Europa in crisi? Parla con lei…

Carla Galetto
Comunità cristiana di base di Pinerolo

Sto seguendo con grande attenzione un pensiero, che è in fase di discussione, elaborato dal gruppo delle femministe del mercoledì, con il titolo: Che accade se l’Europa si prende cura?

Con attenzione e con speranza, perchè questo pensiero mi corrisponde e mi interroga profondamente.

In questi giorni c’è un gran parlare di elezioni europee e le parole che si rincorrono sono: crisi, aumento del PIL, spread, concorrenza, borse… Questa forma globale del capitalismo mi è estranea, non trova agganci con la mia vita reale, con le mie pratiche e con i miei desideri.

“Religioni in crisi? Parla con lei” scriveva Doranna nel suo primo piano di qualche settimana fa e io penso che questo sia un filo conduttore che mi sembra di poter riferire anche alla politica e alle istituzioni in generale.

E la proposta che fanno le donne nel documento citato sopra sviluppa un interessante progetto trasformativo della realtà.

“La cura”, abbiamo pensato in questi anni del nostro lavoro politico, può diventare “garante della qualità dei rapporti e dei legami”. Per questo vogliamo che sia il nuovo paradigma della convivenza. Tuttavia, l’Europa nella globalizzazione soffre di un progressivo deficit “di cura”. A donne e uomini migranti, del cui lavoro ha bisogno – proprio nell’ambito dell’assistenza del corpo, del sostegno quando è in gioco la fragilità, la debolezza – non mostra il volto dell’accoglienza, non offre ospitalità. Piuttosto, alza il muro dei divieti, dei respingimenti, del razzismo.

Anche verso gli abitanti di questa unione di paesi l’Europa ha assunto un volto ostile; prescrive rigore ed austerità, chiede sacrifici. E diviene responsabile del peggioramento delle condizioni di esistenza per milioni di europei. E’ stata distrutta l’immagine calda, carica di promesse e di futuro, costruita sulla realtà del welfare e dei diritti. Sul compromesso tra capitale e lavoro che ha contrassegnato il nostro continente nella seconda metà del Novecento. L’Europa della cittadinanza sociale, della redistribuzione della ricchezza, della partecipazione attiva.

In forme diverse, attraverso conflitti e negoziazioni, la politica aveva incorporato “la cura”, rendendola però funzionale agli assetti del potere, nei rapporti tra i sessi e nei rapporti sociali. (…) se “la cura” è il paradigma della convivenza, secondo noi rappresenta uno strumento per contrastare l’attuale ordine economico e politico.

Ma parlare di cura non significa riproporre l’immagine femminile di dedizione.

“La cura” tocca la sfera di riproduzione della vita: è il lavoro del vivere. Sarebbe però un errore separarla di netto dalla sfera produttiva. Il come e il cosa si produce sono interrogativi che ci riguardano. Intanto, il compromesso europeo ha diffuso un modello che, nelle sue molteplici contraddizioni, continua ad agire. Oggi c’è uno schieramento che vorrebbe appropriarsi del “di più” della cura femminile senza riconoscerla, depotenziandone la carica di trasformazione simbolica e sociale. E puntando sulla disponibilità delle donne a farsene carico. D’altronde, a quel modello si era ribellato il femminismo degli anni Settanta.

L’Europa, con le politiche “di parità” e “di conciliazione” ha integrato molte delle rivendicazioni nello schema di privatizzazione del welfare. Oggi, le “qualità femminili” sono sempre più apprezzate e richieste dal mercato, in una società a sviluppo prevalente delle attività “di servizio”, con organizzazione del lavoro flessibile nei tempi e competenze cognitive. Ma ancora una volta si tratta di una inclusione subalterna. La sfera dell’assistenza alle persone si è ampliata ed è strutturata su dimensioni internazionali.

Creando nuove gerarchie e costi emotivi, psicologici e sociali tra donne e tra uomini (basta pensare ai rapporti tra badanti e anziani); tra migranti e native; tra differenti identità, a seconda dei paesi di provenienza. Con il paradosso che, mentre le nostre società non riescono a privarsi dell’aiuto dei e delle migranti, poi sfogano contro di loro, veri capri espiatori, il risentimento sociale prodotto dalla crisi, strumentalizzato dalle destre populiste.

La frase “ce lo chiede l’Europa” va rovesciata. Siamo noi che chiediamo all’Europa di diventare più vivibile. Non ci interessa un astratto modello di società, ma dal momento che il deficit di relazioni pesa quanto il deficit di beni, oggi si tratta di pensare alla “cura” come alla pratica che riapre il conflitto tra capitale e vita. Pensarla nel suo essere base costituente delle attività umane, di uomini e donne, che senza quella attitudine e capacità non avrebbero modo di stare al mondo.

Cura del regno e cura della famiglia. Cura del potere e cura della vita. Cura del generale e cura del quotidiano. E’ questa dicotomia patriarcale che va svelata e rovesciata, giacché rende inintelligibile e opaca la realtà. Non solo. Va svelata, perché rende funzionale l’attitudine maschile alla cura come esercizio del potere e traduce in mero dato biologico la cura delle donne.

Mi è difficile, molto difficile, sentirmi parte della grande famiglia europea. Anche se è quello che chi governa ci predica un giorno sì e l’altro anche, il buon Napolitano in testa: dobbiamo fare sacrifici per costruirci un futuro migliore, un futuro di sviluppo e crescita… Ma quale crescita?

Quello che cresce è solo il gruzzolo degli speculatori, dei capitalisti della finanza, che si accaparrano il “liquido” disponibile e ai loro amici governanti chiedono di farci fare sacrifici perché c’è ancora qualcosa su cui vorrebbero mettere le mani.

Il futuro si costruisce oggi, nel presente quotidiano; anzi, il nostro futuro dipenderà da come viviamo il presente: sarà di cura e solidarietà e condivisione se impariamo a vivere con sobrietà. Ma non solo noi, “il popolo”!

In questo misuro la profonda separazione tra noi e loro, tra la gente, a cui appartengo, e le caste dei ricchi potenti dominanti: è un fossato che si allarga sempre più. Abbiamo desideri diversi e aspettative radicalmente differenti. Per questo le loro tiritere non mi interessano più.

Dobbiamo fare un passo avanti d’autorità, come ci esorta Annarosa Buttarelli in SOVRANE. L’autorità femminile al governo (Il Saggiatore 2013). E questo passo avanti è possibile solo da parte delle donne che “sanno prendersi cura del mondo senza appropriarsene”. A chi governa l’Europa e i suoi singoli Stati questo riesce impossibile.

Ma non è impossibile in assoluto, agli uomini e alle donne a loro omologate: se si lasciano interrogare dal paradigma della cura e scelgono per sé la strada della trasformazione, come dicevo sopra…