Omofobia: a scuola la Chiesa censura. Essere gay in classe è un calvario

Michele Sasso e Francesca Sironi
http://espresso.repubblica.it, 16 aprile 2014

Migliaia di ragazzi presi di mira perché omosessuali. Anche tra i banchi. E quando gli insegnanti provano ad affrontare il tema vengono attaccati dalle reti cattoliche. Nel silenzio delle istituzioni. Che, anzi, stanno per fare dietrofront davanti alla prima iniziativa contro il bullismo. Accettando le censure del Vaticano

G. aveva 14 anni quando si è suicidato, buttandosi dal balcone di casa sua, a Roma. Aveva lasciato un biglietto: «Sono omosessuale, nessuno capisce il mio dramma». Lui morto, il caso è arrivato alle cronache. Ma migliaia di altri ragazzi affrontano gli stessi “frocio”, “ricchione”, “finocchio” ogni volta che entrano in classe. Senza dirlo a nessuno. È un problema. E non servono statistiche ufficiali (che non esistono, come aveva spiegato l’Espresso ) per dimostrarlo: basta ascoltare le esperienze di quanti l’omofobia la vivono ogni mattina sulle scale del liceo o provano ad affrontarla in cattedra. O ancora andare su Ask.fm , il social network più diffuso fra gli adolescenti, dove abbondano le domande anonime sul compagno-sicuramente-gay o la ragazza-evidentemente-lesbica, con il loro corredo di commenti pruriginosi e di insulti. 

Il problema esiste. Eppure dal Palazzo non solo non è considerato una priorità. Ma è osteggiato. La prima vera iniziativa dello Stato contro l’omofobia a scuola è diventata uno scandalo istituzionale, con i manuali prodotti dal dipartimento delle pari opportunità (un ufficio della Presidenza del Consiglio) boicottati dal cardinale Bagnasco e messi in sordina dallo stesso ministero dell’Istruzione prima ancora di essere distribuiti: censura preventiva in piena regola. Questo mentre l’amministrazione centrale lascia che i dirigenti scolastici si arrangino da soli davanti alle valanghe di lettere, denunce e ricorsi presentati dalle associazioni cattoliche contro ogni iniziativa che parli di genere, sesso o diversità. Così, anche se alcuni istituti, alcune regioni, provano ad affrontarlo, il problema, continua, anzi aumenta, la guerra in sordina fra le case e i banchi scolastici, fino ai corridoi degli uffici ministeriali. Le vittime sono sempre le stesse: gli studenti e le studentesse gay o lesbiche. Che, ancora nel 2014, non possono contare che su sé stessi per affrontare l’ignoranza e le aggressioni.

Stato laico?

Per dimostrare quanto sia considerato compromettente affrontare il discorso dell’omofobia a scuola, bisogna partire dai meandri dello Stato. Ovvero dal tragicomico caso dei libretti per “Educare alla diversità” dell’ Unar, l’ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali . La vicenda inizia l’anno scorso, con l’approvazione da parte del ministro tecnico Elsa Fornero della “strategia Lgbt”: un piano per combattere gli stereotipi contro lesbiche, gay, bisessuali e transgender. L’attività procede con successo negli incontri con polizia, giornalisti, sindacati. Fino a che non si tocca il tema scuola. E scoppia il caos. L’Unar infatti, a nome del dipartimento delle Pari Opportunità, commissiona all’ Istituto Beck – un’associazione scientifica specializzata in psicoterapia – dei libretti rivolti agli insegnanti di elementari, medie e superiori per affrontare il tema del bullismo contro i gay in classe.

Il progetto costa 24mila euro (su 500mila di finanziamento totale per la “strategia”) e viene affidato direttamente, senza gara: «per importi così bassi è normale», spiegano dall’ufficio. Quando i libretti sono pronti però, l’Istituto Beck, prima di farli passare al vaglio del ministero dell’Istruzione, li pubblica sul sito, “protetti” da password. Quaranta presunti esperti dovrebbero poterli studiare e scaricare. Uno di loro li pubblica in rete. Il link viene tolto, ma è troppo tardi. È panico: il presidente della Cei Angelo Bagnasco consegna al quotidiano della Cei “Avvenire” la sua invettiva contro una «scuola pubblica che sta diventando un immenso campo di rieducazione» perché quei libretti «instillano preconcetti contro la famiglia e la fede religiosa».

Sul “Corriere della Sera” Isabella Bossi Fedrigotti si lamenta della guida perché attaccherebbe la «famiglia tradizionale» e sarebbe «una precipitosa corsa in avanti con uno scopo preciso: preparare il terreno al matrimonio omosessuale». Il caso conquista copertine, articoli, speciali: 180 pagine di giornale in poche settimane. E dallo Stato, a difesa di quel libretto mai distribuito, mai arrivato a scuola, ma che secondo un protocollo ufficiale dovrebbe arrivare in classe? Nessuna parola. Anzi sì, qualcuna. Ma di censura.

