Fu vera gloria?

Vitaliano della Sala
Adista Notizie n. 21/2014

Scriveva don Lorenzo Milani a un giovane comunista: «Hai ragione; tra te e i ricchi sarai sempre te povero ad avere ragione. (…). Ma il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene, quel giorno io ti tradirò».

Per me vale ancora questa riflessione profonda del priore di Barbiana; e forse è questa la “maledizione” di noi di sinistra: non poter mai dirci soddisfatti, né quando si va al governo, e neppure quando un partito come il Pd di Renzi, che si dichiara erede della sinistra storica, ottiene il 40,8% alle elezioni.

Per decenni i partiti di sinistra si sono opposti al potere democristiano prima e berlusconiano poi, che ha malgovernato attraverso il sistema della corruzione, dei patti sotterranei con la mafia, la camorra, il terrorismo, attraverso la strategia della tensione, le leggi che hanno agevolato le classi sociali più ricche. Per decenni i partiti di sinistra – con le dovute e numerose eccezioni! – hanno proposto se stessi come valida alternativa di governo. Ora il Pd di Renzi governa l’Italia e alle elezioni europee ha ottenuto un consenso mai avuto e nemmeno immaginato prima. Ma restano i problemi, vecchi o derivanti dalla crisi finanziaria: una microcriminalità sempre più diffusa, l’immigrazione malgestita, il carcere e il suo bagaglio di disagio e sofferenza, i quartieri periferici sempre più invivibili, la disoccupazione e la sottoccupazione crescenti, una povertà sempre più diffusa. Problemi resi ancora più acuti dal fatto che la facciata perbenista non esiste a caso, ma è espressione dell’indifferenza, dell’individualismo, dell’inumanità e del gioco degli interessi di troppi. Chi guarda dietro la facciata e denuncia i guasti, viene immediatamente accusato di inventarsi problemi, tacciato di catastrofismo, stigmatizzato, ridicolizzato…”gufizzato”. Quando invece la coerenza della sinistra passa proprio attraverso l’analisi delle realtà marginali, per poi procedere alla denuncia non generica, ma puntuale e circostanziata delle responsabilità che determinano e mantengono l’emarginazione. Inoltre un impegno coerente e costante, è fatto non soltanto di promesse o di elemosine pre-elettorali, ma di un proporre e un fare efficace e di sistema.

Da sempre il termine sinistra riveste alcuni significati simbolici, legati alla diversità, all’essere fuori standard, al guardare il mondo dal lato da cui la maggioranza non guarda. La sinistra è il lato dei perdenti, dei senza potere, degli esclusi, degli emarginati, dei senza lavoro, dei senza domani. Essere di sinistra non significa ridursi all’appartenenza alla sinistra storica, né ad un partito politico, o avallare le scelte di un partito, solo perché si dice di sinistra, ma significa stare dalla parte di tutti coloro per i quali non c’è spazio in un mondo che sembra esistere esclusivamente per produrre. Non vorrei che la normalità possibile per il nostro Paese sia quella che ci ha fatto conoscere Renzi: una normalità che vergognosamente insegue e spesso realizza quelle politiche che moderati e destra non sono mai riusciti ad imporre.

Il vescovo brasiliano Hélder Câmara diceva: «Se do da mangiare al povero mi dicono che sono un santo, se cerco di capire perché il povero non ha di che mangiare allora mi dicono che sono un comunista».

Le elezioni hanno visto l’affermazione schiacciante del Pd di Renzi, anche grazie all’unica promessa finora mantenuta: un bonus di 80 euro a dieci milioni di italiani, nemmeno i più poveri, senza attuare, per ora, una soluzione ragionata e strutturale per tutti.

Non so voi, ma io forse per questo, provo un senso di disagio di fronte ai risultati strabilianti di Renzi alle ultime elezioni europee.

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Renzi, l’Europa e la sinistra

Enrico Grazzini
www.micromega.net

Esiste una valida ragione per subordinarsi al governo Renzi e per rinunciare alla costruzione di una forza autonoma di sinistra? Una valida ragione per salire repentinamente sul carro del vincitore Renzi e creare un partitone unico pigliatutto del (più)centro(che)sinistra, come propongono Susanna Camusso e parte dei dirigenti di SEL? Non credo che esistano ragioni valide di inchinarsi al mattatore Renzi semplicemente perché la sua politica non può risolvere la crisi italiana. E perché il successo di Renzi è artatamente sopravvalutato. La sua fortuna è certamente più di immagine che di sostanza.

