Basta una donna per essere migliori? alla lunga sì

Ileana Montini
www.womenews.net

Nonostante il rischio costante dell’omologazione al modello di pensiero maschile, le donne provengano da un’esperienza di vita diversa che prima o poi si farà strada.

Chi si nasconde dietro la firma di “eretica” sul Fatto quotidiano: una donna, un uomo? L’articolo “Cara Gruber, non basta essere donne per essere migliorihttp://www.ilfattoquotidiano.it/201…” del 27 aprile, è costruito sulla ben nota tesi che le quota rosa non hanno senso perché le donne che meritano si fanno strada senza.

Cioè, Eretica sostiene che non basta essere donne per essere migliori. A questo punto ho riletto la Gruber nell’articolo incriminato. Lei fa riferimento a un convegno, “Young factor” dedicato alla “educazione economico- finanziaria dei ragazzi dai 14 ai 18 anni come chiave per migliorare il futuro del Paese”, dove i 19 relatori chiamati a intervenire … erano tutti uomini. Mettiamola così: un convegno dedicato all’educazione dei ragazzi, e non anche delle ragazze, giustamente ha interpellato relatori uomini. Amen.

Si chiede la Gruber se questo è il rinnovamento “che fa belli i governi e rimbalza arrogante nei discorsi della politica”. Aggiunge, verso la conclusione, che è segno di arretratezza culturale per un Paese che vuole proiettarsi nel futuro “non essere in grado di valorizzare le competenze delle donne “.

La nota tesi, secondo la quale nessuno è contrario alle donne competenti in politica, come nei ruoli più prestigiosi e di potere nell’area pubblica, in fondo, in fondo, vuole dire che ,al massimo, soltanto ora ci sono donne competenti. Perché nel passato tutti i posti chiave del potere erano occupati dal genere maschile.
Natalia Aspesi ha scritto un bellissimo articolo (3 maggio, inserto Donna su La Repubblica) intitolato “Solo un uomo giovane poteva far posto alle donne”.
Bellissimo perché racconta una storia recente, da lei vissuta.

Correvano gli anni sessanta e settanta del secolo scorso: “ Ho ricordi che segnano i primi cambiamenti del passato. E per esempio, quando negli ospedali le donne medico cominciarono, a non essere più una rarità. Le donne stesse provavano diffidenza verso di loro: se i medici erano sempre stati uomini, doveva esserci una ragione, meglio fidarsi poco di una medichessa….”. E che dire di un avvocato donna? “Cosa poteva saperne rispetto a un uomo che da generazioni esercitava un mestiere prettamente maschile? come del resto tutte le professioni importanti? E le giornaliste? C’era qualche fenomeno, donne che seguivano la guerra in Vietnam e che scavavano coraggiosamente nei segreti di Stato, ma erano poi davvero credibili? E le altre, brave nei giornali femminili, a occuparsi di moda e ricette, ma guai se osavano altro…”.

La storia vera è propria questa e non tanto antica. Che se andiamo a ritroso troviamo la spiegazione di un modo di essere di uomini e donne recente e in parte anche attuale.
Le donne che sceglievano la vita monastica, o erano costrette alla monacazione, potevano legittimante imparare a leggere e scrivere e c’era chi, avendo talento e carattere, produceva opere di rilievo. Ma sempre con il permesso, il controllo censorio dei confessori. Nel 1600 il confessore di Maria di Agreda affermava: ” Scrivere non è un lavoro da donne “, ordinandole di bruciare l’unica copia della Mistica di Dio; un vero capolavoro.

E Anna di San Bartolomeo, discepola di Teresa D’Avila e castigliana analfabeta che aveva imparato a leggere e scrivere nel convento di San Josè fondato dalla santa scrive nella sua autobiografia che il suo modo di essere monaca contemplativa non era piaciuto al confessore perché opera del diavolo. Fortunatamente lei si rivolse a Madre Teresa che le disse di non preoccuparsi perché “non si trattava del Diavolo e che anche lei aveva praticato lo stesso modo di pregare che i confessori non capivano.”

