, stiamo dentro la grande confusione di un vecchio mondo che è finito e quella di un mondo nuovo dove ci sentiamo così piccoli e deboli davanti all’onnipotenza planetaria dei nuovi poteri finanziari, eppure…

Eppure serviamo ancora a qualcosa e non possiamo dimetterci perché il futuro dell’esperienza cristiana  e quello della lotta per la giustizia e la fraternità ci interpellano oggi come ieri, più di ieri. Per questo vale la pena di preservare la nostra esperienza di credenti che vogliono una Chiesa non clericale, in cui la Parola e i sacramenti sono dati al popolo e non ad una casta; per questo vale la pena di lavorare con tutti gli uomini che vogliono un mondo diverso lasciandoci alle spalle le rovine di una sinistra che non ha retto alle prove della storia e sta di nuovo provando a capire, a lottare, a progettare quella giustizia che noi speriamo con le parole di Gesù “Padre nostro”, Madre nostra, che ci rivelano il senso laico della nostra universale fraternità.

C’è ancora molto da fare. Al lavoro, e con gioia!