B. ai servizi sociali: la legge non è uguale per tutti

Rossella Guadagnini
www.micromega.net

Nomina sunt consequentia rerum, ossia i nomi sono conseguenti alle cose. Si esprime così la convinzione che i nomi rivelino se non proprio l’essenza almeno alcune qualità della cosa o della persona denominata. Ne parla per primo Giustiniano, in un passo delle “Istituzioni”: nos … consequentia nomina rebus esse studentes: «noi … cercando di far sì che i nomi corrispondano alle cose»). Cercando, dice, e indica uno sforzo. L’affermazione viene poi ripresa da Dante nella “Vita Nuova” (XIII, 4): con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose, sì come è scritto: «Nomina sunt consequentia rerum».

E, dunque, Silvio Berlusconi può ben dire: inagibile a chi? Non certo a lui, assegnato in prova ai servizi sociali in seguito alla condanna inflittagli, 257 giorni fa, dalla Corte di Cassazione. Era d’agosto. Oggi il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha deciso, dopo l’udienza di giovedì scorso, 10 aprile, di lasciare al leader di Forza Italia la libertà di effettuare la sua campagna politica in vista delle Europee del 25 maggio pur scontando i nove mesi della pena residua. Il problema era, infatti, l’agibilità politica dell’ex Cav. “Scateneremo l’inferno” nel caso mancasse, hanno dichiarato i berluscones nei giorni scorsi. I giudici si sono fatti impressionare? Un dubbio è lecito, più che altro vista la sollecitudine della condanna (decisa allo scadere dei primi cinque giorni dei quindici previsti) e la levità della pena.

Per giunta l’articolo 47 della legge sull’ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975, n. 354) stabilisce che l’affidamento ai servizi sociali può avvenire solo “nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati”. E su questo non ci piove che di ravvedimenti di sorta non se ne parla proprio, dichiarandosi il reo tuttora innocente, innocentissimo. Quanto poi al commettere altri reati toccherebbe esplorare la mente di SB con una sonda empirica, costruita all’uopo. Un compito ingrato al quale i tribunali potrebbero istruire volontari come nel caso delle famigerata Precrimine di Minority Report.

L’impegno sarà infatti “di una volta a settimana e per un tempo non inferiore a 4 ore consecutive”. Personaggio ridicolo, si dirà, pena ridicola. Non vi è dubbio alcuno. In pratica la condanna per una frode fiscale di 300 milioni gli costa alla fine sette giorni nel centro anziani di Cesano Boscone, a una quarantina di chilometri da Arcore.

Tutto considerato un buon guadagno. Non potrà lasciare la Lombardia “salvo specifiche autorizzazioni”; quindi per partecipare a un comizio dovrà ottenerne una. In compenso “è autorizzato a recarsi a Roma, come da sua richiesta, presso il domicilio da lui indicato, dal martedì al giovedì, con rientro al suo domicilio in Lombardia, entro le ore 23 del giovedì stesso”. Giusto giusto prima di nanna. Liberi i fine settimana meneghini e padani.

Era questo uno dei contenuti del patto con Renzi, una pena rapida e indolore quanto più possibile, con le dovute cautele del caso? Che lo salvaguardasse dignitosamente nella persona e negli affetti (entro i confini della Lombardia), ma soprattutto nella politica (consentiti i viaggi elettorali nella capitale), che avallasse presso l’opinione pubblica un’idea siffatta: “che sarà mai, in fondo… con una condanna così, cosa può aver fatto”?

Insomma le traversie giudiziarie del perseguitato politico sono colpa della solita malevolenza dei giustizialisti e di qualche dissidente di una sinistra manettara, minoritaria e perdente: l’ex Cav è passato quasi indenne attraverso il cerchio di fuoco della Suprema Corte, come una tigre ben ammaestrata. Il “braccio giudiziario” si è provvidamente rattrappito. Il “cancro dei giudici” è guarito. La fedina penale del condannato è stata appena appena appannata da una frodina fiscale. Dunque il messaggio è: conviene frodare, specie lo Stato. Bravo Berlusconi che si è liberato di inutili laccioli giudiziari.

