Una sentenza coraggiosa

Intervista all’avv. Marilisa D’Amico a cura di Monica Fabbri
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La legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita è stata una delle leggi più discutibili sul piano etico. Una legge nata per proteggere le coppie che accedevano a questa tecnica da medici senza scrupoli che avrebbero potuto approfittarsi del legittimo desiderio di genitorialità ha prodotto delle norme che, per proteggere il concepito, ledevano la salute della donna, la libertà di ricerca e il buon senso. Il referendum abrogativo del 2005 non è riuscito a modificarla, probabilmente a causa della complessità della materia. La Corte Costituzionale però è intervenuta nel 2009 togliendo il limite di produzione di tre embrioni e l’obbligo di impianto degli stessi perché in contrasto con la tutela della salute della donna. Il 9 aprile scorso la Corte si è di nuovo pronunciata rimuovendo il divieto di inseminazione eterologa, cioè tramite donazione di gameti nel caso uno dei due membri della coppia fosse sterile. Il 10 giugno sono state depositate le motivazioni di questa importante sentenza, e Riforma ha intervistato Marilisa D’Amico, professore ordinario di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, vicepresidente del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa e difensore (insieme agli avv. Maria Paola Costantini e Massimo Clara) di due delle coppie che hanno fatto ricorso per accedere all’eterologa.

– Prof. D’Amico, in un comunicato stampa lei ha dichiarato che si tratta di una sentenza coraggiosa. Perché?

«È coraggiosa perché la Corte sostiene che, pur comprendendo che si tratta di questioni complesse ed eticamente sensibili che spetterebbero al legislatore, vi sono dei margini per un suo intervento. In particolare questa sentenza sancisce la libertà incoercibile delle coppie rispetto alla famiglia, sostenendo che la famiglia non è più fondata soprattutto sul legame genetico o di sangue ma sugli affetti, riconoscendo quindi una dimensione sociale e sicuramente più attuale della famiglia.

Le motivazioni, inoltre, richiamano in più punti la sentenza precedente del 2009, sempre sulla legge 40, dove veniva abrogato il limite della produzione dei tre embrioni e il divieto di crioconservazione. Il richiamo è dovuto alla volontà della Corte di ribadire il diritto alla salute fisica, psichica e riproduttiva della donna, sostenendo con fermezza che nelle materie dove sono necessarie delle valutazioni mediche è il medico che deve decidere e non il legislatore. Questo concetto è rinforzato a tal punto che la sentenza parla addirittura di autonomia della scienza, e questo è certamente un richiamo al legislatore. Vorrei nominare i medici che ci hanno aiutato, Carlo Flamigni e Marina Mengarelli, anche perché tutta la documentazione scientifica che abbiamo prodotto è stata inglobata nella motivazione».

– I titoli dei giornali hanno dichiarato che la Corte sostiene il diritto ad avere figli. È così?

«La corte non parla di diritto ad avere figli, ma di scelta incoercibile ad avere una famiglia e ad avere accesso alle giuste scelte nell’ambito della procreazione. Quindi è un principio costituzionale dall’art. 31 della Costituzione, che tutela la maternità, così come è stato concepito nel 1948, ma ora può essere esteso alla genitorialità in senso più ampio. Dunque questa sentenza sancisce il diritto ad avere un aiuto, ma non ad essere genitori a tutti i costi».

– Sarà possibile conoscere il donatore del seme? Ci possono essere conseguenze psicologiche sul bambino?

«La Corte dice ci sono già tutte le norme a riguardo e sono norme che rispettano l’assoluto anonimato del donatore. Non c’è un vuoto normativo e questo è importante perché le coppie che lo desiderano possono avere accesso immediato alla tecnica. A livello internazionale ci sono Paesi che invece prevedono la possibilità o addirittura l’obbligo di conoscere il donatore. È chiaro che questo caso non è assimilabile all’adozione, in cui l’adottato adulto desidera conoscere uno o entrambi i genitori che lo hanno abbandonato: le donne che accedono all’eterologa portano in grembo il loro figlio e lo partoriscono e la donazione è solo di materiale genetico. È da segnalare inoltre che circa il 50% delle coppie prevedono di non rivelare nulla al figlio: questo comporta dei rischi qualora egli lo venga a sapere da terze parti. Sarebbe utile prevedere un sostegno psicologico per i genitori al fine di permettere loro di essere in grado di parlare ai figli della loro nascita».

– Ma la donazione dei gameti è gratuita?

«È vietata la commercializzazione dei gameti, il che io lo interpreto come gratuità ma possibilità di rimborso delle spese».

– La donazione di gameti permette di avere figli anche a donne single, coppie gay o donne in età avanzata. Questo sarà possibile in Italia?

«No, l’accesso è comunque riservato a coppie eterosessuali in età potenzialmente fertile. Il ricorso è stato posto da coppie eterosessuali, per cui non è stato neanche posto il punto. La speranza è che il legislatore affronti questa importante questione: io per esempio sto difendendo una coppia che in India ha avuto accesso alla surrogazione di maternità e che in quel Paese ha regolarmente registrato la nascita. In Italia la donna non è stata riconosciuta come madre. È vero che in Italia la surrogazione di maternità è vietata, ma è pur vero che una donna non può essere madre in India e non esserlo in Italia. Lo stesso vale per le coppie gay che hanno avuto figli all’estero (anche se per le coppie omosessuali la priorità è quella di essere riconosciute come coppie che possano costituire una famiglia accedendo al matrimonio).