La strage di Odessa e gli ultras nazionalisti

il manifesto    

Sui ter­ri­bili fatti di Odessa si sono sca­te­nate le mac­chine della pro­pa­ganda. Ognuno for­ni­sce la sua ver­sione dei fatti. La sto­ria si potrebbe rias­su­mere così: Kiev dice che la causa del disa­stro è dei filo­russi, spal­leg­giati da Mosca. I ribelli dell’est sosten­gono invece che sia tutta colpa degli estre­mi­sti para­mi­li­tari Pra­vyi Sek­tor, coperti dalle auto­rità ucraine. È molto pro­ba­bile che la verità, sui morti e le fiamme, non verrà mai fuori.

Non dovrà stu­pire, se andasse così. Né stu­pi­sce che gli ultrà del cal­cio siano stati tra i pro­ta­go­ni­sti di quella gior­nata bestiale. Le curve, in que­sta crisi, hanno assunto una posi­zione netta. Schie­rate con­tro Yanu­ko­vich, quando quest’ultimo era ancora al potere, ora stanno dalla parte dell’unità nazio­nale e del campo nazio­na­li­sta che, inse­dia­tosi a palazzo, la perora.

Ma com’è andata a Odessa? Si gio­cava la gara tra il Cher­no­mo­rets Odessa e Meta­list Khar­kiv. Le frange più radi­cali delle due tifo­se­rie, con alcuni ultrà in odore di Pra­vyi Sek­tor, s’apprende dalle cro­na­che, ave­vano deciso di mar­ciare insieme verso lo sta­dio e di tenere una mani­fe­sta­zione a favore dell’unità del paese. Poi sono arri­vati i filo­russi, ci sono stati gli scon­tri, la poli­zia non è inter­ve­nuta a dovere, il palazzo dei sin­da­cati è andato a fuoco e decine di per­sone sono morte.

Se quella di Odessa è l’ultima sto­ria che vede pro­ta­go­ni­sti gli ultrà, la prima è datata 21 gen­naio, quando tifosi della Dinamo di Kiev deci­dono di but­tarsi nella mischia e di con­tra­stare l’apparato repres­sivo di Yanu­ko­vich. Siamo nei giorni in cui, dopo l’adozione delle fami­ge­rate «leggi anti-protesta», la capi­tale si tra­sforma in campo di bat­ta­glia. I para­mi­li­tari di Pra­vyi Sek­tor e le forze di sicu­rezza ingag­giano duelli duris­simi. I tifosi della Dinamo affi­dano alla rete le ragioni della loro decisione.

«Stiamo uscendo fuori, ma non lo fac­ciamo per i capi dell’opposizione. Non siamo nean­che con­tro la Rus­sia e i russi. Lo fac­ciamo – scri­vono – per Kiev e per i suoi abi­tanti, per il nostro paese e il nostro onore».
Tempo pochi giorni e gli ultrà della Dinamo, che intanto vanno a piaz­zarsi sulle bar­ri­cate di Kiev, ven­gono emu­lati da quelli del Kar­paty (l’undici di Leo­poli), del Vor­skla Pol­tava, del Dni­pro di Dni­pro­pe­tro­vsk, del Cher­no­mo­rets, del Meta­list di Khar­khiv e per­sino dello Sha­kh­tar Done­tsk, il cui pro­prie­ta­rio è l’oligarca Rinat Akh­me­tov, grande finan­zia­tore di Yanu­ko­vich. Squa­dre dell’est e squa­dre dell’ovest, dun­que. Una con­ver­genza che rifiuta, quindi, la spac­ca­tura poli­tica tra l’occidente nazio­na­li­sta e l’oriente filo­russo, una delle chiavi di let­tura della crisi.

Gli ultrà, nelle loro città, pren­dono parte ai pic­chetti anti-governativi. Con­tri­bui­scono, nei cen­tri urbani dell’ovest, alle occu­pa­zioni dei palazzi del potere. In quelli dell’est si fron­teg­giano con i titu­shki, tep­pi­sti in odore di cri­mi­na­lità che sosten­gono Yanu­ko­vich. Pre­si­diano le piazze delle città dell’est, vanno a pro­vo­care a Kiev. Ma ritor­niamo al «mani­fe­sto» dei tifosi della Dinamo. La scelta di stare con la Maj­dan non riflette par­ti­co­lari incli­na­zioni poli­ti­che, da parte delle curve. Hanno inciso l’intolleranza verso l’autoritarismo delle forze di sicu­rezza di Yanu­ko­vich e nei con­fronti dei titu­shki, con i quali c’è una riva­lità di lungo corso.