Per agibilità (si ricorderà quella degli edifici scolastici) s’intende la certificazione rilasciata quando una costruzione rispetta tutti i requisiti di legge necessari per garantire alle persone di vivere in sicurezza nei suoi locali. Il certificato di agibilità può essere revocato in diversi casi: quando il fabbricato abbia subito dei danni strutturali, dopo un terremoto o un incidente, tali da comprometterne la stabilità. Oppure quando siano stati fatti interventi edilizi abusivi, che abbiano infranto anche una sola delle norme tecniche vigenti. Per questo il patrimonio immobiliare del nostro Paese versa in così cattive condizioni. E molti dei suoi edifici traballano e scricchiolano paurosamente, così come le nostre convinzioni messe a dura prova.

I nomi sono conseguenti alle cose. Davvero è così? Ad esempio: la legge è uguale per tutti? Dopo otto mesi cosa è successo? Non molto, eccetto la sua decadenza da senatore il 27 novembre scorso, dal titolo di cavaliere poco tempo fa e ora sette giorni in un centro anziani, con compagni della sua età, che tuttavia certamente non hanno gli stessi suoi requisiti. Le conseguenze per il cittadino Silvio Berlusconi si fermano qui, almeno per ora.

L’affermazione “la legge è uguale per tutti” trova le sue origini nel principio di isonomia – dal greco stessa (isos) legge (nomos) – introdotto da Clistene nel 500 a.C., politico ateniese che portò avanti l’opera di Solone e, insieme a lui, fu considerato uno dei padri della democrazia. Si accettano proposte per correggere le lettere d’oro affisse nei tribunali: diverse le combinazioni possibili, da vedere la più votata. La legge non è uguale per tutti. La legge è uguale solo per alcuni. La legge non è uguale. Tutti non sono uguali. E via dicendo. I nomi, dunque, non sono conseguenti alle cose. Benedetti nomi!

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La Costituzione di Renzi e Berlusconi

Sandra Bonsanti
libertaegiustizia.it

Matteo Renzi lo ha ricevuto a cena a Palazzo Chigi. Un incontro di due ore per rinsaldare il “patto” contro la Costituzione. “Il patto tiene”, “Il patto regge”, fanno sapere alla fine i partecipanti.

Più di settanta articoli della Costituzione italiana saranno sostituiti per far posto a un monocameralismo senza pesi e contrappesi e a tutto quello che si trascinerà dietro.

Cerchiamo dunque di approfondire, partendo dalle personalità dei contraenti il patto. Da una parte c’erano tre giovani politici, tutti nati nella Dc o nella Margherita, (due di essi Renzi e Lotti anche boyscout). Dall’altra, accanto a Berlusconi e Verdini che di problemi con la giustizia non deficitano (è dell’altro giorno l’autorizzazione del Senato all’uso delle intercettazioni di Verdini per l’inchiesta sulla P3), anche Gianni Letta, che non è parlamentare e nemmeno ex, che è qualcosa di più, appartiene al rango di coloro che molto spesso sono ringraziati per aver “servito” la Repubblica italiana. In che modo Gianni Letta ha “servito” il Paese? Offrendo a Berlusconi una sponda “istituzionale” ogni qual volta ce n’è stato bisogno.

Assenti: un qualunque politico proveniente dalla radice Ds del partito Democratico o da qualche altra sinistra italiana. Nessuno scandalo: questa riforma piace all’attuale Pd, anche se non a tutto.

Questa riforma non fa paura a nessuno, perché, come dice Gustavo Zagrebelsky, Renzi non è un tiranno. Oggi, non c’è un tiranno. Non c’è ancora la “svolta autoritaria”, stiamo però andando “verso” la svolta. Basta mettere insieme la riforma elettorale, la nuova Costituzione, la politica dell’energia e della velocità, il disprezzo per il pensiero critico.

Renzi è un erede. Di quale tradizione e di quale pensiero politico si potrebbe discutere a lungo. Magari per decidere che eredità e sfoggio di innovazione sono una sola cosa. E che la democrazia è altro, e non trae linfa vitale da un “patto” siglato e rafforzato a Palazzo Chigi, tra quei contraenti.

Anzi, si assottiglia sempre di più, fino a quando respingere l’eredità sarà troppo tardi e inutilmente cercheremo nella Costituzione di Renzi e di Berlusconi le garanzie che avevamo avuto ma che qualcuno, una sera a cena, aveva deciso che erano diventate inutili, anzi dannose.