Celebrazione eucaristica di CdbSanPaolo

CELEBRAZIONE EUCARISTICA
Comunità Cristiana di Base di San Paolo
8 giugno 2014 – (Gruppo Sud-Est)

LITURGIA DELLA PAROLA

Dal Libro della Genesi (Gn 2,7;3,6-7; 3,21)
Allora Dio, il Signore, prese dal suolo un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente.
La donna osservò l’albero: i suoi frutti erano certo buoni da mangiare; era una delizia per gli occhi, era affascinante per avere quella conoscenza. Allora prese un frutto e ne mangiò. Lo diede anche a suo marito ed egli lo mangiò. I loro occhi si aprirono e si resero conto di essere nudi. Perciò intrecciarono foglie di fico intorno ai fianchi. Allora Dio, il Signore, fece per Adamo e la sua donna tuniche di pelle e li vestì.

Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Dal vangelo secondo Giovanni (20,19-23)
La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, i discepoli se ne stavano con le porte chiuse per paura dei capi ebrei. Gesù venne, si fermò in piedi in mezzo a loro e li salutò dicendo: ‘La pace sia con voi’. Poi mostrò ai discepoli le mani e il fianco, ed essi si rallegrarono di vedere il Signore. Gesù disse di nuovo: ‘La pace sia con voi. Come il Padre ha mandato me, così io mando voi’. Poi soffiò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi non li perdonerete, non saranno perdonati’.

COMMENTO IINTRODUTTIVO DEL GRUPPO

Il testo del teologo Spong, “Gesù per i non religiosi” ha stimolato la nostra riflessione sull’argomento proposto dalle letture di oggi. Ne riportiamo qui alcune parti.

“Quando Luca negli Atti ci racconta la storia dell’effusione dello Spirito Santo sul gruppo riunito dei discepoli, nascosti per la paura in una stanza, il significato esperienziale di Gesù viene chiarito in modo piuttosto incisivo. In questa narrazione i discepoli vengono incaricati di diventare chiesa, di essere il corpo di Cristo. In questa storia di Pentecoste la manifestazione della presenza dello Spirito Santo consentì a questi discepoli di attraversare qualsiasi confine tribale, simbolizzato dalla varietà delle lingue, con la capacità di parlare la lingua che i loro uditori capivano….

Tutte queste storie tratte dal nuovo testamento rendono chiaro che il senso dell’esperienza di Gesù era di dare agli altri la forza di abbattere le barriere della sopravvivenza, per andare oltre la tribù, la lingua e i livelli di paura imposti dalla nostra sicurezza. Questa lista di testimoni biblici ci chiama ad entrare in una umanità che apre a tutti i popoli il significato della vita e quindi il significato di Dio. Questo era il dono che Gesù aveva da offrire.

Quando cominciamo a penetrare questo significato di Cristo, come viene presentato dai Vangeli, scopriamo che ciò che gli evangelisti stavano cercando di trasmettere … era un messaggio destinato a chiamare coloro che avevano sperimentato la presenza di Gesù a tradurre la piena umanità che avevano incontrato in lui in una forma di vita nuova e inclusiva per loro stessi. Un messaggio che invitava le persone a rischiare l’abbandono delle difese esterne, al di là delle paure e insicurezze, e ad abbracciare in modo prima sconosciuto cosa significhi essere umani. Era la forza della piena umanità di Gesù a fare questa richiesta. … Quando la nostra umanità è tarpata dalla paura, quando ci nascondiamo dietro barriere di sicurezza erette da noi stessi, inevitabilmente inneschiamo conflitti tra i popoli che mirano alla sopravvivenza. Quando la nostra umanità è invitata a rischiare tutto amando chi è diverso nella ricerca di una condizione che espanda la vita, allora noi abbiamo un’immagine molto differente di cosa significhi essere umani.”

Il testo riscopre l’umanità di Gesù. Supera il teismo, che ci porta spesso a darci dei confini, a chiuderci. Partire da un concetto di umanità, essere umani, ci porta ad aprirci agli altri e superare le divisioni.

La pentecoste è il momento in cui i discepoli di Gesù escono fuori. Il loro maestro è stato crocifisso, loro sono chiusi in una stanza con le loro paure. L’esperienza che fanno dello Spirito Santo (nelle letture rappresentato da lingue di fuoco e da un soffio), li fa uscire fuori. Abbandonano la protezione di quel luogo, la protezione ed il senso di appartenenza al gruppo che da la propria lingua: escono e iniziano a parlare lingue diverse.

Sul tema della protezione di noi stessi si è soffermata la riflessione del gruppo per distinguere tra protezione che serve per sopravvivere e protezione che può diventare chiusura verso gli altri, verso chi non appartiene al gruppo: meglio rimanere con le nostre sicurezze, con le persone che conosciamo, nei luoghi che ci sono familiari, per non correre rischi. Ci ha aiutato in questa riflessione accostare ai racconti della pentecoste il brano di Adamo ed Eva.

Eva desidera il frutto dell’albero della conoscenza, lo mangia e lo offre ad Adamo: “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.”