Quanto alla posi­zione filo-nazionalista, si spiega con il fatto che molti ultrà sono nati a ridosso o dopo il crollo dell’Urss, quindi Mosca non eser­cita pas­sioni par­ti­co­lari e c’è una certa espo­si­zione al pen­siero nazio­nale post-’91.

Il qua­dro è cam­biato, rispetto a gen­naio. Non è da esclu­dere che l’aggravarsi della situa­zione e la pale­stra della piazza abbia poli­ti­ciz­zato gli ultrà.

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Il problema è la Nato

Tommaso Di Francesco
www.ilmanifesto.it

L’offensiva san­gui­nosa dell’esercito di Kiev non si ferma. Corre sul bordo sot­tile non solo della guerra civile, per­ché la por­tata dell’azione mili­tare rischia l’intervento mili­tare russo. Siamo sul bara­tro d’una guerra euro­pea. Vanno in fretta i carri armati del governo di Majdan.

Devono sven­tare il refe­ren­dum con­vo­cato per l’11 mag­gio nelle città della regione orien­tale del Don­bass sull’indipendenza dall’Ucraina, per riaf­fer­mare l’autorità di Kiev con la forza dei tank e con­fer­mare a ogni costo, con­tro i «ter­ro­ri­sti», la data delle ele­zioni cen­trali ucraine del 25 mag­gio. Fatto sin­go­lare, la seconda data richiama quella delle ele­zioni euro­pee nelle quali, ahimé, l’argomento della pace non ha il ben­ché minimo ascolto. Così la repres­sione non s’arresta. È più orga­niz­zata e per­fino peg­giore di quella del cor­rotto Yanu­ko­vitch con­tro i rivol­tosi di Maj­dan, ma è soste­nuta da tutto l’Occidente e con­ti­nua ad essere pra­ti­cata con il con­corso dell’estrema destra che, a Odessa, ha assal­tato il pre­si­dio dei filo­russi, bru­ciando poi l’edificio dei Sin­da­cati dov’erano ripa­rati in fuga e dove hanno tro­vato la morte almeno 40 persone.

Un mas­sa­cro che non ferma la repres­sione. Anche se a pra­ti­carla sono gli stessi che si sono legit­ti­mati per quat­tro mesi denun­ciando, in un coro greco di media, la repres­sione di piazza Majdan.

È voluta dal nuovo potere auto­pro­cla­mato a Kiev, dove è ope­ra­tivo, ha comu­ni­cato Obama, John Bren­nan il capo della Cia esperto in «guerre coperte» (e sotto inchie­sta negli Usa per avere osta­co­lato il lavoro della Com­mis­sione del Senato sulle tor­ture). Ma quando mai i carri armati pos­sono con­vin­cere una parte con­si­stente del popolo ad andare a votare per obiet­tivi che con­si­dera ostili? E del resto chi, con la poli­tica, li ha con­vinti del contrario?

Eppure sem­bra troppo tardi. Nono­stante i rivol­tosi filo­russi abbiano libe­rato gli osser­va­tori dell’Osce seque­strati. Fatto che sot­to­li­nea due ele­menti: che la pres­sione di Putin sui filo­russi ha potuto di più dell’offensiva mili­tare ucraina, per­ché la Rus­sia altri­menti rischia di essere, nolente, coin­volta diret­ta­mente più che in Cri­mea; e che l’Osce ha sto­ri­che ambi­guità. Basta ricor­dare la mis­sione Osce in Kosovo, decisa nell’ottobre 1998 dall’Onu per moni­to­rare il con­flitto tra la repres­sione di Milo­se­vic e le mili­zie dell’Uck: il capo della mis­sione, l’americano Wil­liam Wal­ker, inventò di sana pianta la strage di Racak attri­buen­dola a Bel­grado e dando così il via ai bom­bar­da­menti «uma­ni­tari» della Nato.