Il sottosegretario alfaniano all’Istruzione Gabriele Toccafondi parla di «Impronta culturale a senso unico» e boccia i libretti. La due giorni organizzata coi tecnici dell’amministrazione – compresi i dirigenti scolastici – per parlare di bullismo slitta. «Ma il ministro Stefania Giannini la confermerà, entro la fine dell’anno», promettono dal ministero: «Prima però incontrerà i forum degli studenti e dei genitori per discuterne». Intanto il quotidiano “Avvenire” brinda a una presunta circolare con cui la Giannini sarebbe pronta a stoppare definitivamente l’arrivo dei manuali anti-omofobia. «Una notizia falsa che abbiamo chiesto di rettificare», commentano dal ministero: «Quei libretti non sono mai arrivati a noi. E quindi mai partiti. Né mai bloccati. Appena potremo li esamineremo e capiremo il da farsi». La polemica così procede, fra comunicati e anti-comunicati. Mentre nel “mondo reale” c’è chi prova ad affrontare sul serio il problema. Per difendere gli studenti. Senza aspettare il via libera di Roma.

Scuole in trincea

Pontassieve, piccolo paese a 11 chilometri da Firenze, dove vive, fra gli altri, l’attuale premier Matteo Renzi. Provincia, comune, istituto scolastico (dalle elementari alle medie) e un’associazione di volontariato hanno avviato  il progetto “E.cos – decostruire per costruire”: una serie di incontri dedicati agli alunni, ai loro genitori e agli insegnanti, per riflettere sugli stereotipi di genere tra maschile e femminile. Per un gruppo di famiglie che si firma “ Scuola senza ideologie ” questo sarebbe un attacco frontale al diritto dei genitori di scegliere l’educazione dei propri figli e di controllare ciò che imparano. Parte così un appello ai dirigenti scolastici perché blocchino le lezioni scomode.

Ma la raccolta firme non le ferma. Gli incontri sono iniziati e continueranno fino a maggio: sale piene di genitori, poche proteste, aule zeppe di alunni con le mani alzate a fare domande. «Sembra che gli attacchi viaggino su canali paralleli. Non quelli reali delle famiglie da cui provengono i nostri studenti», provano a spiegare dal Comune: «È da tempo che altre città, come Firenze, trattano argomenti come questi. Mai una barricata. Ora la situazione è cambiata». Che l’educazione sia diventata un terreno di scontro fra pro e contro discriminazione lo racconta anche Giuseppina La Delfa, presidente dell’associazione “ Famiglie arcobaleno ” che riunisce migliaia di genitori gay e lesbiche: «Esistiamo da 10 anni», racconta: «Ormai almeno 300 bambini figli di coppie omosessuali frequentano la scuola italiana. Non abbiamo mai avuto problemi. Mai».

La quiete però sembra a rischio, adesso: «Il clima è peggiorato. In una scuola materna di Roma una coppia ha proposto di chiamare la festa del papà festa della famiglia, così da poter partecipare: Forza Nuova allora ha organizzato una manifestazione fuori dall’ingresso. A Bologna settimana scorsa hanno fatto un presidio anche davanti alla biblioteca in cui eravamo state invitate per un dibattito». Gay che dimostrano di essere ottimi genitori, incontri per combattere le discriminazioni, lezioni contro il bullismo: per le associazioni cattoliche sono tutte armi di quella che loro definiscono “Ideologia del gender”.

È il cappello sotto cui finisce, per loro, ogni tentativo di spiegare che è assolutamente normale non riconoscersi nel genere in cui si è nati, oppure amare persone dello stesso sesso, o ancora vivere ed essere una famiglia anche senza un uomo e una donna che copulino al solo scopo di riprodursi. «Se la scuola di vostro figlio propone corsi di educazione all’affettività, educazione sessuale, se parlano di superamento degli stereotipi o di relazione tra i generi: date l’allarme!», scrive il “Forum delle associazioni familiari dell’Umbria” in un volantino: «Inviate una lettera raccomandata e in caso non vi diano ascolto esercitate il vostro diritto ad educare la prole a casa e non fate uscire i vostri figli per quella lezione».

Silenzio in aula

Così, mentre a Roma si litiga sui libretti, i docenti si trovano ad affrontare questi argomenti a loro rischio . Senza le spalle coperte dall’istituzione: «Mi è capitato di spiegare in una terza media di provincia che il sesso non è una cosa sporca», racconta Isabella Milani, insegnante, autrice e blogger : «Dopo la lezione il prete è andato nelle case degli alunni a fare un discorso riparatore, e io sono stata convocata dalla preside». E sì che la sessualità dovrebbe essere un tema “facile”. Sicuramente più semplice di quelli che riguardano la diversità, il riconoscersi o no in un determinato genere, gli affetti: «L’ignoranza su questi aspetti è ancora tanta. Fra gli studenti ma anche fra noi docenti», continua la prof: «La maggior parte evita l’argomento perché lo ritiene troppo difficile. Altri sono i primi a fare battutine. E tra gli alunni è uguale.

