Cina, lo sciopero delle sneakers

Marco Zerbino
www.micromega.net

Non accenna a fermarsi l’ondata di scioperi di massa che ha investito nelle ultime settimane la fabbrica cinese di scarpe da ginnastica Yue Yuen, di proprietà del gruppo taiwanese Pou Chen e collegata a giganti del settore quali Nike, Adidas, Timberland, Asics e molti altri. Il numero dei lavoratori che hanno incrociato le braccia sembra aver raggiunto attualmente le 48.000 unità, soprattutto dopo che dal complesso produttivo di Dongguan, la città della provincia del Guangdong in cui la protesta è cominciata lo scorso 14 aprile, il blocco della produzione si è esteso lunedì 21 aprile allo stabilimento situato nella provincia limitrofa di Jangxi. Alcuni attivisti hanno ora lanciato una campagna di solidarietà internazionale con gli scioperanti, che negli ultimi giorni si sono trovati a dover fronteggiare la repressione messa in campo dallo Stato cinese, con scontri di piazza, arresti e la sparizione di due membri del centro per i diritti dei lavoratori ChunFeng. Questi ultimi, da quanto è emerso, avevano avuto un ruolo molto attivo nell’aiutare gli operai delle due fabbriche ad organizzare quello che secondo molti è il più grande sciopero di massa verificatosi in Cina dall’inizio, a fine anni Settanta, dell’era delle riforme di mercato.

Lo sciopero nasce dalle richieste dei lavoratori del complesso produttivo di Dongguan, che a inizio mese hanno scoperto che i propri contratti di lavoro erano sostanzialmente fasulli e che l’azienda aveva omesso per quasi vent’anni di pagare i contributi necessari a consentire loro di godere dei benfici dell’assicurazione sociale. Il valore delle quote sottratte dall’azienda al pagamento delle assicurazioni delle maestranze non è stato calcolato con precisione, ma raggiunge verosimilmente cifre da capogiro, e gli operai chiedono sostanzialmente che venga loro restituito tutto l’ammontare sottrattogli negli anni. “La questione che preoccupa questi lavoratori”, ha spiegato al Guardian Geoff Crothall del China Labour Bulletin, un’organizzazione non governativa con sede a Hong Kong, “è in realtà molto diffusa in tutto il paese. In questo caso l’azienda almeno pagava una parte dei contributi, anche se non si trattava di tutto il dovuto, ma ci sono altre situazioni nelle quali ci siamo imbattutti in cui non viene pagato nulla”.

“L’attuale ondata di scioperi”, prosegue Crothall, “è in gran parte motivata dal fatto che molte fabbriche che operano in Cina stanno attualmente chiudendo, delocalizzando o cambiando proprietario … Ancora cinque anni fa gli scioperi in Cina nascevano per lo più in relazione alla richiesta di aumenti salariali. Oggi, tuttavia, l’attenzione dei lavoratori si concentra soprattutto sullo scenario che rischia di verificarsi nel caso in cui la loro azienda chiuda i battenti. ‘Cosa ci verrà corrisposto dopo la chiusura?’, si chiedono in molti. ‘Avremo l’assicurazione sociale a cui abbiamo diritto a norma di legge?'”.

La reazione dell’azienda, che è considerata il più grande produttore mondiale di scarpe da ginnastica e lavora per marchi del settore tanto importanti quanto possono esserlo a livello globale Nike e Adidas, non ha finora soddisfatto i lavoratori di Dongguan, in solidarietà con i quali sono scesi in sciopero anche gli operai Yue Yuen della vicina provincia di Jangxi. Il portavoce dell’azienda George Liu ha dichiarato nei giorni scorsi che la ditta è pronta ad innalzare la propria quota destinata al finanziamento del sussidio governativo per i lavoratori di 230 yuan (circa 26 euro) e a far partire dal prossimo primo maggio un piano che contempla nuovi benefit per la sicurezza sociale. Tale proposta non ha comportato la fine degli scioperi e, secondo Xiang Feng, lavoratrice ventottenne della Yue Yuen, essa è destinata ad essere respinta almeno dall’80% dei lavoratori che “rischiano in tal modo di mettersi in tasca alla fine del mese uno stipendio sostanzialmente invariato o forse addirittura minore di prima”.

Anche la repressione dello Stato cinese non si è fatta attendere. Intorno allo stabilimento di Dongguan nei giorni scorsi poliziotti in assetto antisommossa hanno tentato di “dissuadere” gli operai in sciopero dal tenere assembramenti. Si sono quindi verificati diversi scontri con le forze dell’ordine, arresti e la sparizione di Zhang Zhiru e Lin Dong, due attivisti del centro per i diritti dei lavoratori ChunFeng (“vento di primavera”) che ha sede a Shenzen. Entrambi hanno svolto negli ultimi giorni un ruolo fondamentale nell’aiutare i lavoratori della Yue Yuen ad organizzare la protesta e a formulare le proprie rivendicazioni. Zhang, che è stato più volte fermato e detenuto in passato dalle autorità cinesi, lo scorso 21 aprile aveva incontrato i lavoratori in sciopero insieme ad un avvocato che collabora con il centro ChunFeng. Secondo la moglie di Zhang, raggiunta dalla Reuters, anche Lin Dong, un collega di Zhang che lavora con lui al centro, potrebbe essere scomparso.

Attualmente i lavoratori in sciopero non hanno una rappresentanza formale. La confederazione dei sindacati cinesi, controllata dal regime, ha creato un gruppo di lavoro per seguire la vicenda della Yue Yuen e sta conducendo un’indagine nelle sue fabbriche, i cui risultati tuttavia non saranno resi pubblici. Nel frattempo, alcuni gruppi di attivisti impegnati in difesa dei diritti dei lavoratori che seguono la vicenda da Hong Kong hanno lanciato una campagna di solidarietà internazionale con gli operai della Yue Yuen in sciopero che punta a colpire direttamente, oltre all’azienda, i marchi che ad essa commissionano la propria produzione. La richiesta a tutti coloro che vogliono sostenere i lavoratori in lotta è quella di fare pressione su grandi brand come Adidas, Nike e Timberland tramite lettere, proteste e volantinaggi di fronte ai punti vendita di queste aziende presenti nelle grandi città occidentali. Allo stesso scopo è stato lanciato anche un ashtag, #ChinaSolidarity, da diffondere il più possibile su Facebook e Twitter.