Ora in Ucraina il dado pur­troppo sem­bra tratto. Se appena al di là c’è la Rus­sia messa nell’angolo dei suoi con­fini, a Kiev in campo c’è tutto l’Occidente reale: vale a dire gli Stati uniti e la Nato; l’Unione euro­pea subal­terna parla solo con la voce ambi­gua — per inte­ressi, geo­stra­te­gia e sto­ria — della Ger­ma­nia. Qui, nell’est ucraino natu­ral­mente, i «ter­ro­ri­sti» non vanno soste­nuti e armati dall’Occidente com’è acca­duto nel 1999 in Kosovo, e poi in Libia e oggi in Siria. Qui invece vanno san­gui­no­sa­mente schiac­ciati. Le imma­gini par­lano chiaro: ad Andri­j­vka, un paese sulla strada delle truppe ucraine, i con­ta­dini sono scesi in piazza per fer­mare con le mani alzate i carri armati di Kiev, che non si sono arre­stati schiac­cian­doli, nono­stante in molti aves­sero comin­ciato a par­lare con i sol­dati salendo sui carri armati. Scene pro­po­ste da Euro­news che, a memo­ria con­trap­po­sta, ci hanno ricor­dato Praga invasa dai carri armati del Patto di Var­sa­via nel ’68.

Il fatto è che su quei tank sta­volta è salito Obama e gli Stati euro­pei a con­trollo Nato. Infatti più avan­za­vano le truppe di Kiev, più è arri­vata forte da Washing­ton la sola minac­cia che «la Rus­sia deve fer­marsi». Insomma, il mas­sa­cro non si deve fer­mare e guai al soc­corso mili­tare russo. Quel che c’è sotto lo comin­cia a scri­vere qual­che com­men­ta­tore filo-atlantico: l’obiettivo è minac­ciare la Rus­sia – che, rian­nessa la Cri­mea, fino a prova con­tra­ria difende la sua sicu­rezza e vuole una Ucraina neu­trale — di fare di Putin un altro Milosevic.

Di sicuro è atti­vato il mec­ca­ni­smo per una Euro­ma­j­dan anche nella capi­tale russa, ete­ro­di­retta da John Bren­nan che ci sta lavo­rando. Dun­que Barack Obama con­clude il suo man­dato affi­dan­dosi all’ideologia del «mili­ta­ri­smo uma­ni­ta­rio» — tanto cara alla «can­di­data» Hil­lary Clin­ton che pure ancora tace sul disa­stro ame­ri­cano in Libia (a Ben­gasi) -, schie­rando i risul­tati della stra­te­gia dell’allargamento della Nato a est.

Ma la Nato non è la solu­zione, è il pro­blema. Glielo ricor­dano gli ex segre­tari di Stato Kis­sin­ger e Brze­zin­ski e per­fino il suo ex capo del Pen­ta­gono e della Cia Robert Gates che ha scritto «L’allargamento così rapido della Nato a est è un errore e serve solo ad umi­liare la Rus­sia», fino a pro­vo­care una guerra. Senza l’ingresso di tutti i paesi dell’ex Patto di Var­sa­via nell’Alleanza atlan­tica — con basi mili­tari, intel­li­gence, bilanci mili­tari, truppe, mis­sioni di guerre alleate, sistemi d’arma, ogive nucleari schie­rate, scudi spa­ziali — non ci tro­ve­remmo infatti sull’orlo di una nuova guerra euro­pea che fa impal­li­dire i Bal­cani e la Geor­gia di soli sei anni fa.

Non ci sarebbe stata la tra­co­tanza di una lea­der­ship di oli­gar­chi insod­di­sfatti che ha desta­bi­liz­zato l’Ucraina con un colpo di mano e la vio­lenza della piazza «buona» per­ché sedi­cente filoeu­ro­pea, e che ora cavalca la repres­sione san­gui­nosa della piazza «cat­tiva». Esi­ste­rebbe una poli­tica estera dell’Unione euro­pea, che invece è sur­ro­gata dall’Alleanza atlan­tica. «Vedete — ammo­ni­sce l’attuale capo del Pen­ta­gono Chuck Hagel — ce n’è anche per gli euro­pei: impa­rino a non ridi­men­sio­nare la spesa mili­tare (v. gli F35)». Pro­prio come ha fatto il pre­si­dente della repub­blica Gior­gio Napo­li­tano che, in dispre­gio dell’articolo 11 della Costi­tu­zione, ha tuo­nato recen­te­mente addi­rit­tura con­tro «l’anacronistico antimilitarismo».

Ma visti i tempi che cor­rono, con l’emergere sin­cro­nico della guerra che insan­guina i con­ti­nenti e «non risolve le crisi inter­na­zio­nali», chi è dav­vero anacronistico?