La scuola non è il villaggio della famiglia cattolica

Maria Mantello
www.micromega.net

Scuole cattoliche con migliaia di bimbetti in divisa d’ordinanza al seguito, reti parrocchiali di famiglie, gruppi dell’azione cattolica. La Cei chiama, ed eccoli il 10 maggio pomeriggio adunati in piazza S.Pietro per promuovere le loro scuole, da anni in strutturale crisi d’iscrizioni nonostante l’anticostituzionale foraggiamento di Stato.

Le abbiamo viste altre volte nell’ultimo ventennio queste prove di forza messe in piedi dal Vaticano alla riconquista della scuola, per riportarla al villaggio globale dell’ecumenismo cattolico.

Scene invereconde di genuflessi ministri dello stato italiano le hanno accompagnate. E li abbiamo visti – anche quelli che credevamo laici – lasciarsi bacchettare da cardinali e papi, e poi esibirsi nel baciamano di rito.

La Chiesa ha affondato in questi anni nel burro governativo, ottenendo molto più di quanto forse essa stessa si sarebbe aspettata.

Al Ministero dell’Istruzione il burro era già sciolto ed è stato gioco facile: dal famigerato “sistema paritario integrato” – regalo di Luigi Berlinguer alle private che inaugura la violazione dell’art.33 della Costituzione – alle successive politiche di dismissione della scuola statale perseguite con rigore maniacale nell’era berlusconiana con Moratti e Gelmini, … e certo non dismesse con Profumo e Carrozza… fino all’attuale Stefania Giannini.

Una che la scuola privata la vuole proprio “paritetica” alla statale. E che sfruttando il virus della bergoglite mediatica, ha chiamato a raccolta anche le scuole statali in piazza S. Pietro.

Queste si sono viste recapitare infatti una singolare circolare del Miur (prot.n. 0002788 del 05.05.2014, oggetto: Papa Francesco incontra la scuola – 10 maggio 2014) che segnalava l’importanza di questo «evento che non ha precedenti nella storia della Chiesa e delle scuole italiane» (cfr. circolare MIUR).

Certo, proprio senza precedenti! Perché se non ci fosse stata la carta intestata del Ministero, il testo sarebbe stato scambiato per un invito della Conferenza episcopale.

Le scuole statali non hanno raccolto. Impegnate come sono da anni nella battaglia per l’affermazione dell’unica scuola libera, laica, plurale. La scuola dello Stato repubblicano, organo della Costituzione, e per questo maestra di pensiero critico e di autonomia morale.

Contro questa scuola si sta consumando il finale scambio simoniaco. Il delitto perfetto si chiama sussidiarietà. Ovvero, lo Stato finanzia la scuola, ma rinuncia alla gestione delle sue scuole per consegnarle al localismo prevalente, che in Italia significa soprattutto scuola cattolica.

Era quanto a ridosso del Concordato fascista invocava Pio XI con la Divini illius magistri affinché– come se la Breccia di Porta Pia non ci fosse mai stata – la scuola divenisse « istituzione sussidiaria e complementare della famiglia e della Chiesa […] un solo santuario, sacro all’educazione cristiana».

Una sussidiarietà questa riproposta con forza da Wojtyla e Ratzinger e dalla Chiesa ruiniana; ma che trapela ancora nelle edulcorate parole del simpatico papa Bergoglio, che il 10 maggio non ha trascurato di dire che la scuola è «complemento alla famiglia», «prima società che integra la famiglia»; che «le famiglie dei ragazzi di una classe possono fare tanto collaborando insieme tra di loro e con gli insegnanti», perché – ha ripetuto papa Francesco più di una volta, chiamando la piazza a dirlo con lui – «per educare un figlio ci vuole un villaggio!».

Una scuola villaggio di genitori educanti, che si dovrebbero servire della scuola per rinforzare e trasmettere la loro idea di vita, di società, di cultura.

Una scuola villaggio, che però è troppo stretta per un paese democratico dove la scuola dello Stato laico e democratico ha il dovere più ambizioso di formare cittadini liberi e autonomi. Uno Stato che è chiamato alla rimozione degli ostacoli di ordine personale e sociale (art.3 della Costituzione) e che quindi deve guardare ben oltre il ghenos, la stirpe, il familismo educativo, perché ogni ragazzo è proprietario di se stesso. E per questo la scuola statale lo educa a pensare e scegliere con la propria testa e non con quella a cui il villaggio, il gruppo, il clan di provenienza, una religione dominante lo vorrebbe vincolare.