Tempi di Fraternità vince la causa contro il seminario di Acqui Terme di L.Kocci

Luca Kocci
Adista notizie n°16, 26 aprile 2014

Il mensile Tempi di fraternità vince la causa civile contro il seminario della diocesi di Acqui (Al) che aveva denunciato il periodico cattolico piemontese per diffamazione, chiedendogli un maxi risarcimento di 450mila euro.

L’articolo incriminato – un’inchiesta sui patrimoni e sulla gestione finanziaria della Diocesi, e in particolare su un immobile di proprietà del seminario utilizzato anche come albergo di lusso ed esentato dal pagamento dell’Ici – non era diffamatorio perché, spiega il giudice Robertà Poiré, «nessuna delle notizie riportate è risultata falsa» e «ogni notizia è stata professionalmente tratta da fonti originarie di provata affidabilità».

Ma oltre all’assoluzione di Tempi di fraternità – mensile cattolico “di base” fondato nel 1971 dal frate francescano Elio Celestino Taretto e dal 1976 edito da una cooperativa – la sentenza afferma un principio di grande importanza per l’informazione e per l’informazione religiosa in particolare: i cittadini hanno diritto di sapere come le istituzioni ecclesiastiche gestiscono ed utilizzano i propri patrimoni e se su questi beni pagano le tasse.

Pertanto i mezzi di informazione che documentano con correttezza e rigore questi aspetti contribuiscono alla libertà di informazione e, in ultima analisi, alla costruzione della democrazia. «Ogni cittadino italiano cattolico è parte della Chiesa ed ogni cittadino italiano cattolico ha interesse e diritto ad essere reso edotto di come la Chiesa gestisce ed utilizza i beni di cui dispone», «anche indipendentemente» dalla propria fede, dal momento che «la Chiesa è una istituzione la cui rilevanza pubblica è imprescindibile» e da ciò «consegue l’interesse pubblico delle notizie che ne riguardano le attività istituzionali», afferma la sentenza (interamente leggibile sul sito internet di Tempi di fraternità: www.tempidifraternita.it).

Inoltre, poiché «tutti i cittadini concorrono nell’adempimento dell’obbligo tributario, e l’adempimento dello stesso è essenziale per l’erogazione dei servizi pubblici anche di primaria importanza, è ancora più evidente l’interesse pubblico ad ogni notizia relativa alle scelte che i competenti organi effettuano in materia di esenzione fiscale. Non si ravvede quindi – prosegue il giudice – alcun travalicamento del principio di continenza»; l’articolo si limita ad esporre «fatti obiettivamente criticabili a carico di chi li pone in essere, e la forma usata non suggerisce o evoca alcun sentimento di riprovazione maggiore di quello che deriva dalla asettica valutazione dei fatti di per sé stessi considerati».

La vicenda comincia nel febbraio del 2013 quando, nell’ambito di una serie di articoli sull’uso dei beni da parte della Chiesa cattolica e di altre confessioni e fedi religiose redatti da Paolo Macina, Tempi di fraternità pubblica un’inchiesta sulla diocesi di Acqui. Un articolo complessivamente elogiativo dell’azione di trasparenza intrapresa dal vescovo, mons. Pier Giorgio Micchiardi, in merito alla gestione dell’otto per mille, del patrimonio e delle proprietà della diocesi, all’interno del quale si parla anche di “Villa Paradiso” (www.villaparadiso.org), a Pian d’Invrea, presso Varazze (Sv), sulla riviera ligure, acquistata dal seminario vescovile nel 1974.

Ed è questo l’oggetto specifico della denuncia. Si tratta di un immobile ristrutturato come residenza di lusso (dispone di una piscina con idromassaggio, di un piccolo campo da golf e di diversi ettari di parco), utilizzato per ritiri spirituali, congressi e incontri di seminaristi, preti e religiosi, ma i cui appartamenti, nei periodi di non utilizzo per le attività del seminario (nei mesi estivi e nel periodo natalizio), vengono affittati anche a privati a cifre che vanno dai mille (bassa stagione) ai duemila euro (alta stagione) a settimana. Ed esente dal pagamento dell’Ici, come conferma don Giacomo Rovera, il direttore del seminario: «Non paghiamo perché la finalità prevalente è quella istituzionale».

Nell’agosto del 2011 – riferisce Macina nel suo articolo –, dopo un primo sopralluogo dei vigili urbani, al seminario viene recapitata una multa di 5mila euro: alla struttura mancherebbero alcune licenze per la ricettività, inoltre sarebbero stati commessi alcuni abusi edilizi per il frazionamento della villa in 10 unità abitative. Pochi mesi dopo arriva anche la richiesta del pagamento degli arretrati dell’Ici. Il seminario fa ricorso e il giudice di pace gli dà ragione, chiudendo definitivamente la questione anche perché, nota Macina, il Comune di Varazze «stranamente» non fa appello.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, il seminario sporge denuncia per diffamazione a mezzo stampa contro Paolo Macina, Brunetto Salvarani (direttore di Tempi di fraternità), la cooperativa editoriale e il direttore del sito internet Trucioli savonesi che aveva rilanciato l’articolo, chiedendo 450mila euro di risarcimento. Ma il Tribunale di Alessandria rigetta la denuncia, dà ragione a Tempi di fraternità e anzi condanna il seminario al pagamento delle spese processuali (8mila e 400 euro).

La sentenza riconosce «il diritto e forse anche il dovere di qualsiasi cittadino di conoscere come vengono gestiti i beni delle Chiese – commentano i redattori di Tempi di fraternità nell’editoriale del fascicolo che uscirà nel prossimo mese di maggio –. Questo non è quindi un fatto privato, e spesso soprattutto noi credenti ci avviciniamo a questi temi con un po’ di timore, come se si andasse in qualche modo a mettere il naso nel “sacro”, e quindi la totale trasparenza delle scelte in campo economico e finanziario delle istituzioni religiose dovrebbe essere la prassi».

Ma non solo è giusto conoscere come le Chiese gestiscono i loro patrimoni, «è importante anche fare informazione sulla questione, mai sufficientemente indagata, della esenzione dal pagamento dei tributi da parte di strutture che si possono definire di carattere religioso solo in prima approssimazione. Il fatto di legare, in una sentenza, questi mancati introiti da parte dello Stato alla qualità dell’erogazione dei servizi pubblici ci sembra davvero importante». Conclude l’editoriale: «A oggi non sappiamo se ci sarà un ricorso a questa sentenza. Di certo ci sentiamo più tranquilli, contenti di aver cercato di fare, nel nostro piccolo e con tutti i nostri limiti, una informazione libera e coerente con i valori che ci caratterizzano».