Il successo elettorale di Renzi probabilmente ha già toccato il suo apice. Questa Unione Europea sta svoltando ancora più a destra e molto difficilmente la UE invertirà la sua politica deflazionistica: il risultato è che, con i pesanti vincoli posti dalla UE, il premier Renzi prevedibilmente non riuscirà a rilanciare l’economia e l’occupazione e fallirà prevedibilmente il suo mandato.

La crisi italiana ed europea – economica e politica, dell’occupazione e della democrazia – è purtroppo destinata a proseguire e molto probabilmente a peggiorare. Non a caso Renzi per tamponare il disagio e il conflitto sociale procede come un rullo compressore per introdurre (insieme a Berlusconi e ad Alfano) leggi elettorali e costituzionali anti-democratiche, a favore di una governabilità forzata capace di schiacciare le opposizioni.

In questa situazione la sinistra italiana, dopo il sofferto successo della lista Tsipras, ha l’occasione storica di costruire finalmente una forza politica autonoma e alternativa, di riformismo radicale. Esiste finalmente la possibilità di ricostruire anche in Italia una formazione di nuovo socialismo dopo il crollo del comunismo da caserma, dopo il dominio assoluto del pensiero unico liberista, lo sfacelo del socialismo italiano, venti anni di regime berlusconiano e di costante spostamento a destra dell’asse politico nazionale. C’è una forte domanda popolare di politiche che ci portino fuori dalla crisi: ma finora questa domanda non ha avuto una risposta minimamente adeguata sul piano politico e sindacale. La lista Tsipras potrebbe essere un buon trampolino per una sinistra d’alternativa affidabile.

Che senso ha allora rincorrere Renzi, almeno per chi non ha mire (illusorie) di carriera partitica o governativa? Renzi ha già ottenuto più successo di quanto sperasse. Il 40% dei votanti (cioè meno del 25% dell’elettorato italiano considerando anche gli astenuti) lo ha promosso perché è apparso come l’unica speranza per le famiglie italiane: ma l’uomo dalle grandi promesse vedrà declinare rapidamente il suo consenso se continuerà, come vuole l’Unione Europea, la sua politica di sacrifici, deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli al welfare. Non è affatto detto che la “balena rosa” di Renzi durerà molto. Probabilmente il suo maggiore successo è già alle spalle.

Il paese dopo venti anni di stagnazione berlusconiana e anche a causa di questa Europa che ci opprime con le sue politiche economiche e monetarie inique e deflattive, è allo stremo, e cerca disperatamente delle alternative. Pochi dati illustrano il disastro di questa Italia e di questa politica UE. La produzione industriale è regredita dall’inizio della crisi del 20% e gli investimenti continuano a calare. Il reddito medio delle famiglie è minore di quello del 2000, anno in cui è iniziato l’euro. L’indicatore di povertà assoluta si attesta all’8% della popolazione. Il rischio di persistenza nella povertà è del 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori: nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord.

La disoccupazione è altissima. I giovani sono il gruppo più colpito dalla crisi: gli occupati tra i 15 e i 34enni diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità. Il tasso di occupazione dei giovani è sceso dal 50,4% del 2008 all’attuale 40,2% – 34,7% per le donne e 45,5% tra gli uomini -. I sindacati non contano quasi più nulla nella difesa del lavoro e il centrosinistra si limita a lamentarsi per la mancata crescita cercando delle scappatoie per eludere i vincoli europei.

La promessa di Renzi è di trasformare l’Italia in “un paese che ce la fa”, in cui è possibile aumentare l’occupazione, dare un reddito alle famiglie, garantire i pensionati, rilanciare la scuola, dare lavoro ai giovani, ecc, ecc. Peccato che le sue politiche e la politica economica europea vadano in direzione opposta. Le riforme sbandierate da Renzi sono in realtà delle contro-riforme liberiste e seguono sostanzialmente i diktat europei, anche se sono condite da proclami populistici. L’anti-politico Renzi ha concesso 80 euro prima delle elezioni e promette di tagliare le spese pubbliche per la politica e i partiti, di tagliare insieme la televisione pubblica e gli stipendi dei manager di stato, e di ammodernare la pubblica amministrazione riducendo lo stato.

