Perché io etero ho partecipato al Pride

Lorenza Valentini
http://cronachelaiche.globalist.it

«Guardateci bene. Guardateci il viso. Non è quello di chi chiede qualcosa, ma di chi sa cosa ci spetta di diritto. Non il viso di chi è stanco di lottare, ma quello di chi non si fermerà finché la storia non ci avrà dato ragione. Perché lo farà, di questo siamo certi. Perché la storia noi la facciamo tutti i giorni: in famiglia, a scuola, sul lavoro, in piazza. La facciamo sfidando i pregiudizi con l’intelligenza, la gioia, il coraggio. L’amore. Così sappiamo che arriverà un giorno in cui ogni diversità non sarà tollerata, ma celebrata. Ogni genere rispettato, ogni famiglia protetta, ogni individuo tutelato. E quel giorno no, non sarà solo bello poter dire “noi c’eravamo, ci siamo sempre stati”. Sarà molto di più. Sarà giusto. E sarà un vero orgoglio: il nostro». [Roma Pride]

C’è sempre qualcuno che mi dice «ma che ci vai a fare al Pride, tu mica sei lesbica». E allora tu di nuovo con tanta pazienza mi metto a spiegare che non è che bisogna essere lesbica per andarci.

Perché la lotta per i diritti di tutte e tutti riguarda anche me. Anzi, in qualche modo riguarda soprattutto me, che quei diritti ce li ho come un dato acquisito, che non devo lottare ogni giorno per dire che io sono come sono, che non devo scontrarmi col pregiudizio, la violenza, l’isolamento.

E mi riguarda non solo e non banalmente perché amo i miei amici e le mie amiche gay, ma perché io, eterosessuale bianca, europea, sposata, lavoratrice, considerata socialmente “normale”, non posso accettare in alcun modo che ci siano persone cui sono negati dei diritti in virtù dell’orientamento sessuale.

Viviamo in un paese in cui ancora si impedisce ad una coppia omosessuale di essere coppia “ufficialmente”, anche da un noioso (ma utile, penso ai mutui, alle successioni, agli assegni familiari, per dire) punto di vista burocratico.

Viviamo in un paese che nega le adozioni alle coppie gay in nome di niente altro che dell’omofobia, che nega a due persone che si amano di vivere la propria vita con serenità, che ritiene impossibile e “sbagliato” che una transessuale possa fare la maestra elementare o l’allenatrice di una squadra di nuoto. Ma ve la immaginate la scena? Insomma, se in un liceo di Roma le famiglie si ribellano perché alla loro povera prole innocente viene fatto leggere un libro in cui si parla di amore omosessuale, non oso pensare a cosa potrebbe succedere se quelle stesse famiglie si trovassero davanti una prof. di Greco transessuale.

Viviamo, in definitiva, in un paese che vuole continuare a nascondere e a far nascondere tutto quello che non rientra nei suoi canoni cattolici, apostolici e romani. Un paese che inneggia alla “famiglia tradizionale” e che per questo nega diritti a chi ne è fuori, per scelta, per caso o per necessità.

Ecco, io in un paese così non ci voglio vivere e voglio fare quello che posso per cambiarlo. Per questo anche quest’anno sono andata al Pride. E per questo ci andrò l’anno prossimo e quello dopo, fino a quando in una calda giornata di Giugno non si chiederanno diritti, ma si festeggerà la vittoria.

Ah! Da ieri, 9 giugno, è in onda uno spot della Findus col primo coming out della pubblicità italiana. Essendo io malfidata di indole, penso a quanto ci metterà questo paese di bacchettoni, bigotti e omofobi a farlo cancellare dai palinsesti, ma nel frattempo Ora, io quei cosi non li mangerei mai, ma mi è venuta improvvisamente una gran voglia di sofficini.

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Pride, 20 anni di orgoglio. Inutilmente

Alessandro Baoli
http://cronachelaiche.globalist.it

Mese di giugno, stagione di Pride in tutto il Paese. Come ogni anno centinaia di migliaia di cittadini sfileranno per le strade per chiedere i diritti che spettano alle persone glbt, a una politica che da quell’orecchio non ci ha mai voluto sentire, qualsiasi fosse la composizione del Parlamento.

Come ogni anno, anche in questo 2014 l’Ilga (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) ha emesso il suo rapporto annuale sulla situazione delle persone glbt in Europa: il Rainbow package mostra una carta continentale a più colori e diverse tonalità, dal verde scuro della Gran Bretagna, che si conferma come il Paese più liberale (o civile, se preferite) in tema di diritti civili, al rosso sangue della Russia di Putin, dove le persone glbt rischiano la vita ogni giorno.

L’Italia conserva il suo colorito itterico, pallido, triste e smunto, che vuol dire assenza di ogni legislazione sul matrimonio o qualsiasi altra forma di civil partneship, nessuna legge a contrasto dell’omofobia, estremisti cattolici e omofobi d’ogni sorta lasciati ancora liberi di esercitare la loro propaganda d’odio. Malgrado un “giovane” premier, Matteo Renzi, che aveva promesso una legge sulle unioni civili nel suo programma. Renzi in questo periodo ha anche le deleghe alle Pari opportunità, il che non fa che raddoppiare le sue colpe. Anche altre forze politiche, dall’aspetto altrettanto “giovane e “alternativo” hanno deluso le aspettative, sebbene per motivi diversi.

In questo quadro, la Pride Parade in Italia ha celebrato il suo ventennale; a Roma hanno già sfilato in duecentomila, e per la prima volta dal 1994 (quando fu Rutelli ad aprire il corteo) un sindaco ha patrocinato la manifestazione e sfilato sin quasi alla fine del corteo. Abbiamo così assistito alla scena surreale di Ignazio Marino, espressione di un partito – il Pd – dilaniato da una guerra interna senza quartiere, sfilare con tanto di fascia tricolore per le strade di una città che oltre a non offrire alcuna tutela e diritto alle persone glbt, è incredibilmente sporca e degradata, senza dare segno di accorgersene, come fosse un turista. Marino aveva promesso una delibera sulle unioni civili, che però è stata più volte rimandata. La sua presenza sabato in piazza, senza aver portato alcun fatto concreto, è servita solo a reiterare delle promesse (l’ultima prevede l’arrivo in aula della delibera entro giugno), riscuotendo applausi (immotivati) e qualche contestazione, da parte di cittadini stufi di promesse mai mantenute.

Intanto, il circo dei paladini della famiglia tradizionale prosegue col suo show, mettendo in scena sia iniziative consuete, nel caso di Roma una contro-sfilata regolarmente autorizzata di Forza Nuova dall’altra parte del Tevere (non a caso), sia importando idee d’oltralpe, come quella delle sentinelle in piedi. Esibizioni grottesche di chi si spaccia come difensore di una istituzione – la famiglia “tradizionale” – che non ha bisogno di essere difesa.

Vent’anni di manifestazioni, senza che si sia mosso nulla. L’unico dato certo è che un altro anno è andato sprecato.