Capita che in occasione della gita nessuno voglia avere in camera il ragazzino considerato gay. O che si offendano tra loro a colpi di “lesbica” e “finocchio”: qualche giorno fa, per esempio, dei ragazzi hanno attaccato sulla schiena delle compagne un pesce d’aprile con la scritta: “Sono una lesbica”». Per questo, conclude: «Non possiamo lasciare che i giovani omosessuali affrontino da soli una società come quella in cui viviamo. La scuola dovrebbe fare la sua parte». Ma i quattordicenni restano effettivamente soli ad affrontare gli attacchi: «Un adolescente gay nella maggior parte dei casi non può contare sull’appoggio della famiglia», racconta L., docente di matematica in un istituto tecnico del Nord, omosessuale, dichiaratosi ai colleghi ma non agli alunni, per non creare problemi ai genitori: «Se un ragazzino di colore viene insultato, lo denuncia subito, a noi e a casa.

Un gay invece non può, perché spesso in famiglia non ha detto nulla. E tiene tutto per sé». Fino ad arrivare a decisioni drastiche quella di G., che si è buttato dal balcone, o del 16enne che un anno fa ha provato a uccidersi per gli insulti ricevuti all’istituto nautico che frequentava. «Se da una parte la situazione è migliorata», continua l’insegnante: «Dall’altra insulti e bullismo si sono spostati online, o sui cellulari. Io stesso adesso mi devo occupare di un caso di bullismo proprio via Whatsapp, l’applicazione per mandarsi gratis i messaggi. Gli adolescenti non si accorgono della gravità di quello che scrivono. Usano parole durissime in modo inconsapevole». Eppure se su ask.fm c’è, in effetti, Martina, ad esempio, 13 anni, di Bergamo, che tra le trenta cose che odia di più al mondo inserisce “i ricchioni”, c’è anche Francesca, 14 anni, di Pavia, che alla domanda «Come è avere quel frocio di Marlon in classe? Non essergli amico! È frocio fa schifo!», risponde: «Povera te: hai ragione, sono davvero sfortunata ad aver trovato un buon amico».

Figli versus Genitori

Che i ragazzi siano più “avanti” dei loro vecchi – e delle vecchie istituzioni romane – quando si parla di questi argomenti lo dimostra il caso del liceo Muratori di Modena, dove gli studenti hanno invitato Vladimir Luxuria e il presidente dell’Arcigay a parlare di transessualità. Alcuni genitori presenti in consiglio d’istituto però si sono opposti, bloccando l’incontro. E nonostante l’ok degli alunni a organizzare il dibattito ospitando un contraddittorio, Vladimir non è potuta entrare in classe, perché i docenti, intimoriti dalla risonanza mediatica della vicenda, non si sono presentati alla riunione che doveva votare il via libera definitivo. Il dibattito così si è spostato su Facebook. Dove a difendere l’attivista transessuale non sono stati solo militanti o invasati.

C’era anche Irina, ad esempio, una quindicenne che legge Jane Austen, ha i capelli biondi, un fidanzato maschio, e sosteneva che la conferenza potesse essere interessante per tutti. Il suo fronte alla fine l’ha avuta vinta: e dopo tre rinvii il 16 aprile Luxuria è entrata in un’aula magna strapiena, parlando di bullismo, transessualità e diritti. «La miglior assemblea di sempre», l’ha definita una ragazza su Twitter . E sono stati sempre gli studenti a denunciare il docente di Religione del Liceo Foscarini di Venezia che in classe aveva portato un bigino in cui si sosteneva che fosse meglio curare chi è gay.

Oppure a pubblicare il questionario portato da un insegnante, dove fra le colpe dell’umanità di cui discutere, dopo guerra, infanticidio e furto, spuntavano omosessualità e Hiv. E sì che educarli al rispetto dovrebbe essere uno dei compiti principali della scuola: «Abbiamo l’impegno di formare cittadini e di mettere al riparo gli adolescenti dalla xenofobia, dal razzismo, dalla violenza, dalla caccia al diverso», ragiona Mimmo Pantaleo, responsabile scuola della Cgil: «Non si possiamo meravigliare poi dell’esplosione del bullismo se noi stessi non affrontiamo l’argomento in classe».

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 I libretti dell’UNAR sulla diversità nella scuola:

EDUCARE ALLA DIVERSITA’- SCUOLA PRIMARIA (*.pdf)

EDUCARE ALLA DIVERSITA’- SCUOLA SECONDARIA DI 1° GRADO (*.pdf)

EDUCARE ALLA DIVERSITA’- SCUOLA SECONDARIA DI 2° GRADO (*.pdf)