Gli intellettuali islamici che raccolgono la sfida

Monica Ricci Sargentini
http://27esimaora.corriere.it/

Mentre il mondo s’indigna per le studentesse nigeriane rapite da Boko Haram e per la condanna a morte di una sudanese cristiana per apostasia, a Istanbul filosofi, storici, giuristi e attivisti dei diritti umani ci presentano un Islam diverso, capace di convivere con la democrazia, il pluralismo e di praticare la parità di genere. Le condanne a morte per blasfemia o apostasia, le persecuzioni dei cristiani, la limitazione della libertà delle donne sono applicazioni di una verità, quella contenuta nel Corano, o una sua distorsione?

A sentire i professori e gli esperti di Islam, riuniti alla Bilgi University per gli «Istanbul Seminars» organizzati da Reset, esiste una via diversa da quella del fondamentalismo che alla lunga potrebbe diventare predominante. «Il Corano deve essere contestualizzato alla nostra epoca — dice l’indonesiano Syafiq Haysim, esperto di questioni di genere all’interno dell’Islam e co-fondatore della Rahima Foundation — prendiamo ad esempio la poligamia. Ai tempi di Maometto era molto praticata, quindi il Corano cerca di limitarne l’uso. Questo vuol dire che al giorno d’oggi andrebbe abolita se consideriamo l’evoluzione dei tempi. È assurdo dire che se non accetti la poligamia vai contro Allah».

Il problema è che l’Islam è una religione senza centro, manca un’autorità gerarchica, e quindi ognuno applica la sharia in modo diverso. «Il pluralismo — sostiene Haysim — è assolutamente compatibile con la nostra religione. A Medina Maometto ha scritto una Costituzione in cui tutti i gruppi sono presenti nella struttura politica: musulmani, ebrei, cristiani e pagani. In Indonesia, per esempio, abbiamo più chiese che moschee. Certo ci sono stati episodi di mancato rispetto delle minoranze anche da noi ma li stiamo superando».

Compromesso è la parola chiave per l’israeliano Avishai Margalit, professore di filosofia a Princeton e autore di «A decent society: «Dobbiamo sempre pensare che la conseguenza del pluralismo è la capacità di arrivare al compromesso, di trovare un consenso, in modo da evitare il conflitto. Io sono ottimista. Sono convinto che queste società dovranno cedere al pluralismo attraverso la pluralità. Andiamo verso mondi sempre più variegati in cui non esiste una sola verità, una sola religione, una sola cultura. Più le società musulmane diventeranno plurali e più ci sarà una pressione verso il pluralismo. Io penso che ci vorranno dieci o quindici anni».

Margalit fa l’esempio della Costituzione tunisina, approvata lo scorso gennaio dopo infinite discussioni e limature, e considerata un esempio di modernità senza precedenti nei Paesi arabi: «C’è stato lo scontro sulla parità di genere, all’inizio si parlava di complementarità con l’uomo che, chiaramente, era la negazione dell’uguaglianza. Poi quel passaggio è stato tolto ma è rimasto il cavallo di troia della difesa della moralità. Nell’articolo 49 si dice che la legge limita le libertà garantite dalla Costituzione per proteggere i diritti altrui, la sicurezza pubblica, la difesa nazionale, la sanità pubblica o la morale pubblica. È chiaro che il passo si presta alle più diverse interpretazioni».

La Costituzione tunisina afferma la libertà di credo e di coscienza e proibisce il takfir , cioè il trattare una persona come miscredente o apostata. Ferida Abidi, avvocata, ne va particolarmente fiera perché lei stessa ha contribuito alla stesura della Carta. Abidi, che è membro del partito islamico Ennahda e presidente della Commissione dei diritti e delle libertà, non vuol sentire parlare dei casi che hanno fatto scalpore nel mondo come quello della studentesse rapite in Nigeria. Nei suoi occhi, incorniciati dal velo, spunta una chiara diffidenza verso chi porta ad esempio ciò che in molte parti del mondo scatena l’islamofobia.

