Venezuela: il tavolo dopo le piazze

Fabrizio Casari
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L’opposizione venezuelana, alla fine, ha dovuto cedere, costretta dal governo e dalla comunità internazionale a sedersi al tavolo per cercare una soluzione politica alla crisi. Il governo, che per bocca del suo Presidente Nicolas Maduro, aveva proposto da parecchio tempo l’istituzione di un tavolo negoziale, l’ha ottenuto. Voltare pagina nelle relazioni tra rivoluzione e controrivoluzione sarà tutt’altro che semplice, data l’assoluta polarizzazione del quadro politico interno. Il che non toglie che l’inizio del dialogo nazionale sia una buona notizia per tutti i venezuelani, che chiedono il ritorno ad un clima pacifico nel Paese.

Benchè le buone intenzioni di partenza – almeno da parte del governo – siano chiare, non sarà facile trovare una soluzione condivisa all’agenda sociopolitica del paese. E’ del resto evidente che la disponibilità del governo alla trattativa, per quanto generosa, avrà come limite invalicabile il riconoscimento da parte dell’opposizione dell’abilità dello stesso alla direzione del Paese, sancita dal voto dello scorso anno che consegnò la vittoria al Presidente Maduro.

Sedersi al tavolo del negoziato è stata una doppia sconfitta – interna ed internazionale – per la destra venezuelana variamente travestita. Lo è stata sul piano interno, perché non è riuscita a paralizzare il Paese, non ha potuto ampliare ai quartieri popolari le manifestazioni che hanno bloccato i quartieri ricchi, non ha ottenuto quello che era il solo ed unico scopo: le dimissioni del Presidente Maduro e la caduta del governo.

E non ha vinto nemmeno la battaglia sul piano internazionale, dal momento che ha puntato le sue carte sugli Stati Uniti, che sono dovuto però dovuti passare dall’OEA che ha risposto picche al tentativo di isolare il Venezuela e il suo governo, rinviando invece all’Unasur il compito di costruire una mediazione.

E nemmeno con l’Unione Europea è andata meglio, dal momento che la centralità della diplomazia italiana ha ottenuto il coinvolgimento del Vaticano. Ma non della Conferenza Episcopale Venezuelana (tra le più reazionarie dell’America Latina), come chiedeva in seconda battuta Capriles, bensì con un intervento della Segreteria di Stato Vaticana, diretta dal Cardinale Parolin, braccio destro di Papa Bergoglio, così come proponeva il governo.

E il senso della sconfitta politica, quali che siano i punti in discussione dell’agenda per il dialogo nazionale, è data anche dalla spaccatura della stessa destra, divisa tra l’area radicale dei fascisti travestiti da liberali e quella dei liberali che si servono dei fascisti. Persino la BBC, notoriamente una delle voci più ostili al governo chavista, ieri metteva come notizia d’apertura del suo sito Internet in spagnolo come la stessa base popolare dell’opposizione fosse ormai stanca delle manifestazioni violente. Ebbene, l’apertura del dialogo con il governo sancisce proprio questa spaccatura interna e, comunque, un deciso cambio di rotta della destra.

Perché sedersi al tavolo con il governo implica necessariamente il riconoscimento del governo stesso, cosa che fino ad oggi non era mai avvenuta, visto che la destra non riconosce la vittoria di Maduro e annuncia l’esibizione di prove dei presunti brogli elettorali che, ad un anno di distanza, non sono mai arrivate. Inoltre, sedersi con il governo non può che prevedere la fine degli scontri di piazza, dal momento che sarebbe impossibile riunirsi con il governo mentre fuori si lascia la parola alle armi. Dovrà semmai essere convincente nell’opporsi alle sue frange più estreme, dal momento che il fallimento di quel tavolo di negoziati priverebbe la destra dell’unica occasione di visibilità e credibilità internazionale di cui potrà disporre.

D’altra parte la destra non aveva altre strade possibili. Il rifiuto crescente della popolazione alle loro “guarimbas”, la reazione della sinistra e la crescente opera di indagine e intervento delle forze di sicurezza rendevano sempre meno semplici violenze e blocchi stradali. E comunque si erano resi conto di come l’ombrello finanziario e politico che offrono gli Stati Uniti e l’aiuto dei paramilitari colombiani legati all’ex-presidente e criminale di guerra Uribe non erano sufficienti a ribaltare il quadro politico del paese o a conquistare città o stati.

Inoltre, la comunità internazionale riconosceva comunque il diritto del governo a difendere l’ordine e la pace nel paese. Per questo la parte meno stupida dell’opposizione ha deciso di accettare il dialogo per strappare quante più condizioni possibili in cambio del ritiro dalle piazze, mentre quella più recalcitrante e fascistoide continua a proporre le barricate come via per la soluzione politica.

