Boko Haram, le studentesse rapite e il sonno dell’Occidente

Ayaan Hirsi Ali
Wall Street Journal Traduzione di Flavia Vendittelli

Dal rapimento di 276 alunne in Nigeria il mese scorso, il significato di Boko Haram – il nome usato dal gruppo terroristico che ha preso le ragazze – è diventato universalmente noto. La traduzione dalla lingua Hausa offerta dai media anglofoni in genere è «l’istruzione occidentale è vietata», anche se «l’insegnamento non mussulmano è proibito» sarebbe più accurato.

Ma si è prestata poca attenzione al nome formale del gruppo arabo: Jam’at Ahl as-Sunnah lid-da’wa wal-Jihad. Questo si traduce approssimativamente come «La compagnia del popolo della tradizione per la predicazione e la guerra santa». Questo è molto meno accattivante di Boko Haram ma molto più rivelatore sul tipo di gruppo e sulla sua missione. Lungi dall’essere un’aberrazione tra i gruppi terroristi islamici, come suggerito da qualche osservatore, nei suoi obiettivi e metodi Boko Haram è in realtà fin troppo rappresentativo.

Il rapimento delle studentesse fa emergere con forza una parte centrale di ciò che i jihadisti perseguono: l’oppressione delle donne. Boko Haram ritiene davvero che per le ragazze sia meglio essere schiave che istruite. La missione dei terroristi non è diversa da quella dell’assassino talebano che ha sparato e quasi ucciso la quindicenne pachistana Malala Yousafzai – mentre tornava a casa su un pulmino della scuola nel 2012 – perché sosteneva l’istruzione delle ragazze. So per esperienza che non c’è anatema più grande per i jihadisti di donne istruite ed eguali.

Come spiegare questo fenomeno a sconcertati occidentali che in questi giorni sembrano più propensi a bollare i critici del jihadismo come “islamofobi” piuttosto che difendere i più elementari diritti delle donne? Dove sono le organizzazioni universitarie mussulmane che censurano Boko Haram? Dov’è lo sdegno durante le preghiere del venerdì? La vita di queste ragazze merita più di una protesta-cancelletto su Twitter.

Le organizzazioni come Boko Haram non nascono isolate. Gli uomini che fondano gruppi islamici, che sia in Africa (Nigeria, Somalia, Mali), in Asia sud-occidentale (Afghanistan, Pakistan) o persino in Europa (U.K., Spagna e Paesi Bassi), sono membri di storiche comunità mussulmane, di cui la maggioranza è felice di condurre una vita pacifica. Per capire perché i jihadisti prosperano, bisogna capire le dinamiche interne a quelle comunità.

Così, immaginate un giovane uomo arrabbiato di una comunità mussulmana in una qualsiasi parte del mondo. Immaginatelo mentre cerca di fondare un’associazione di uomini dedicati alla pratica della Sunnah (la tradizione di insegnamenti del profeta Maometto). Gran parte della predicazione del giovane riguarderà il posto delle donne. Raccomanderà che ragazze e donne vengano tenute in casa e coperte dalla testa ai piedi se si dovessero avventurare fuori. Condannerà anche il permissivismo della società occidentale.

Che tipo di risposta riceverà? Negli U.S.A. e in Europa, qualche mussulmano moderato lo potrebbe semplicemente segnalare alle autorità. Le donne potrebbero esprimere preoccupazione per gli attacchi alle loro libertà. Ma in altre parti del mondo, dove la legge e l’ordine sono carenti, questi giovani e i loro messaggi estremisti attecchiscono.

Nei posti in cui i governi sono deboli, corrotti o inesistenti, il messaggio di Boko Haram e delle sue controparti è particolarmente convincente. Comprensibilmente, possono dare la colpa della povertà alla corruzione ufficiale e offrire come antidoto i puri principi del Profeta. E in quei paesi, le donne sono più vulnerabili e le loro possibilità sono esigue.

Ma perché il nostro immaginario giovane zelota ricorre alla violenza? All’inizio, può contare su una certa ammirazione del suo messaggio fondamentalista all’interno della comunità di provenienza. Può incontrare opposizione da parte di storici leader mussulmani che si sentono minacciati da lui. Ma persevera perché la perseveranza nella Sunnah è una delle chiavi più importanti per il paradiso. Mentre si trascina da porta a porta, a poco a poco acquisisce un seguito. Arriva il momento in cui il suo seguito è numeroso quanto quello dei leader storici della comunità mussulmana. È qui che avviene la resa dei conti – e che l’ipotesi della “guerra santa” acquista improvvisamente senso per lui.

La storia di Boko Haram ha seguito precisamente questo copione. Il gruppo è stato fondato nel 2002 da un giovane islamista chiamato Mohammed Yusuf, che ha iniziato a predicare in una comunità mussulmana nello stato del Borno a nord della Nigeria. Ha istituito un sistema educativo, inclusa una moschea e una scuola islamica. Per sette anni sono accorse soprattutto famiglie povere per ascoltare il suo messaggio. Ma nel 2009, il governo nigeriano ha indagato su Boko Haram e alla fine ha arrestato vari membri, incluso lo stesso Yusuf. Il giro di vite ha scatenato una violenza che ha causato circa 700 morti. Yusuf è morto quasi subito in prigione – il governo ha detto che è stato ucciso mentre cercava di scappare – ma i semi erano stati piantati. Sotto Abubakar Shekau, uno dei luogotenenti di Yusuf, Boko Haram ha volto l’attenzione alla jihad.

