Algeria, la quarta volta di Bouteflika

Mario Lombardo
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La campagna elettorale per la rielezione del tre volte presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, è consistita esclusivamente in due incerte apparizioni televisive e un lettera aperta indirizzata ad una popolazione fortemente allarmata per le condizioni di salute del 77enne leader nordafricano. Ciononostante, nel voto della settimana scorsa, l’ex eroe della rivoluzione anti-coloniale contro la Francia è riuscito a conquistare una nuova maggioranza schiacciante nei confronti dei suoi presunti rivali, garantendo forse un altro periodo di relativa stabilità ad uno dei paesi strategicamente più rilevanti dell’intero continente.

L’unica uscita pubblica di Bouteflika da oltre un anno a questa parte era stata invece in un seggio nel corso delle consultazioni per l’assegnazione del nuovo incarico di presidente nella giornata di giovedì, quando su una sedia a rotelle ha infilato personalmente la propria scheda elettorale nell’urna.

La lunghissima assenza di Bouteflika dalla scena pubblica algerina è stata dovuta ad un aggravamento della sua salute, soprattutto dopo che lo scorso anno era stato colpito da un “mini ictus”. Il presidente aveva così trascorso tre mesi di convalescenza in un ospedale parigino, tornando in patria solo nel mese di giugno per cercare di consolidare la propria posizione di potere, minacciata dalle divisioni all’interno del regime guidato dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN).

A dare i risultati ufficiali delle presidenziali è stato nel fine settimana il ministro dell’Interno, Tayeb Belaïz. Il presidente Bouteflika ha conquistato ben l’81,5% dei consensi espressi, mentre gli altri candidati hanno raccolto le briciole. L’ex primo ministro, Ali Benflis, ha superato di poco il 12%, l’ex deputato dell’FLN, Abdelaziz Belaïd, ha ottenuto invece il 3,4%, l’unica donna in corsa, la leader del Partio dei Lavoratori Louisa Hanoun, l’1,4% e nemmeno l’1% i due candidati minori rimanenti.

L’affluenza alle urne è risultata molto bassa anche secondo i dati forniti dalle autorità: 51,7% contro più del 74% delle presidenziali del 2009. Ad influire su questi numeri è stato in primo luogo il senso di scoraggiamento ampiamente diffuso nei confronti di un sistema senza grandi alternative politiche o prospettive di cambiamento.

Allo stesso tempo, i più importanti partiti secolari e islamici dell’opposizione avevano annunciato il boicottaggio delle elezioni, sia in segno di protesta contro la nuova candidatura di Bouteflika sia, soprattutto i secondi, per evitare di fare i conti con una modesta performance elettorale sull’onda delle scarse fortune degli ultimi tempi delle altre formazioni nordafricane di ispirazione religiosa.

Al di là della percentuale bulgara del successo di Bouteflika, a favore del presidente in carica hanno votato poco più di 8,3 milioni di elettori, vale a dire solo il 36% degli aventi diritto e appena un quinto dell’intera popolazione dell’Algeria. I numeri accreditati al presidente, inoltre, sono inferiori rispetto a quelli fatti registrare nelle precedenti elezioni – 90% nel 2009 e 85% nel 2004 – e, soprattutto, devono essere letti alla luce dei più che probabili brogli e manipolazioni del regime in almeno una parte dei circa 60 mila seggi del paese.

L’ex premier Benflis, infatti, dopo l’annuncio dei risultati ufficiali ha parlato di irregolarità diffuse, senza peraltro fornire particolari prove concrete e venendo smentito seccamente dal governo di Algeri.

La candidatura di Benflis, peraltro, non poteva suscitare particolare entusiasmo tra gli algerini, visto il suo passato. Prima di rompere con Bouteflika, Benflis aveva diretto la sua campagna elettorale nel 1999, diventando subito dopo il suo primo capo di governo. Per il regime, perciò, Benflis rappresentava una sorta di “alternativa sicura” ed egli stesso in campagna elettorale aveva manifestato chiaramente la volontà di garantire una certa continuità al sistema in caso di successo alle urne.