Comunque, scrive Silvia Evangelisti nel suo prezioso libro Storia delle monache (Ed. il Mulino, 2012): “Le donne che scrivono, in epoca premoderna, devono fare i conti con una secolare opinione che le associa preferibilmente al silenzio, alla piena sottomissione, separandole al tempo stesso da ruoli di autorità e dalla possibilità di trasgredire e usurpare il potere maschile. Create dopo Adamo, e dal suo corpo, le donne erano spiritualmente deboli, facili da indurre in tentazione e più inclini a trasgredire l’ordine delle cose rispetto alla loro controparte maschile. Nel caso venissero avviate all’istruzione, ciò doveva avvenire sotto stretta sorveglianza; esse non dovevano inoltre né insegnare nè esprimersi in pubblico. (…) Escluse dalla vita pubblica, da responsabilità politiche o accademiche, le donne non avevano un bisogno particolare di essere istruite, essendo il fine ultimo della loro esistenza rivolto al matrimonio e alla cura della famiglia.”.

Natalia Aspesi sostiene che soltanto un giovane come Renzi poteva favorire “una valanga” di donne e ai vertici delle aziende di Stato. Donne di sapienza, anche giovani, salite “sulle poltrone su cui da sempre erano abbarbicati i maschi che parevano inamovibili”.

Intanto assistiamo ai tentativi di demolizione delle donne che quei posti, poltrone, hanno iniziato a occupare, in nome dell’analisi accurata delle competenze . “se sono competenti….”: come dire che i maschi che finora nei secoli e secoli hanno occupato tutto il campo del potere pubblico, l’hanno fatto perché dotati delle necessarie competenze? Suvvia, sappiamo tutti/ che, mentre ai maschi è sempre stato sufficiente appartenere fisiologicamente al sesso “forte” per ottenere qualsiasi ruolo pubblico, alle donne è toccato lottare (come fece Maria Montessori!) per riuscire a imporre le proprie, evidenti, capacità.

Ha ragione N. Aspesi nel dire che tutte queste donne in parlamento, nel governo, nei posti chiave, è una visibilità che costringe ad abituarsi “alle donne nei punti nevralgici non solo governativi del Paese, che la cosa non apparirà più né una stravaganza né un capriccio né una casualità, né un errore passeggero.”

Scrivono i contrari, e le contrarie, alle quote rosa che le donne si omologano facilmente ai collaudati modelli maschili, non portando sempre un pensiero e una sostanza diversa. Eretica ripete le solite accuse: “le donne che ricoprono cariche di prestigio spesso sono antiabortiste, omofobe, familiste, neocolonialiste, razziste, distanti dai problemi reali delle persone e delle donne che dicono di rappresentare.”.

Ma questa non è un’epoca di passaggio? Le donne che, più numerose anche in Italia, vanno a occupare posti pubblici trovano disponibili modelli comportamentali secolari maschili contrabbandati e interiorizzati come universali. Perché provenienti da un’educazione familiare impostata sulla tradizionale divisione sessuale dei ruoli, anche le giovani donne faticano ad articolare un pensiero e un comportamento diverso in un Paese, oltretutto, così segnato dalla presenza della Chiesa Cattolica con il suo clero soltanto maschile.

E allora ha ragione la Gruber: “E’ così che ti scopri a pensare: bene, anche se il superamento delle barriere culturali non può essere garantito per legge, ben vengano le quote rosa ad assicurare, nei posti chiave della politica, dell’economia e dell’istruzione, una visione del mondo più vicina alla complessità della vita.” Sì, perché nonostante il rischio costante dell’omologazione al modello di pensiero maschile, le donne provengano da un’esperienza di vita diversa che prima o poi si farà strada.