Quando escono dal paradiso terrestre e iniziano a vivere nel mondo reale, Adamo ed Eva hanno bisogno di coprirsi per proteggersi. Mangiando il frutto della conoscenza, si sono messi fuori dell’Eden: la conoscenza si porta dietro la presa di coscienza e l’angoscia. La cacciata di Dio, che viene raccontata nella parte finale del testo, è più il prendere atto da parte di Dio della scelta che le sue creature hanno fatto di lasciare quel luogo e le sicurezze e protezioni che esso rappresentava, per vivere nel mondo vero fatto di cose belle e cose brutte.

Proteggerci ci serve per sopravvivere, tutti indossiamo una maschera con gli altri: la completa trasparenza ci esporrebbe troppo. La maschera è più o meno coprente a seconda di chi abbiamo davanti, ma forse una maschera ce l’abbiamo sempre anche quando siamo soli con noi stessi: guardarsi dentro in profondità può far male, rischiamo di non piacerci. Spesso preferiamo scappare dal confronto con noi stessi, da una riflessione profonda e preferiamo rifugiarci nell’azione, nelle cose da fare. La maschera ci nasconde, ma, in un certo senso paradossalmente ci rende più riconoscibili agli altri, finisce per rappresentare quello che gli altri si aspettano da noi. L’assenza di maschere potrebbe creare difficoltà e imbarazzi nei rapporti.

Capire quale sia un equilibrio possibile tra proteggersi ed abbandonare le protezioni per aprirci agli altri è l’oggetto della riflessione, che invitiamo la comunità ad aiutarci ad approfondire.
Il testo della pentecoste è un invito anche per noi e per la nostra comunità ad uscire fuori e a parlare altre lingue comprensibili ai nostri interlocutori.

Il cammino della comunità in questi 40 anni è stato ricco, ricchissimo e complesso. Ma se non ci poniamo il problema di renderci comprensibili a chi questo cammino non lo ha fatto, rischiamo di chiuderci e di parlare un linguaggio solo per elite. Quante volte nell’esperienza del Laboratorio abbiamo dovuto rispondere alle domande di genitori che ci chiedevano se i sacramenti celebrati in comunità valevano! Essere capaci di superare i confini e parlare altre lingue per noi può voler dire trovare le parole e i modi giusti per rispondere a quelle domande, anche se per noi superate, riuscire a trovare un canale di comunicazione che non spaventi. Le persone possono solo partire da dove sono. L’importante è che partano!

Di fronte a situazioni di sofferenza o situazioni estreme di persone nella fase terminale della loro vita, esiste un equilibrio possibile tra condivisione della sofferenza e protezione di noi stessi?

Difficile trovare una risposta. Qualcuno tra di noi diceva di conoscere bene i meccanismi da attivare per proteggersi, ma di non riuscire poi ad evitare i sensi di colpa.

A volte la sofferenza va attraversata fino in fondo. Non esiste una giusta distanza. Forse è meglio stare senza protezioni per non rischiare di proteggersi anche dalle cose belle della vita.
Un altro accostamento abbiamo fatto tra la Genesi e il racconto della pentecoste. Nella Genesi c’è l’immagine di Dio che soffia per dar vita all’umanità, anche il soffio dello Spirito Santo da vita ai discepoli, liberandoli delle loro paure. La vita non è data una volta per tutte. Ci è rivenuto in mente quello che diceva Anna, parlando di suo figlio Francesco, le innumerevoli volte che ha lottato perché la sua sordità non lo emarginasse: io Francesco non l’ho partorito solo una volta.

Dal desiderio di Eva in poi il genere umano è destinato ad uscire, a lasciare luoghi sicuri e conosciuti per avventurarsi in dimensioni nuove e sconosciute. Non è questo che succede quando nasciamo? Lasciamo la protezione dell’utero materno per attraversare il canale del parto. Un passaggio stretto e doloroso. E fuori troviamo un mondo completamente diverso. L’aria invece del liquido caldo che ci avvolgeva nella pancia della mamma, la luce invece della penombra. Si dice che chi è fortunato nasce con la camicia. In realtà nasciamo tutti nudi, senza protezione. Abbiamo bisogno di trovare dall’altra parte le braccia dei genitori che ci avvolgono e ci proteggono.

Alla fine della nostra vita c’è un altro passaggio, quel passaggio estremo che chiamiamo morte, di cui abbiamo paura perché ci fa lasciare tutte le nostre sicurezze e ci lascia nudi. Qualcuno lo pensa come un tunnel in fondo al quale si intravede una luce intensa. Chissà che quel passaggio non somigli più di quanto ci immaginiamo ad un altro canale del parto, anche questo stretto e doloroso, che ci conduce a qualcosa di nuovo ed inimmaginabile con la nostra esperienza, come inimmaginabile è per un bambino nella pancia della mamma la vita fuori dall’utero. E chissà che dall’altra parte non ci siano ad attenderci altre braccia per stringerci e proteggerci. Perché no? A qualcuno di noi piace pensarlo così.

C’è un’altra protezione di cui non abbiamo ancora parlato, quella che ci da la condivisione con gli altri. Nel racconto della pentecoste i discepoli di Gesù sono insieme a condividere le loro paure ed insieme escono allo scoperto, e Adamo ed Eva sono in due quando lasciano in paradiso terrestre. Insieme è più facile affrontare le paure, anche quelle più grandi come la paura della morte, ed è più facile abbandonare luoghi conosciuti per uscire allo scoperto.