Adinolfi, le mamme, il caos etico e la resistenza di M.Lanfranco

Monica Lanfranco
www.womenews.net

Poter costituire una famiglia, a prescindere da quello che c’è in mezzo alle gambe, perché ciò che conta sta nella testa e nel cuore, assieme alla capacità, al senso del limite e di responsabilità. Ecco quello che l’ex deputato Mario Adinolfi non riesce a concepire

C’è sempre chi decide di autoincoronarsi ‘mente provvidenziale’ che arriva e aggiusta il ‘caos etico’, e finalmente squarcia il velo sui ‘falsi miti del progresso’.

Per esempio, per citarne alcuni, di falsi miti del progresso: non morire più di aborto clandestino; poter lasciare al proprio compagno o compagna l’eredità anche in una coppia dello stesso sesso; costituire una famiglia con figlie e figli (partorendo o adottando) senza essere coppia eterosessuale; scegliere di porre fine alla sofferenza di una malattia incurabile se non ce la sentiamo di continuare a vivere.

Alcuni di questi ‘falsi miti’ sono leggi dello stato, ottenute dopo decenni di studio, discussione, conflitto e disamina da parte di donne e uomini di varia estrazione culturale, politica e sociale persino in uno stato sgangherato come quello italiano, mentre altri sono (almeno in Italia) desideri e richieste da parte di uomini e donne che, senza imporre che le loro visioni e bisogni neghino quelli di altre persone, chiedono diritti dei quali ancora non possono godere.

Poter costituire una famiglia, a prescindere da quello che c’è in mezzo alle gambe, perché ciò che conta sta nella testa e nel cuore, assieme alla capacità, al senso del limite e di responsabilità.

Ecco quello che ‘menti provvidenziali’ come, per esempio, quella dell’ex deputato Mario Adinolfi (emulo in più di un senso delle gesta di Giuliano Ferrara) non riescono a concepire: che possano esistere diversi modi di amarsi, di creare un nucleo affettivo responsabile in grado di educare bambini e bambine, di autodeterminarsi nel dare la vita e nel morire.

Oggi chiunque si sveglia e depreda la storia, senza pensarci due volte: si citano i campi di concentramento e Primo Levi per parlare di mala politica; si annuncia il 25 aprile, come ha fatto il suddetto paladino della famiglia (quella giusta ed etica) che il suo movimento VLM (Voglio la mamma, ottima operazione di marketing per l’omonimo libro) esprime la nuova resistenza contro il caos etico.

Cito da un articolo della storica Rosangela Pesenti, femminista e insegnante: ”Le grossolane enunciazioni di Adinolfi non meriterebbero risposta, se il tema della filialità non toccasse nel profondo ognuna e ognuno di noi: tema non eticamente sensibile ma direi vitalmente sensibile e, lo sappiamo bene, mai interamente delegabile, allo Stato, alla religione o a un piccolo imbonitore.

Perché da figlie e figli ci si misura con la realtà di ciò che è accaduto e, proprio perché fuori dalla nostra volontà, ci ha generato. Non solo i genitori non si scelgono, ma non si diventa genitori per imposizione, nemmeno quando ti accade di generare, perché le relazioni umane, fin dalla nascita, si sviluppano solo nella libertà, diversamente diventando solo vincoli di necessità, quando non generatori d’infelicità.

Il tentativo di fissare rigidamente i modelli di padre e madre riferendosi all’astrattezza dei propri personali deliri più che all’esperienza storica, che viene cancellata nella sua straordinaria varietà e creatività come nelle personali esperienze sia gioiose che dolorose, pone in evidenza la paura di misurarsi con la realtà umana oggi”.

Si prova un disagio forte a pensare che tante energie vengano immesse per creare l’ennesimo movimento contro l’estensione di diritti, diritti che non ledono quelli di coloro che già ne godono: nessuna famiglia eterosessuale sarà mai in pericolo per l’esistenza di famiglie omosessuali, nessuna donna è stata mai obbligata a interrompere la gravidanza perché c’è una legge che lo consente, nessun essere umano sarà mai obbligato a usufruire dell’eutanasia.

La storia ci insegna, al contrario, che è proprio l’estensione dei diritti a favorire una migliore convivenza e qualità della vita nella società, oltre all’abbassamento della soglia della violenza: perché è nel confronto e nel conflitto civile, e non nella definizione di gerarchie tra cosa è giusto eticamente e cosa non lo è, che si cresce come umanità. Adinolfi non è un resistente.

Lo siamo noi, che dobbiamo civilmente, in modo nonviolento, resistere di fronte alle banali pensate dell’ultimo aggiustatore etico di turno.