Ma, populismo a parte, le sue riforme economiche di fatto consistono, come vuole l’Europa, di tagli ai servizi pubblici e ai bilanci degli enti locali, di precarizzazione del lavoro e di privatizzazioni. L’Italia avrebbe bisogno di ben altre riforme. Per togliere spazio all’opposizione Renzi ha avviato anche (contro)riforme istituzionali che cancellano la legittima rappresentanza delle minoranze in Parlamento e eliminano sostanzialmente anche il Senato. Come Berlusconi, Renzi vorrebbe diventare l’uomo solo al comando e sembra avere mire presidenzialistiche. Ma l’austerità europea potrebbe fare mancare a Renzi le sue promesse e disilludere rapidamente il suo elettorato.

In effetti non è detto che il successo elettorale di Renzi continuerà. E’ esemplare la parabola di Monti. Il professore liberale era molto popolare all’inizio del suo governo, anche allora sindacati e il PD di Bersani gli diedero molto credito, ma Monti non mantenne le promesse di ripresa, seguì passo per passo i vincoli assurdi dettati dall’Europa, e, nonostante fosse puntellato dal Capo dello Stato, dopo qualche mese è stato praticamente cacciato dalla scena politica.

Difficilmente Renzi potrà mantenere i suoi impegni in questa Europa. La Merkel potrebbe forse fare qualche concessione minore, e Mario Draghi probabilmente allenterà i cordoni della borsa della BCE per non soffocare completamente l’economia europea. Ma purtroppo è improbabile che la tendenza alla depressione economica si inverta. Le nuove elezioni europee configurano infatti una Unione molto più a destra e molto più debole e divisa di prima. L’alleanza tra Francia e Germania è clamorosamente fallita e le destre avanzano anche nel Parlamento Europeo, il quale peraltro non ha poteri reali verso i governi del nord Europa che dominano la UE. L’insofferenza dei popoli verso questa Europa liberista è alle stelle: ogni stato gioca quindi per sé, a partire dalla Germania.

L’euro è e rimarrà una moneta soggetta a crisi perché presuppone una politica monetaria identica (e deflattiva) per 18 economie molto diverse tra loro e sempre più divergenti. Avere una moneta unica – con lo stesso tasso di interesse, lo stesso tasso di cambio, e la stessa base monetaria per 18 paesi diversi – è una sfida economica folle. I mercati prima o poi approfitteranno della sua debolezza intrinseca. Per cambiare la politica europea, e abolire per esempio il Fiscal Compact, Renzi dovrebbe chiedere la modifica dei trattati. Ma convincere Merkel sarà molto dura. Anche lei ha vinto le sue elezioni sulla linea dell’austerità per i “popoli fannulloni” del sud. E per cambiare i trattati europei – come bisognerebbe fare per ri-orientare le politiche disastrose dell’Unione – occorre l’unanimità di tutti i 28 paesi UE.

I trattati e le regole del Fiscal Compact e del Six Pack sono ferrei e vincolanti. L’instabilità europea è quindi purtroppo destinata a perdurare e le crisi potrebbero risorgere improvvisamente per qualsiasi motivo contingente (crisi greca, fine della politica espansiva della FED americana, crollo di una banca europea, crisi cinese, guerra in Ukraina, ecc).

In questo contesto di crisi e di sofferenza si aprono spazi enormi per una sinistra in grado di rappresentare una alternativa credibile. La sinistra italiana non parte più da zero: con la lista Tsipras ha conquistato, seppure faticosamente, in soli due mesi oltre un milione di voti. La sinistra italiana dovrebbe avere l’ambizione di diventare in pochi anni forte come Syriza (26% dei voti) o anche come la Linke tedesca, il Fronte de Gauche in Francia, la Sinistra Unida e Podemos in Spagna – formazioni unitarie che hanno ciascuna poco meno del 10% -.

Non è vero che in Italia la società civile è addormentata e che siamo un popolo di coglioni e di pensionati rimbambiti. I movimenti per l’acqua pubblica, contro il nucleare, contro la manipolazione della Costituzione, dimostrano che esiste un ampio e maggioritario popolo progressista ma che manca una valida sponda politica e istituzionale che lo rappresenti.

