Il 25 maggio non bisogna dare retta a Scalfari

Pierfranco Pellizzetti
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Letto il domenicale di Eugenio Scalfari su la Repubblica (dal perentorio titolo “25 maggio, BISOGNA votare per Renzi e Schulz”) ne deriva un immediato mix di compianto e imbarazzo. Compianto per alcune “firme” prestigiose del quotidiano, in corsa nelle elezioni europee con la lista “Tsipras – Altra Europa” e liquidate alla stregua di puro e semplice disturbo.

Chissà come ne saranno lusingati Barbara Spinelli e Curzio Maltese; che – a quanto pare – un pensierino sull’andare “a far flanella” in quel di Strasburgo/Bruxelles lo hanno pure fatto e la stroncatura odierna non favorisce certo i loro disegni.

Ma anche compianto per l’inarrestabile processo di deterioramento delle capacità analitiche di chi è stato un notevole posizionatore della carta stampata nel dibattito politico (anche se altre erano “le penne” novecentesche di maggior pregio. La mia preferita, quella di Giorgio Bocca).

La sconfortante parabola di un opinion-leader, con punto di caduta nel “mainstream politicamente corretto”; in linea con l’ideologia conservatrice napolitanesca.

Altresì, imbarazzo per procura considerando l’ennesime impressione di stare precipitando che deve aver indotto la lenzuolata scalfariana ai tanti compagni di impresa editoriale – da Gustavo Zagrebelsky a Luciano Gallino – che ancora sono in grado di operare analisi del contesto in punta di fioretto, non certo con lo spadone fatto roteare dal Padre Fondatore ogni domenica.

Già altre volte si è parlato della disidratazione intellettuale di alcuni padri nobili della Sinistra storica – ritirati in quel “Mondo Piccolo” che ormai corrisponde al loro cerchio di frequentazioni in costante restringimento – e del loro riflesso condizionato: il timore alla sola idea di una società non più sotto controllo dell’élite a cui sentono storicamente di appartenere.

Più interessante è capire perché i puntelli di questo “Piccolo Mondo Antico” assumano le fattezza di Matteo Renzi e Martin Schultz. Due personaggi che pure nulla hanno a che spartire con l’esclusivo club generazionale degli amici del duo Napolitano-Scalfari.

Difatti, il legame è dipendente da un mero calcolo di (presunta) convenienze: Matteo e Martin appaiano l’ultima speranza di vittoria per PD e Socialdemocrazia europea, ossia l’estrema garanzia di manutenzione dell’unico paesaggio che i Napolitano e gli Scalfari sono ancora in grado di concepire.

Un disegno conservativo con effetto conservatore/reazionario che chiude a qualunque istanza e ragionamento per un’altra Europa. E che farà morire questa Europa. Mentre i vetusti propugnatori dell’appoggio ai conservatori camaleontici PD-SPD (i quali propugnatori ormai dovrebbero rivolgere lo sguardo all’eternità) si aggrappano a questo mondo cercando di bloccare le lancette del cambiamento. Che loro interpretano come disordine.

Ma se per evitare spiacevoli sensazioni domenicali basta interrompere la lettura della predica scalfariana, non sarà girando lo sguardo che eviteremo di impattare negli effetti presumibili di elezioni che ci consegneranno un quadro europeo desolante: per due terzi in mano agli imprenditori della conservazione, ammantata di antiche parole d’ordine (solidarietà, diritti del lavoro, cittadinanza europea…) ormai prosciugate di senso per l’uso strumentale troppo a lungo fattone da tali personaggi spregiudicati; per un terzo controllato da imprenditori della paura, che all’insegna di un nazionalismo arcaico vorrebbero tornare alle vecchie valute delle Piccole Patrie (la qual cosa significherebbe per l’Italia comprare le materie prime con una moneta svalutata; senza poter esportare – come si faceva prima, grazie alle antiche “svalutazioni competitive” – prodotti largamente imitabili e ormai largamente riprodotti in Paesi di nuova industrializzazione, con costi più bassi dei nostri).

Per evitare questo esito terribile la prima cosa da fare è certamente non dar retta a Scalfari. Ma la seconda?