Nel 2011, Boko Haram ha lanciato il primo attacco terroristico in Borno. Sono state uccise quattro persone, e da allora la violenza è diventata parte integrante, se non la parte centrale, della sua missione. Gli ultimi rapimenti – altre 11 ragazze sono state rapite da Boko Haram domenica – si uniscono a una lunga serie di attentati, incluse varie autobombe e l’uccisione di 59 studenti a febbraio. Lunedì scorso, come per dimostrare il suo crescente potere, Boko Haram ha lanciato un attacco di dodici ore nella città di Gamboru Ngala, prendendo di mira la folla al mercato, dando fuoco alle case e sparando sugli abitanti che uscivano correndo dagli edifici in fiamme. Ne ha uccisi centinaia.

Spesso mi è stato detto che il mussulmano medio rifiuta spassionatamente l’uso della violenza e del terrore, non condivide la convinzione degli integralisti che la cultura di un occidente degenerato e corrotto debba essere rimpiazzata da quella islamica e aborrisce la denigrazione dei diritti più elementari delle donne. Beh, è ora che questi pacifici mussulmani facciano di più, molto di più, per contrastare chi tra loro si dedica a questo tipo di proselitismo prima di passare alla fase della guerra santa.

È anche ora che gli occidentali liberali si sveglino. Se scelgono di vedere Boko Haram come un’aberrazione, lo fanno a loro rischio e pericolo. Il rapimento di queste studentesse non è una tragedia isolata; il loro destino riflette una nuova ondata di jihadismo che si estende molto oltre la Nigeria e costituisce una mortale minaccia ai diritti di donne e ragazze. Se farlo notare offende qualcuno più degli odiosi atti di Boko Haram, allora così sia.

Ms. Ali è membro del Belfer Center alla Harvard’s Kennedy School of Government. È la fondatrice della AHA Foundation.

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Nigeria – Amnesty International accusa: le autorità sapevano del raid di BokoHaram nella scuola ma non lo hanno impedirlo

Redazione
www.womenews.net

Testimonianze inequivocabili raccolte da Amnesty International hanno rivelato che le forze di sicurezza nigeriane non hanno agito, nonostante un preavviso di almeno quattro ore, per impedire il raid di Boko haram nella scuola di Chibok in cui a meta’ aprile sono state rapite oltre 240 ragazze.

“Il fatto che le forze di sicurezza, pur sapendo dell’imminente raid e avendo quattro ore di tempo a disposizione, non abbiano preso immediate misure per fermarlo, non fara’ altro che aumentare l’indignazione nazionale e internazionale per l’orribile crimine in atto” – ha dichiarato Netsanet Belat, direttore di Amnesty International per l’Africa.

“Siamo di fronte a un’enorme abdicazione al dovere della Nigeria di proteggere la popolazione civile. Le autorita’ nigeriane devono ora usare tutti i mezzi legali a loro disposizione per assicurare l’incolume rilascio delle ragazze e garantire che in futuro non accada piu’ niente del genere” – ha aggiunto Belat.
Secondo le varie fonti raccolte da Amnesty International, il quartier generale delle forze armate di Maiduguri era a conoscenza dell’imminente attacco dalle 19 del 14 aprile, quasi quattro ore prima che Boko haram iniziasse le operazioni.

L’incapacita’ di radunare i soldati – a causa delle scarse risorse a disposizione e della paura di fronteggiare un gruppo armato meglio equipaggiato – ha fatto si’ che quella notte non venissero inviati rinforzi a difendere la scuola di Chibok. Il piccolo contingente presente – 17 militari e qualche agente della polizia locale – ha cercato di respingere l’assalto di Boko haram ma e’ stato sopraffatto e costretto alla ritirata. Un soldato e’ rimasto ucciso.

A piu’ di tre settimane di distanza, la maggior parte delle ragazze rimane sequestrata in una localita’ sconosciuta. I tentativi di ottenere il loro rilascio sono fin qui naufragati in un clima di sospetto e confusione.

Amnesty International continua a chiedere a Boko haram di rilasciare immediatamente, senza condizioni e sane e salve tutte le ragazze e cessare tutti gli attacchi contro la popolazione civile.

“Il sequestro e la continua prigionia delle ragazze costituiscono crimini di guerra, i cui responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia. Gli attacchi alle scuole violano il diritto all’istruzione e devono essere fermati immediatamente” – ha concluso Belat.

Amnesty International Italia continua a raccogliere firme per chiedere il rilascio delle ragazze. La petizione e’ online all’indirizzo: http://www.amnesty.it/nigeria-rapimento-ragazze