Noi cristiani d’Europa di M.Pontara

Maria Teresa Pontara Pederiva
www.vinonuovo.it

Troppi cattolici italiani non hanno ancora avuto modo di ascoltare il messaggio dei vescovi europei sulle sfide dell’imminente voto europeo

Abbiamo troppo da perdere se il progetto europeo subisse un deragliamento, scrivono i vescovi accreditati presso la UE con un appello al voto. Ma noi ne siamo altrettanto convinti?

“Il messaggio Cristiano è un messaggio di speranza. E’ nostra convinzione che il progetto Europeo sia ispirato da una visione nobile del genere umano. Singoli cittadini, comunità e anche stati-nazione devono essere capaci di mettere da parte l’interesse particolare alla ricerca del bene comune. L’esortazione papale Ecclesia in Europa promulgata da papa Giovanni Paolo II nel 2003 è stato un testo di speranza, ed è con ferma convinzione che la Chiesa si accosta alla sfida europea. La temperanza è una delle virtù naturali poste al cuore della spiritualità Cristiana. Una cultura di moderazione deve dare forma all’economia sociale di mercato e alle politiche ambientali. Dobbiamo imparare a vivere con meno, ma nello stesso tempo fare in modo che coloro che si trovano in una condizione di reale povertà ottengano una parte più giusta”.

Vorrei tanto sbagliarmi, ma temo che troppi cattolici italiani non abbiano avuto modo di ascoltare queste parole. Eppure è il Messaggio dei vescovi accreditati presso l’Unione Europea (COMECE) che dal 20 marzo rimbalza nelle parrocchie e nei gruppi dell’intera Europa. Ma non da noi, nonostante uno dei quattro vice-presidenti COMECE sia il vescovo di Piacenza-Bobbio (almeno sul sito della diocesi, tra i suoi documenti si riporta un articolo sul tema pubblicato sulla rivista di attualità pastorale Settimana 10/2014).

“Importunate i vostri pastori” ci ha detto papa Francesco: potrebbe essere un’idea, un’ottima idea. Ma ciò non toglie che, ascoltando l’invito di mons. Galantino ad essere “cristiani adulti”, non si possa trovare occasione per parlarne e diffonderlo con le nostre forze di laici. Del resto non è la prima volta, chissà perché, che in Italia i loro documenti trovano cassa di risonanza solo in qualche rivista e poco più.

E non è una sfida da poco quella che ci aspetta il 25 maggio e lo sanno bene i vescovi che “avvertono l’odore delle loro pecore” e tutti coloro che si sentono parte di una comunità viva, parrocchiale o di gruppo, movimento che sia. E temono per il futuro. Temono in primo luogo il fantasma dell’astensionismo che porterebbe a Strasburgo una rappresentanza limitata, ma temono soprattutto quel ripiegamento egoistico sui propri interessi a piccolo raggio che fanno dimenticare come invece si faccia comunque parte di un tutto. Che non possiamo eludere.

Non per nulla i vescovi europei affermano di rivolgersi in prima istanza ai cittadini dell’Unione che si dichiarano cattolici, ma si augurano di essere ascoltati anche da parte di “tutti gli uomini e le donne di buona volontà che hanno a cuore il successo del progetto Europeo”. Senza dimenticare che anche in Europa i cattolici sono solo una fetta dei cristiani, essendo affiancati dai “fratelli separati” della Riforma con i quali si lavora, si annuncia il Vangelo, si prega (e numerosi sono gli interventi e le iniziative a respiro europeo a livello congiunto).

Il card. Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera e presidente COMECE, presentando il testo aveva spiegato trattarsi “non solo di un appello al voto, ma di un richiamo alle priorità”, individuate attraverso il prisma della Dottrina Sociale della Chiesa. Così si definiscono “pilastri” dell’Unione i principi di sussidiarietà e di solidarietà (“dobbiamo costruire un mondo differente con la solidarietà al suo cuore”), si ricorda il dovere di un profondo rispetto della dignità umana e la responsabilità dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti e dei richiedenti asilo.

Ma anche che “siamo responsabili per la creazione” e quindi la necessità di promuovere una visione internazionale in tema di cambiamento climatico e di insistere sul fatto che la sostenibilità sia un elemento fondamentale di qualunque politica di crescita e sviluppo.

Non si dimentica il tema della libertà religiosa (e i vescovi danno piena approvazione alle linee guida UE), con l’invito a supportare “ogni misura volta a proteggere il riposo settimanale comunemente condiviso, la Domenica” e il cambiamento demografico che ci attende nell’arco dei prossimi cinque anni: gli anziani abbiano le cure di cui hanno bisogno, ma si creino nuove opportunità per i giovani.

Convinti che “l’Unione Europea è ad una svolta” i vescovi chiedono che il Progetto non venga messo a rischio o abbandonato: “abbiamo troppo da perdere da un eventuale deragliamento”. Il nostro futuro è indissolubilmente legato a quello d’Europa. E noi, da cristiani, ne siamo altrettanto convinti?

L’Europa non è “altro” da noi: noi siamo l’Europa. Non solo un continente, per secoli diviso in lotte fratricide, che grazie al “sogno” dei Padri fondatori ha potuto raggiungere la convivenza pacifica degli stati, ma una comunità di persone che hanno riscoperto le comuni radici, le sole capaci di garantirle un futuro. Nonostante gli errori e le frenate che hanno ostacolato un cammino, l’Europa unita è ancora un progetto in cui i cristiani sono chiamati ad impegnarsi in prima persona. E in un sistema democratico la partecipazione non è una manifestazione di piazza, ma un voto di fiducia a chi mi rappresenta. Per “riportare il bene comune all’attenzione della politica”, per “una comunità europea di solidarietà e responsabilità” come titolava il documento congiunto cattolici-luterani di due anni fa con un respiro che si allargava al pianeta.

“Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia” scrive papa Francesco (Evangelii Gaudium 203) aggiungendo nel tweet del 1° maggio: “Chiedo a quanti hanno responsabilità politica di non dimenticare due cose: la dignità umana e il bene comune”.

Ricordando che la nostra “casa” è il mondo intero, non solo l’Europa, allargare lo sguardo e abbracciare i tanti, troppi, che confidano sul nostro aiuto, fa parte anche questo della nostra fede, declinata non in principi astratti, ma in giustizia e carità, il “comandamento nuovo”.