Niente di strano, l’opposizione, in Venezuela, è per sua natura golpista. Indipendentemente dagli errori di politica economica, sociale o monetaria che imputano al governo di Nicolas Maduro, lo schieramento guidato da Capriles e Lopez non ha mai scelto il terreno democratico per il confronto politico come unica modalità della lotta politica e non ha mai escluso, anzi lo ha perseguito in ogni modo, il progetto di rovesciamento violento del sistema politico.

Non a caso, nel 2002, un colpo di Stato rovesciò il presidente Chavez e insediò Carmona, leader della Confindustria locale, al potere. Duro nemmeno 48 ore, giacché il popolo venezuelano scese nelle strade e rimise fisicamente il suo Presidente al suo posto. Ma molti personaggi che oggi guidano l’opposizione in Parlamento e nelle piazze, in quel colpo di stato si riconobbero e per quel putch si adoperarono.

Un’agenda comune per il Venezuela non sarà dunque praticabile; sarà invece possibile incontrare una mediazione sulle politiche economiche e monetarie, necessarie per affrontare anche solo parzialmente un’inflazione crescente e preoccupante e per discutere di come ricollocare i flussi di spesa in un quadro mutato dal punto di vista degli ingressi petroliferi, ridottisi causa prezzo internazionale del greggio. Quanto alle richieste di liberazione degli arrestati durante un mese di assalti armati contro sedi di istituzioni, assassinii e distruzioni, difficilmente potranno essere accolte.

Per venire incontro alle richieste dell’opposizione é ipotizzabile che il governo possa promuovere un’indagine attenta per dividere nelle sanzioni chi ha avuto un ruolo diretto e dirigente negli eventi delittuosi, da coloro i quali vi hanno sì partecipato ma senza aver commesso gravi delitti di cui rispondere. Con i primi difficilmente potrà aprirsi un cammino d’indulgenza, mentre per i secondi il governo potrebbe mostrarsi clemente, dimostrando così, nello stesso tempo, volontà di mediazione insieme alla certezza e vigenza del diritto.

Ma risulterà pressoché impossibile veder uscire da quel tavolo un’agenda di politiche sociali condivisa. Perché l’opposizione venezuelana, priva di qualunque connotazione culturale, si caratterizza ideologicamente come un aggregato intriso di razzismo sociale. E’ l’odio di classe il cemento che riunisce una vecchia classe e i suoi figli privata dei suoi privilegi storici. La rivoluzione bolivariana ha messo al centro dei suoi programmi sociali la lotta alla povertà, e non ai poveri, e ha deciso di destinare le risorse del petrolio per ampliare il diritto di cittadinanza politica e sociale a tutti i venezuelani e di promuovere l’unità latinoamericana come parte importante della sua stessa sovranità nazionale.

D’altra parte il processo di democratizzazione del Venezuela è stato ed è tuttora un cambio di paradigma generale nel paese di Bolivar e Chavez che suona come un insulto ad una borghesia razzista, corrotta e viziata. Per una destra abituata a consegnare la sovranità nazionale agli Stati Uniti e a governare con corruzione, privilegi, arricchimenti illeciti quanto smodati – e alla bisogna con le stragi – il cammino della Rivoluzione Bolivariana è stato un colpo insopportabile ed ininterrotto.

L’ingresso nella scena politica di milioni di venezuelani un tempo emarginati dalla vita del Paese, ha prodotto un ribaltamento persino numerico negli schemi con i quali il Venezuela si riproduceva politicamente.

Infatti, le ripetute vittorie elettorali del Comandante Chavez sono state possibili proprio grazie all’irruzione nella contesa elettorale dei settori più poveri della popolazione, che per la prima volta in decenni, trovarono nella rivoluzione la loro rappresentanza sociale e politica. E’ del resto grazie a questa irruzione degli ultimi che i primi di sempre hanno smesso di essere tali.

Ed è proprio grazie a questi milioni di venezuelani che gli scontri non sono dilagati in tutte le città e, spesso, sono rimasti confinati in alcuni quartieri. Ora è possibile voltare pagina? Il tempo lo dirà, ma certo il governo ha bisogno di proseguire con le riforme; la necessità di risolvere i problemi endemici che tutt’ora affliggono il paese è davvero urgente ed è per poterlo fare che il Paese ha bisogno di pace e di un clima politico costruttivo.

C’è bisogno di rimettere al centro le riforme e l’aggiornamento politico delle tesi con le quali il chavismo ha potuto e saputo trasformare una repubblica petrolifera in una nazione. Pensare ad una alleanza con la classe imprenditoriale, sul modello brasiliano, può risultare inutile vista la natura ideologica della stessa. Ma bisognerà comunque provarci e da quel tavolo non ci si dovrà alzare. Obbligare la destra a proporre qualcosa è il primo passo per sconfiggerla di nuovo.