Imposizioni ed esenzioni fiscali di M.Vigli

Marcello Vigli
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Negli ultimi giorni dichiarazioni ufficiose e previsioni dei media hanno diffuso una serie di concomitanti anticipazioni sulle possibili imposizioni fiscali e “sforbiciate” nei compensi ipotizzate dal governo per garantire la copertura dei mitici 80 euro promessi da Renzi.

Fantasiose alcune, ispirate, altre, ad un sano criterio di ridistribuzione sociale, ma nessuna, di quelle di parte governativa, orientate a intaccare il sistema di esenzioni o di condizioni privilegiate delle proprietà ecclesiastiche. Poco importa, in questa sede, ripeterne l’elenco o contestare l’arroganza con cui la Cei le difende, interessa piuttosto denunciare la disuguaglianza eretta a sistema, che esse rappresentano, particolarmente deprecabile in questa situazione di crisi, e riflettere sulla mancanza di laicità di cui sono espressione.

I beni della Chiesa, infatti, sono in buona compagnia.

Anche le rendite finanziarie, i redditi immobiliari, alcuni proventi industriali e da lavoro autonomo hanno avuto e continuano ad avere trattamenti fiscali privilegiati e, comunque, più favorevoli all’evasione che non i redditi da lavoro dipendente tassabili alla fonte. A tal proposito ancor più inaccettabile è il divario fra la cura nel perseguire piccoli evasori o contribuenti distratti e la lentezza nel perseguire i grandi evasori o nel controllare le elusioni tutelate forse ad arte da norme farraginose.

Alle tante forme di discriminazione rappresentate da queste ineguaglianze a favore dei “ricchi”, si aggiunge, nel caso dei beni della Chiesa, quella nei confronti delle altre confessioni religiose e, soprattutto, di quei centri culturali o gruppi ideologici che non rientrano nella casistica prevista per le strutture cattoliche.

Senza il riferimento alla realtà, ormai ben nota, dei complessi alberghieri o pensionistici, camuffati da strutture con finalità religiose, ci sono innumerevoli altre attività lucrative, pur finalizzate spesso a “fin di bene”, svolte nelle parrocchie o presso conventi che sfuggono legalmente all’obbligo di partecipare al finanziamento delle pubbliche istituzioni. Norme concordatarie e loro interpretazioni estensive consentono, infatti, che vengano distratte risorse pubbliche dal loro corretto uso destinandole a iniziative particolari.

Diventano, in qualche modo, assimilabili agli sprechi, anch’essi in verità destinati a “foraggiare” attività, affaristiche o ludiche, di privati cittadini inseriti, non si sa per quali meriti, nel bilancio delle pubbliche amministrazioni. Anche se il merito, per quanto concerne le “iniziative” cattoliche, è noto non per questo cessa di essere estraneo, anzi contrario, alla norma costituzionale che vuole per i cittadini e le loro organizzazioni uguali trattamenti da parte della pubbliche istituzioni.

È violato il principio di laicità inteso nella sua valenza di cardine primario della Costituzione, che a nessun Accordo è lecito a ignorare.

Eppure fra le tante esternazioni del Presidente del consiglio non c’è spazio per manifestazioni di fedeltà alla Chiesa, come magari si ritrovano in quelle, ben più sobrie, del suo sottosegretario Graziano Del Rio. Com’è noto, all’indomani del mancato sostegno all’elezione di Franco Marini alla Presidenza della Repubblica, Renzi dichiarò di non considerarsi un politico cattolico, con riferimento ai temi della bioetica, e nei giorni scorsi non è stato presente nella chiesa di San Salvatore a Firenze dove il cardinale arcivescovo Giuseppe Betori ha celebrato la tradizionale messa per i cattolici impegnati in politica. Si può forse concludere che su questa questione Renzi, diversamente dal suo solito, non ama parlare ma preferisce agire evitando di ridurre i soldi versati dallo Stato alla Chiesa in continuità con le violazioni dei governi che lo hanno preceduto.

Ancor più arbitrarie appaiono tali violazioni in presenza della novità rappresentata dal vigoroso e tenace rilancio impresso da papa Bergoglio alla promozione della Chiesa povera, oltre che “dei” e “per” i poveri.

Povera quindi anche di privilegi magari non di risorse non offerte dai fedeli da ridistribuire!

Lo stesso meccanismo dell’otto per mille, in verità, è pensato per dare una parvenza di contributo diretto dei fedeli a quello in realtà fornito dallo Stato alla Cei con questo meccanismo: la firma in calce alla dichiarazione dei redditi serve a manipolare in frutto di elargizioni spontanee la distrazione di risorse sottratte al benessere comune.

Se non riesce ad essere “povera” sembri almeno “ricca” di soldi suoi!

In verità anche nell’uso di questi possono insorgere gravi divergenze all’interno della sua gerarchia. Lo rivela lo sdegno di papa Francesco alla notizia della mega ristrutturazione voluta dal cardinale Tarcisio Bertone, per il suo attico a Palazzo San Carlo: un attico di circa 700 metri quadrati in stridente contrasto con le tre stanze occupate del papa nella vicina casa di Santa Marta.

Un episodio che non è di poco conto se lo si legge come un segno delle opposizioni interne che esasperano le difficoltà incontrate da papa Francesco nel tentativo di restituire credibilità alla Curia romana.