«Le libertà, l’uguaglianza, la fratellanza — dice convinta — sono gli obiettivi dell’Islam così come la democrazia, che è l’equivalente della nostra Shura ed è basata sul dialogo. L’Islam ha sempre dato un grande spazio alla donna che è uguale all’uomo. Il mio partito ha condannato il rapimento delle giovani in Nigeria che è contrario ai principi dell’Islam».

«Maometto non odiava di certo i libri, anzi diceva di leggere» incalza Syafiq Haysim. Dal pensatoio dei Seminari di Istanbul, quel ponte ideale sul Bosforo che unisce culture diverse sembra più reale che mai.

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Il diritto islamico riguarda anche noi

Roberto Tottoli
http://27esimaora.corriere.it/

Agli attentati contro chiese e cristiani nel mondo islamico, alle conversioni forzate delle studentesse nigeriane, la cronaca di questi giorni ha ricondotto il caso della condanna a morte di Meriam. Un caso non isolato, dunque, intricato ma esemplare allo stesso tempo.

Una donna di famiglia musulmana, condannata a morte perché sposa di un cristiano sudanese, anche se cittadino americano. Più che il rifiuto di una famiglia mista, per religione e cittadinanza, o un ipotetico atteggiamento persecutorio, in questo caso è il diritto islamico che interviene in una questione spesso sottaciuta, ma latente e destinata a ripresentarsi.

Per il diritto islamico la donna musulmana può sposare solo musulmani, mentre l’uomo può contrarre matrimonio anche con altre donne, ad esempio ebree o cristiane. Frutto di una prescrizione nata quando i musulmani erano una piccola minoranza nei territori conquistati fuori dall’Arabia, il divieto nasceva dalla considerazione che una donna musulmana sposata a un cristiano o a un ebreo era perduta alla piccola comunità dei credenti. Così del resto fu per le prime generazione che seguirono Maometto e che conquistarono un territorio immenso.

Con il passar del tempo, però, divenuto l’Islam religione di maggioranza e imperiale, tale proibizione ha assunto connotazioni di esclusivismo religioso, anche se le punizioni previste a chi infrangeva questo divieto sono state raramente eseguite. È solo negli ultimi decenni che la questione sta tornando di grande attualità. Con milioni di musulmani in occidente, e spinte verso processi di laicizzazione, i matrimoni misti sono sempre più frequenti, anche tra musulmane e uomini non musulmani. Voluta indifferenza o silenzi più che giustificati li accompagnano, ma sono silenzi che non possono cancellare il problema giuridico.

Nella maggior parte dei casi il contenzioso è evitato con conversioni fittizie dei mariti, oppure si perde quasi del tutto nei matrimoni di potenti o personaggi famosi per cui l’appartenenza all’islam passa quasi in secondo piano. È il caso, più recente, della nuova compagna di George Clooney, la drusa Amal Alamuddin, la cui storia ha raccolto qualche critica in tal senso.

Qualche pallido tentativo di affrontare il problema c’è, ma si scontra con realtà nei Paesi musulmani attraversate dal caso di Meriam o dall’approfondirsi degli steccati confessionali. Le discussioni giuridiche dei musulmani europei hanno dato origine al cosiddetto «diritto delle minoranze islamiche», che cerca appunto di ridiscutere prescrizioni e doveri dei musulmani in società in cui non vige la legge islamica. La questione dei matrimoni «misti» è sicuramente una delle più importanti e spinose che attendono una risposta. Tale realtà sollecita infatti l’Islam nel suo complesso, ma soprattutto i musulmani europei.

Silenzi e sottovalutazioni non possono nascondere il fatto che il divieto tradizionale rappresenta un ostacolo sulla strada di future integrazioni e tocca sul vivo il rapporto dei musulmani emigrati con i loro Paesi di origine. Sollecita e mette alla prova le interpretazioni legali conservatrici, come tante prescrizioni che toccano il mondo femminile.

Ma interroga anche laici e musulmani più integrati, perché sanno che su questo tema, insieme a pochi altri, si misurerà la capacità di riforma degli stessi musulmani, e la loro volontà di incidere nel dibattito religioso e giuridico, oltre che di misurarsi con la realtà non islamica in cui vivono.