L’apparenza del consenso interno attorno all’FLN e al suo leader nasconde una realtà ben più complessa e contraddittoria in Algeria. Innanzitutto, negli ultimi anni anche in questo paese arabo non sono mancate le proteste popolari contro il regime, riesplose recentemente con la nascita del movimento “Barakat” (“Basta!”). Esse, almeno finora, sono apparse però meno intense e numerose rispetto a paesi vicini come Tunisia ed Egitto.

La risposta del regime è stata in ogni caso molto dura, anche se riserve finanziarie pari a circa 200 miliardi di dollari, provenienti dalle esportazioni di petrolio e gas naturale, hanno consentito al governo anche di attuare piani di spesa per sussidi, edilizia popolare e crediti superagevolati che hanno contribuito a contenere le tensioni sociali.

I media internazionali, infine, sono stati concordi nell’attribuire la scarsa mobilitazione popolare contro il regime anche ai ricordi degli orrori della guerra civile che negli anni Novanta fece centinaia di migliaia di morti dopo che, in seguito ai risultati del primo turno, quest’ultimo aveva cancellato le prime elezioni multipartitiche favorevoli al Fronte Islamico di Salvezza (FIS).

In questo scenario, comunque, sarà tutt’altro che semplice per un regime che controlla il potere fin dall’indipendenza far fronte alle sfide che si presenteranno nel prossimo futuro. La disoccupazione reale, ad esempio, colpisce quasi un algerino su tre e i servizi pubblici basilari continuano a far segnare gravi carenze. L’industria estrattiva, inoltre, nonostante rappresenti il cuore stesso dell’economia dell’Algeria, mostra evidenti segnali di rallentamento, anche se lo scontro in corso tra l’Occidente e la Russia potrebbe riportare l’attenzione delle grandi multinazionali su questo paese nordafricano.

Nell’immediato, Bouteflika e i suoi fedelissimi nell’FLN dovranno fare i conti con le fazioni dell’esercito e delle forze di sicurezza che nei mesi scorsi si erano mostrate ben poco entusiaste per una nuova candidatura dell’anziano leader.

Già nel corso del 2013, il presidente aveva operato una serie di cambi ai vertici del governo e delle più potenti agenzie dello stato, così da sostituire i rivali con uomini fidati. Il cosiddetto scandalo “Sonatrach II”, dal nome della compagnia estrattiva pubblica, lo scorso anno aveva coinvolto alcuni uomini molto vicini al presidente, fornendo l’occasione per un rimpasto di gabinetto generale che ha portato vari alleati di Bouteflika alla guida dei più importanti ministeri.

Allo stesso modo, pensionamenti forzati e modifiche organizzative hanno ridimensionato le attribuzioni del potente e famigerato servizio segreto algerino (DRS, Département du Renseignement et de la Sécurité), al cui controllo sono state sottratte anche alcune agenzie con compiti di supervisione sulle forze armate e di polizia per essere trasferite sotto l’autorità del capo di Stato Maggiore, generale Ahmed Gaid Salah, fedelissimo di Bouteflika.

Tra queste agenzie è incluso anche il Servizio Centrale di Polizia Giudiziaria, incaricato di indagare sulle accuse di corruzione all’interno delle istituzioni dello stato e che il numero uno del DRS, generale Mohamed Mediène, pare avesse utilizzato per cercare di liquidare gli uomini del regime vicini a Bouteflika.

Queste rivalità, se anche proseguiranno nei prossimi mesi, secondo gli osservatori andranno in scena dietro le quinte, dal momento che a prevalere saranno gli interessi del regime di mantenere una certa stabilità e il controllo sul paese. Ciò appare tanto più importante alla luce della possibile questione del trasferimento di poteri che potrebbe presentarsi a breve, nel caso Bouteflika dovesse mostrarsi incapace di governare a causa delle sue condizioni di salute.

Ciò si intreccerà anche con il ruolo giocato dall’Algeria sullo scacchiere internazionale, indiscutibilmente di primo piano sia sul fronte della sicurezza energetica sia su quello dell’anti-terrorismo. Anche per questo, d’altra parte, la reazione della comunità internazionale alle recenti elezioni presidenziali tutt’altro che democratiche è stata praticamente inesistente, così come era già accaduto dopo quelle parlamentari del 2012, ugualmente segnate da diffuse irregolarità a favore del regime.