Lea, giardiniera della libertà

Franca Fortunato
Il Quotidiano della Calabria, 5 maggio 2014

Sabato a Petilia Policastro per ricordare e onorare Lea Garofalo c’ero anch’io. Per niente al mondo avrei rinunciato ad essere presente in quella piazza, per testimoniare la mia gratitudine per una donna che ha difeso con coraggio, pagandone un prezzo altissimo, come tante altre, la sua e la nostra libertà di donne.

La giornata non prometteva bene, piovigginava, il sole tardava ad apparire, quando io e la mia amica Lina Scalzo ci siamo messe in macchina per raggiungere il piccolo paese del crotonese. Nessuna di noi due era mai stata a Petilia. Arrivate al bivio per Cutro abbiamo imboccato la lungo strada che si inerpica, come un serpente, su, su fino al paese.

Ci siamo fermate più volte per chiedere indicazioni. Alcuni uomini si sono offerti di farci da apri – strada con la loro macchina. Finalmente dopo aver percorso strade tortuose, simili a quelle di tanti altri paesini interni della Calabria, siamo arrivate a destinazione. Eravamo emozionate. Non ci siamo sentite estranee né abbiamo sentito la pesantezza della presenza della ‘ndrangheta.

Petilia per noi era Lea, eravamo lì per lei. Carabinieri, polizia, vigili urbani, uomini della Protezione civile ci hanno indirizzate alla piazza, con cortesia e cordialità. Ci siamo sentite accolte. Ci siamo sentite a casa. Petilia, grazie a Lea, ci apparteneva e non avevamo niente da temere.

Intanto il sole faceva la sua apparizione ed espandeva il tiepido calore dei suoi raggi sulla piazza che, piano piano, si andava riempiendo di donne e uomini e di tanta “bella gioventù”, studenti, ragazze, molte ragazze, dal viso pulito e raggiante, venuti ad onorare

Lea, maestra di vita , lei che la sua vita l’ha persa per qualcosa di più grande, di più importante, per una donna, della legalità e della lotta alla ‘ndrangheta, la libertà femminile. Libertà di decidere della propria vita e del proprio futuro. Libertà da ogni violenza sul proprio corpo.

E’ questa consapevolezza femminile, irreversibile, che distruggerà, lo sta già facendo, questa ‘ndrangheta dove la famiglia mafiosa si identifica con quella di sangue. E’ questa consapevolezza di tante donne, di questa Calabria, che cambierà, ha già cambiato, questa terra.

Lea Garofalo non è un’ “eccezione”, né una martire o una santa, ma una donna “comune”, una di noi a cui è capitato di vivere in questo tempo di libertà femminile. Viviamo in un tempo di passaggio di civiltà nei rapporti tra i sessi e molte donne, e ancora di più donne come Lea, stanno pagando con la propria vita la fine di un mondo maschile, fondato sul dominio degli uomini sul corpo femminile.

Gli uomini della ‘ndrangheta hanno da subito intuito la forza dirompente, devastante per loro, della libertà femminile. La temono più della giustizia e dei magistrati. Più del carcere e della galera. Temono il suo contagio e combattono, ammazzano, distruggono quelle come Lea, che credevano essere le “loro” donne.

Essere abbandonati da una donna è insopportabile per un uomo, come dimostrano le tante uccisioni di donne da parte di mariti, fidanzati, ex, ma per un mafioso lo è ancora di più, perché ne va del suo “onore” di uomo e di ‘ndranghetista. Ecco da dove viene la crudeltà, l’efferatezza di chi non si è accontentato di uccidere Lea, dopo averla torturata, ma ne ha bruciato il corpo, come è accaduto a tante donne nella storia, su cui si è abbattuto l’odio degli uomini – da Ipazia d’Alessandria alle tante bruciate sui roghi come streghe ed eretiche.

Un gesto simbolico per dire la volontà di cancellazione di una donna dalla faccia della terra. Lea è più viva che mai –come ha ricordato anche don Ciotti – , lo è e lo sarà in sua figlia Denise e in tutte le donne che sabato erano in piazza, e non solo.

Dal parco giochi, dove è stato sistemato il monumento a Lea, lei potrà – secondo la felice espressione del professore Giovanni Ierardi – essere “la giardiniera dell’infanzia di Petilia e del mondo”. Una “giardiniera” che, ancora una volta, avvicina Milano alla Calabria, a Petilia Policastro.

Le giardiniere, infatti, si sono chiamate quelle donne che a Milano, nei primi decenni dell’800, si sono spese per la causa risorgimentale. Giardiniere perché si trovavano nei giardini per far nascere un’altra patria, un’altra Milano, liberata dall’oppressione e dalla tirannia. Grazie Lea. Grazie Denise.