La leadership di sinistra è tuttora carente, confusa, divisa, aristocratica e continuamente strattonata dalle sirene del centrosinistra da una parte e dal ribellismo grillino dall’altra. Ma la sinistra, se vuole contare davvero in Italia, deve sforzarsi di trovare rapidamente una sua identità autonoma e un programma (soprattutto economico) in sintonia con il sentimento di insofferenza e di rivolta popolare. Dovrebbe essere autonoma dal PD e da Grillo, e anzi dovrebbe diventare un potente magnete per gli elettori che non approvano le politiche neo-liberiste e non liberali del PD e il settarismo ringhioso, ipernazionalistico, ambiguo e inconcludente del (finora) capo assoluto dei grillini. Non basta la protesta, occorrono delle proposte e delle alleanze. E la sinistra su questo fronte potrebbe vincere.

E’ irresponsabile lasciare a Grillo e alle destre il monopolio della disperata protesta dei lavoratori più deboli e meno protetti. Non dimentichiamo che la Lega, alleata dei quasi-fascisti francesi, è rinata in pochi mesi grazie all’opposizione dura all’euro di Maastricht e alla UE. Occorre rivendicare la democrazia dal basso, il diritto di avere un reddito minimo garantito per chi non ha lavoro, finanziamenti mirati per le piccole e medie imprese.

Occorre difendere e attuare la Costituzione, proporre una legge elettorale che difenda la rappresentatività dei cittadini e la rappresentanza delle minoranze. Occorre rivendicare politiche pubbliche per l’occupazione e per il rilancio degli investimenti, per un altro modello di sviluppo sostenibile. Occorre conquistare almeno una banca pubblica per ridare fiato e finanziamenti alle aziende sane mentre le banche private soffocano il credito. Occorre opporsi alla svendita delle industrie nazionali strategiche alla finanza e alle imprese estere, perché senza aziende strategiche italiane non c’è possibilità di sviluppo.

Ma non facciamoci illusioni sull’Unione Europea. Il successo della Sinistra Europea di Tsipras nel Parlamento europeo è importante e prezioso ma non potrà certamente ribaltare le politiche della UE.
Per costruire l’“Altra Europa” occorre opporsi senza sconti a questa “Europa reale” dominata dalla grande finanza dei paradisi fiscali. Ricordiamoci una verità banale: la UE non è lo stato dei popoli europei ma è invece un’istituzione intergovernativa e sovranazionale non democratica. Il Parlamento europeo serve soprattutto a legittimare le scelte scellerate dei governi europei guidati dalla Merkel.

Su questa basi desiderare oggi una maggiore integrazione europea significherebbe volere essere ancora più strettamente soffocati. Occorre invece opporsi decisamente alle inique politiche di austerità condotte dai governi a livello nazionale. Diventa necessario lottare per recuperare la sovranità democratica e nazionale di fronte al potere anti-democratico della finanza internazionale, della UE intergovernativa e dei tecnocrati della Troika. Solo così la protesta salirà a livello dell’Unione Europea e potrà effettivamente cambiare la politica europea.

I movimenti e i partiti che hanno sostenuto la lista Tsipras hanno la possibilità di promuovere una nuova formazione unitaria di sinistra senza settarismi, scivolate e trasformismi. SEL a maggioranza ha appoggiato la lista Tsipras ma oggi sembra che una parte, dopo il successo indubbio di Renzi, voglia ricongiungersi al PD. Ognuno ha il diritto di fare le sue scelte, ma la tendenza continua e costante al compromesso – prima con il PD di Bersani e D’Alema, oggi anche con il nuovo PD di Renzi – non può che fare male al progetto di crescita di una sinistra d’alternativa riformista in Italia.

Se alcuni settori della sinistra di SEL vogliono confluire nel PD di Matteo Renzi – già definito da Nichi Vendola come “una risorsa del centrosinistra” – facciano pure: ma i casi dell’Ilva, di Taranto e della Fiat dimostrano che rincorrere i compromessi con i “padroni delle ferriere” o con i liberisti-laburisti non porta nessun vantaggio, e anzi rovine, per i cittadini, l’economia sostenibile e il lavoro.

Sarebbe peccato mortale sprecare l’occasione di costruire finalmente anche nel nostro paese – come negli altri principali paesi europei – una formazione di sinistra in grado di lottare per una società diversa, per la libertà, l’eguaglianza e la democrazia, per riforme sociali vere che perseguano forme di democrazia dal basso e un benessere sostenibile per tutti i cittadini. Occorrerebbe però riorganizzare la sinistra alternativa – finora (riconosciamolo!) prevalentemente aristocratica e intellettuale – in modo che riesca ad affermarsi come forza politica affidabile presso ampi settori popolari che attualmente sono piuttosto rivolti altrove, e spesso a destra.