Sotto le stelle, in ricordo delle vittime dell’omofobia

Andrea Rubera *
Adista n. 20 del 31/05/2014

Il 17 maggio 1990 l’Organizzazione mondiale della Sanità cancellava l’omosessualità dall’elenco delle malattie. Qualche anno più tardi, in ricordo di quella data importante, il 17 maggio veniva proclamato Giornata mondiale contro l’omofobia.

Anche quest’anno molti cristiani si sono riuniti in tante città d’Italia, d’Europa e del mondo, per pregare insieme e ricordare le ancora tante, purtroppo, vittime di questa forma di odio, violenza e discriminazione. I gruppi romani di credenti cristiani omosessuali della Sorgente e di Nuova Proposta, da 8 anni, si radunano per un incontro, e quest’anno, insieme alla Rete Evangelica Fede e Omosessualità (Refo), hanno organizzato una veglia “sotto le stelle”.

La scelta di pregare all’aperto è stata dettata dalla volontà di dimostrare che ci si può ritrovare in pubblico non solo per protestare contro qualcosa o qualcuno, come troppo sovente succede negli ultimi tempi sui temi legati all’omofobia e alle vite e agli affetti delle persone omosessuali e transessuali, ma anche per pregare insieme, incontrarsi, confrontarsi, conoscere, costruire.

L’esortazione di S. Paolo “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi” (Romani 15,7) ha accompagnato la preghiera, la riflessione e il canto delle persone che si sono ritrovate a Roma, come anche tutte le altre veglie che in contemporanea si sono svolte nelle altre città.

La veglia romana per la prima volta ha ottenuto il patrocinio di Roma Capitale ed è stata infatti inserita nel calendario di eventi della “Settimana Rainbow” promossa dal Comune di Roma dal 12 al 18 maggio. In rappresentanza delle istituzioni capitoline è intervenuto Mauro Cioffari, consigliere del I municipio, con competenza su Roma Centro.

Alla veglia hanno aderito anche: Luiss Arcobaleno, Comunità di base di S. Paolo, Agedo Roma e Gruppo Giovani Mario del Sordo. In apertura della veglia il ricordo di Andrea Quintero, la giovane transessuale homeless uccisa qualche mese fa a bastonate intorno alla zona della stazione Termini.

Molto toccanti le testimonianze personali, legate tra loro da un fil rouge emotivo che ha voluto rappresentare il passaggio da situazioni, percezioni, atmosfere di non accoglienza a un’ottica positiva e di speranza nel futuro, concludendo con esperienze di riconciliazione e abbraccio.

Vale, della comunità valdese di Roma, ha raccontato il suo percorso personale di comprensione e accettazione del suo essere transgender e di come, nel tempo, abbia trovato la forza di comunicarlo alla sua famiglia, trovandovi inaspettata accoglienza e comprensione.

Edoardo, studente universitario, ha narrato il suo percorso: dal dolore di sentirsi escluso e diverso alla forza di rivelarsi alle persone più vicine e, quindi, ai genitori, trovando in loro quell’amore immutato che solo un genitore può dare.

Ettore, papà di due figli omosessuali, ha esposto senza riserve il suo cammino di genitore, all’inizio del tutto privo di strumenti per comprendere e accettare i propri figli con cui aveva addirittura interrotto il dialogo. Grazie al confronto con altre coppie di genitori con figli omosessuali, ha raccontato di aver acquisito la forza e gli elementi utili sia per riconquistare la relazione con i figli, sia per dare loro la serenità e il supporto di cui avevano bisogno nel loro cammino verso l’accettazione.

Ha senso oggi pregare in occasione della Giornata contro l’omofobia e la transfobia? In alcuni Paesi del mondo, l’omofobia è “sancita” per legge e l’omosessualità è un reato punibile addirittura con la pena di morte. In Italia, seppur senza queste forme estreme, c’è ancora una cultura omofoba che rende omosessualità e transessualità tabù che creano disagio, argomenti da trattare come “eccezione”, macchietta, con registro ora comico ora drammatico. È proprio la “quotidianità” che viene negata nell’immaginario collettivo: quotidianità non fatta di estremi, di bianchi e neri, ma di un’infinita gamma di grigi, anche di banalità e gesti ripetuti nella loro automatica e calda familiarità.

Cosa si può fare per cambiare? Innanzitutto cerchiamo di dare un significato più “largo” alla parola omofobia: omofobia non sono solo parolacce, offese, violenza fisica. Da questa accezione “ristretta” di omofobia è facile prendere le distanze. L’omofobia più diffusa, e di cui siamo tutti complici, è invece quella che nega l’esistenza di un vissuto quotidiano alle persone omosessuali, che non dà cittadinanza all’omosessualità se non come argomento “scientifico” o di “cronaca”. Che impedisce addirittura di pensare fino in fondo a una persona omosessuale come “una di noi”, libera di pensare alla propria vita senza condizionamenti, senza se e senza ma.

Su questo argomento, la Chiesa può fare molto: le parole di papa Francesco sugli omosessuali stanno dando a tutti grande speranza. Il suo indugiare solo sull’aspetto di accoglienza del catechismo, senza mai ricordare la parte di condanna, rappresenta di per se stesso un fatto non secondario. Certo, le parole devono ancora trasformarsi in qualcosa di concreto: le comunità cristiane dovrebbero guardare omosessuali e transessuali con gli occhi del cuore e non con quelli della legge. E finalmente pensare ad un percorso pastorale che le accompagni nel loro desiderio di affettività, indirizzandolo e formandolo piuttosto che negandolo.

Piccoli segnali si stanno avvertendo anche a Roma. Benché il cammino di confronto dei gruppi di omosessuali cristiani romani con la diocesi sia in stand-by, alcune parrocchie stanno, di loro iniziativa, programmando momenti di confronto sereno sul tema dell’accoglienza delle persone omosessuali.

La parrocchia di S. Saba, inoltre, ha organizzato, con l’assenso della diocesi, un ciclo di tre incontri di preghiera “Chiesa casa per tutti” esplicitamente aperti a religiosi e laici, anziani e giovani, omosessuali ed etero.

* Presidente di Nuova Proposta, donne e uomini omosessuali cristiani