USA, l’ennesimo processo farsa

Mario Lombardo
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Alcuni giorni fa, un tribunale federale americano ha condannato a pene detentive relativamente pesanti tre manifestanti anti-NATO al termine di quello che è apparso a molti come una parodia di un procedimento legale in un paese democratico. I tre imputati, come è spesso accaduto negli ultimi anni negli Stati Uniti, non hanno in realtà rappresentato alcuna minaccia “terroristica” e i più che discutibili crimini di cui erano accusati sono derivati unicamente dall’attività istigatoria nei loro confronti di due infiltrati della polizia.

Il verdetto è stato emesso dal giudice della contea di Cook, nell’Illinois, Thaddeus Wilson e ha stabilito per Brian Church, Brent Betterly e Jared Chase pene rispettivamente di 5, 6 e 8 anni, al termine delle quali seguiranno per tutti altri 2 anni di libertà condizionata.

Già lo scorso mese di febbraio, i tre giovani alla sbarra erano stati giudicati colpevoli per i reati di possesso di materiale incendiario e di utilizzo di metodi violenti per disturbare la quiete pubblica. La giuria prescelta per il processo li aveva però scagionati dall’accusa più grave, quella di terrorismo secondo il dettato di una legge dell’Illinois approvata all’indomani dell’11 settembre 2001 e fino ad ora mai usata in aula nello stato del Midwest americano.

Il procuratore Anita Alvarez aveva condotto una durissima battaglia contro i tre imputati, insistendo sulle loro tendenze terroristiche e chiedendo ancora alla vigilia della decisione sull’entità della pena da parte del giudice Wilson fino a 14 anni di carcere nonostante la sentenza di febbraio. Church, Betterly e Chase sono in carcere già da più di 700 giorni e il periodo scontato dietro le sbarre verrà dedotto dalla loro pena definitiva.

Secondo i loro legali, nel caso dovesse essere riconosciuta la buona condotta, i tre potrebbero uscire dal carcere tra 6 e 18 mesi. Jared Chase, inoltre, soffre di una patologia neurodegenerativa chiamata malattia di Huntington, a causa della quale, secondo un neurologo chiamato a testimoniare durante il processo, il condannato 29enne, oltre a dovere essere assistito per ogni sua necessità nel prossimo futuro, potrebbe avere un’aspettativa di vita non superiore ai dieci anni.

In ogni caso, le disavventure legali dei tre uomini erano iniziate nel maggio del 2012 in seguito alla loro partecipazione alle proteste organizzate contro il vertice della NATO andato in scena a Chicago. In quell’occasione, secondo svariate organizzazioni a difesa dei diritti civili, le autorità americane erano ricorse a “violenze indiscriminate” per disperdere i manifestanti, arrestando centinaia di persone e ferendone alcune decine.

Church, Betterly e Chase vennero invece presi di mira probabilmente per le simpatie da loro nutrite nei confronti dei cosiddetti Black Bloc. L’arresto fu effettuato dalle forze di polizia in un appartamento del “south side” di Chicago mentre i tre uomini – secondo l’accusa – erano intenti a versare benzina in alcune bottiglie vuote allo scopo di produrre Molotov da utilizzare in assalti contro alcuni edifici della città, tra cui stazioni di polizia, il quartier generale della campagna elettorale del presidente Obama e l’abitazione del sindaco Rahm Emanuel.

In realtà, l’intera vicenda era apparsa da subito come una trappola preparata dalle forze di polizia di Chicago costruita sulle prestazioni di due infiltrati sotto copertura.

Nel corso del processo, infatti, erano emersi elementi che, pur non risparmiando agli accusati pene detentive, avevano dimostrato l’assurdità delle accuse nei loro confronti. Per cominciare, le prove consistevano soltanto in registrazioni segrete di conversazioni inconsistenti, impronte digitali rinvenute su bottiglie vuote di birra che sarebbero state utilizzate per la preparazione di Molotov, nonché benzina e altro materiale fornito interamente dagli agenti di polizia in incognito.

Le conversazioni raccolte dalla polizia, come ha fatto notare la difesa durante il dibattimento in aula, erano caratterizzate più che altro da frasi bizzare ed evidenziavano la mancanza di preparazione dei tre imputati in relazione a possibili azioni dimostrative violente. In una discussione registrata, addirittura, Brian Church rifiutava esplicitamente l’invito di uno dei due agenti infiltrati a provare l’efficacia delle Molotov contro un qualche bersaglio a Chicago.

Secondo l’avvocato di Brent Betterly, perciò, “la guerra al terrore non può andare tanto in là” fino a includere il caso in questione e, infatti, la vicenda dei cosiddetti “NATO Three” dimostra ancora una volta come le misure di polizia adottate negli USA dopo l’11 settembre 2001 siano destinate in primo luogo a reprimere e scoraggiare ogni forma di dissenso interno.

Lo stesso Betterly, d’altra parte, nelle fasi finali del processo qualche giorno fa ha ribadito pubblicamente il proprio impegno “pacifico contro le potenze occidentali e le corporations transnazionali”, identificando la sua battaglia morale con quella di tutte le “persone oppresse”.

La sorte dei tre condannati conferma anche come gli Stati Uniti valutino in maniera diametralmente opposta le manifestazioni di protesta a seconda che avvengano all’interno dei confini propri e di quelli di paesi amici o contro governi poco graditi.

Così, ad esempio, mentre i gruppi neo-fascisti che hanno rovesciato un governo democraticamente eletto in Ucraina o i manifestanti violenti finanziati da Washington in Venezuela vengono considerati alla stregua di eroi della democrazia, coloro che protestano contro il sistema negli USA, oppure contro il regime golpista di Kiev o la dittatura militare in Egitto, risultano al contrario minacce – spesso di natura “terroristica” – da eliminare senza nessuno scrupolo.