Due papi….

Vittorio Bellavite
Noi Siamo Chiesa Italia

Di fronte al 27 aprile con la canonizzazione di due papi mi sento un po’ in imbarazzo. Non credo di essere il solo. Noi che abbiamo fatto un percorso di fede lento e magari faticoso che ci ha cambiato molto nel tempo, ci ricordiamo in primissima persona, provenendo dagli oratori, dai vecchi catechismi, dalle compatte organizzazioni di massa, delle tante devozioni , dei santi e del culto mariano di cui era ed è pervaso il mondo cattolico. Tutti veniamo da lì. Le canonizzazioni e le devozioni erano parte del DNA del buon cattolico. Ora l’imbarazzo ci viene dal vedere ancora così diffuse forme di spiritualità che poco ora comprendiamo.

Che dire? che fare? La prima mia riflessione è che bisogna avere molto rispetto ed attenzione; se il fenomeno è di massa e coinvolge il vissuto, magari semplice e ingenuo, di tantissimi dobbiamo considerarlo con pazienza e un po’ di umiltà, quella stessa che non dobbiamo invece avere di fronte all’arroganza di molti aspetti del sistema ecclesiastico (non esemplifico, perché ci intendiamo al volo). Questa fede è, mi sembra, spesso la stessa di tanti credenti che, nel quotidiano, praticano la solidarietà, l’aiuto al prossimo, spesso in famiglia, sopportando e compatendo (penso soprattutto all’universo femminile), sacrificandosi. Certamente è una fede tradizionalista che recita il rosario più che leggere il vangelo o la teologia, che raccomanda ed educa come può, che è estranea a ogni discorso sul relativismo ma che compatisce e “vuole bene” al prossimo.

E allora, se le cose stanno così, i santi ci stanno anche bene. Il problema è quello non di contraddire questo atteggiamento ma, se mai fosse possibile, di suggerire, rimanendo intatte le devozioni, un approccio diverso alla precettistica in campo morale e alla estraneità a una vera partecipazione politica. Alcuni aspetti di questo atteggiamento devozioni stico di massa si possono però contrastare apertamente come quello relativo alle reliquie dei santi (Gesù tuonava contro ogni aspetto idolatrico di questo tipo).

Tutto ciò premesso, il sistema delle santificazioni come lo conosciamo e come si è sviluppato negli ultimi cinquanta anni e soprattutto con papa Wojtyla, deve essere apertamente contrastato. Esso è parte di un cattolicesimo preconciliare, quello che organizzò il “Santo subito” che sarà presente in massa domenica 27. Tutto è criticabile, non solo l’idea stessa della proclamazione di santi ma il metodo con il quale vi si giunge (il sistema del miracolo, la procedura a cui accedono, nella pratica, solo fondatori di ordini religiosi, le lobbies poco carismatiche che premono, le canonizzazioni di massa…..) ed infine alcuni personaggi molto discutibili proclamati santi (primo tra questi Escrivà de Balaguer) . Il Concilio nella Lumen Gentium aveva abbastanza “abbassato” il ruolo dei santi nella Chiesa parlando anche di “abusi, eccessi e difetti” nel loro culto (canone 424). Anche sotto questo aspetto il Concilio non ha avuto seguito.

La situazione è anche peggiorata perché, nell’ enfasi di questo sistema di santi a buon mercato, si è sviluppata nella Chiesa, in modo poco contrastato, la convinzione che fosse giusto proclamare santi tutti (o quasi) i papi dell’ultimo secolo e mezzo. Il vero significato è quello di una forte accentuazione dell’autorità papale nella Chiesa (dopo il Concilio Vaticano I e la proclamazione dell’infallibilità)per la quale è molto funzionale proclamare le virtù del credente vescovo di Roma ma sottintendendo che esse facevano “brillare” il suo insegnamento e la sua gestione della cattedra di Pietro e che erano quasi intrinseche alla funzione. Siamo quindi, diciamolo apertamente, alla principale manifestazione della papolatria, contraria al Concilio ma omogenea con il dopo concilio.

Nel 27 aprile si vede anche e a prima vista la contraddizione in cui si trova papa Francesco , che pensa ai percorsi sinodali al centro e alla periferia della Chiesa, ma deve gestire una decisione già presa che va nella direzione opposta. Forse poteva almeno ritardarla di un anno o due. La canonizzazione di Giovanni Paolo II, tanto acclamata e pretesa da una parte della Chiesa, è stata criticata dall’altra. Pensavamo di essere in pochi, Giovanni Franzoni in testa, Noi Siamo Chiesa, le CDB e una pattuglia di teologi conciliari a dire di no ad alta voce . Le nostre argomentazioni sono ben note. Ora , un po’ a sorpresa, da pochi giorni sappiamo (lo riferisce il libro di Andrea Riccardi “La santità di Papa Wojtyla”) che il Card. Martini aveva opinioni non troppo lontane dalle nostre ma le disse nella sua deposizione al processo di canonizzazione.

O meglio –dice Martini- “Wojtyla era un uomo di Dio ma non è necessario farlo santo” e la sua critica è piuttosto secca ed è tutta inerente al suo ruolo di papa. Ciò conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che questa canonizzazione è tutta funzionale a santificare soprattutto il papa Giovanni Paolo II e non l’uomo Wojtyla . Sceglieva male i suoi collaboratori, appoggiava troppo i movimenti a scapito delle Chiese locali, imprudente nel porsi al centro dell’attenzione e , infine, avrebbe dovuto dimettersi all’aggravarsi della malattia. Non ha peli sulla lingua il Martini in pensione e nella riservatezza di un processo canonico. Franzoni ha parlato subito apertamente, nessuno lo ha ascoltato nelle curie vaticane. Ora con la deposizione di Martini acquistiamo autorevolezza; anche prima non ci sentivamo soli ma ora aspettiamo che, dopo il 27 aprile, si ragioni sui fatti e sulle prospettive della Chiesa, a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio, con altra oggettività e con meno emozioni.

Ultima questione: che dire di papa Giovanni ? L’abbinamento a Giovanni Paolo II non mi piace, non solo per la santificazione del papato (vedi sopra) ma anche perché troppo diverso, evangelicamente diverso. Bisogna riconoscere che papa Francesco, anche se oggettivamente in contraddizione, ha deciso coi suoi inappellabili poteri, di superare l’assenza del secondo miracolo (che cambia il beato in Santo) e pro gratia di canonizzare pure lui. Ora speriamo che pensi a Romero.