Lo sciopero con gli occhi a mandorla

Michele Agostini
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Quello che sta avvenendo in Cina, più precisamente nel sud del paese, a Dongguan, mette ancora un volta in primo piano i limiti del capitalismo globale. C’è una Corporation con gli occhi a mandorla, la Taiwanese Yue Yuen, che produce un fatturato annuo di circa 7.5 miliardi di dollari, con profitti pari a $434 milioni nel solo 2013.

Una Corporation che rifornisce i mercati di calzature del ricco e bulimico occidente: Nike, Crocs, Adidas, Reebok, Asics, New Balance, Puma, Timberland. Un gigante che occupa circa 60.000 lavoratori, molti immigrati da altre provincie del paese (che costano ancora meno).

Un paio di giorni fa la metà dei lavoratori ha incrociato le braccia: sciopero, con buona pace degli affamati mercati del lusso nel resto del mondo. Produzione in stallo, rifornimenti a rischio. Questa nuova generazione di forza lavoro chiede i contributi per assicurazione e previdenza sociale oltre che miglioramenti delle condizioni di lavoro quotidiane e pagamento del fondo casa.

China Labor Watch, organizzazione no profit che tutela i diritti dei lavoratori cinesi, ha stabilito che su 400 fabbriche monitorate negli ultimi dieci anni, nemmeno una adempie pienamente alla legge in vigore che regola le assicurazioni sul lavoro per gli operai. La legge esiste ma andrebbe anche fatta funzionare sul campo.

Appena il 5 aprile scorso vi era stato il primo sciopero dei lavoratori della Yue Yuen, praticamente ignorato dai vertici aziendali, impegnati a far lievitare i profitti della Multinazionale; è o non è l’anno dei mondiali in Brasile?

Uno dei mantra del capitalismo planetario si basa sulla competizione, un gigantesco Cinodromo, dove l’obiettivo per chi siede comodamente in tribuna è quello di far correre un intero sistema dietro ad una lepre di metallo, irraggiungibile, sempre una manciata di metri dalla sua cattura, che non avverrà mai. Il trucco è noto a tutti, ma non ai suoi partecipanti per eccellenza, costretti a corse sempre al limite, illusi che un giorno raggiungeranno quella lepre.

Preda ottimale per la grande Compagnia Globalizzata è il lavoratore che viene da aree fortemente sottosviluppate, costretto spesso a fuggirne, sovente a causa della stessa industria che lo assume, che divora ed avvelena non solo i suoli ma gli stessi mercati locali.

La preda non deve avere cultura, la cultura porta consapevolezza e la consapevolezza domande scomode. Purtroppo per questi colossi industriali, internet e le moderne tecnologie diffondono la protesta ed i diritti in ogni angolo del globo, risvegliando coscienze assuefatte alla monotonia di una fabbrica.

Appena un mese fa, sempre nel sud della Cina, a Shenzen, oltre seimila operai avevano protestato col taglio dei salari nella loro fabbrica che produce scarpe New Balance. Certo è una cultura utilitaristica, fine a se stessa, che porterà l’operaio a rientrare nei ranghi una volta raggiunto lo scopo. Ma sicuramente l’effetto domino su altre province cinesi, o altri paesi del mondo è innegabile.

Secondo il China Labour Bullettin oltre il 40% dei 1171 scioperi registrati della metà del 2011 alla fine del 2013 erano nel settore manifatturiero. Il Ministero per le risorse umane ed i Servizi Sociali della Repubblica Popolare Cinese (MOHRSS) riporta considerevoli miglioramenti nei salari minimi della popolazione: adesso dopo Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong, Filippine e Malesia c’è il colosso cinese, lontanissimo dalle vette, ma in costante crescita. 1319 dollari il salario minimo mensile giapponese, 264 quello cinese.

La storia, almeno quella degli ultimi 60 anni, si ripete: il mondo occidentale, benestante, impegnato, consumista, centrifugo e civile ha bisogno di carburanti sotto pagati, sfruttati ed inquinanti per reggere a dei ritmi sempre più ai limiti. Sistemi globali, modelli globali, sogni globali, menzogne globali; tutti dietro a quella lepre sempre troppo veloce. Fargli capire che è di latta è il problema più difficile.