È la scuola un “bene comune”?

Antonia Sani
www.italialaica.it

L’interrogativo è d’obbligo poiché si tratta di un quesito alquanto controverso.

Due brevi riflessioni sulla natura dei Beni Comuni, oggetto di studi e definizioni scientifiche, (su cui varrebbe la pena riservare un seminario di approfondimento) ci aiuteranno a delineare il rapporto scuola/beni comuni.

I beni comuni – definizione suggestiva e quanto mai attraente – si riferiscono a quei diritti universali il cui esercizio nelle comunità deve essere garantito a tutti. La nostra Costituzione (Art.43) autorizza l’affidamento, o il trasferimento tramite esproprio (dietro indennizzo) di imprese relative a “servizi di pubblica utilità,” allo Stato, a enti pubblici, o a comunità di lavoratori e di utenti…

Marx li definiva beni d’uso nella prospettiva di preservarli da qualsiasi tipo di proprietà – privata o pubblica – per la fruizione delle future generazioni…

Un’ulteriore riflessione riguarda la distinzione tra le categorie dei beni comuni, che richiedono approcci diversi. Beni comuni materiali (acqua, terra, cibo, fonti energetiche, casa, paesaggio,..) e immateriali (salute,conoscenza,..), presentano infatti analoghi caratteri di universalità e di non deterioramento nel loro uso, ma mentre i primi non possono che essere sottoposti nella loro gestione a regole condivise improntate alla solidarietà, i secondi, pur nella garanzia universale della loro fruizione, nel loro uso sono guidati dalla “libera scelta individuale”.

E’ questo il caso della CONOSCENZA, bene comune dell’umanità, insieme aspirazione libera di ogni individuo verso forme autonome e collettive di “cultura”, ma anche fattore imprescindibile per il progresso delle società, tanto che gli Stati moderni l’hanno ancorata all’obbligo di istruzione, nel rispetto delle libere scelte educative.

E’ dunque la conoscenza il “bene comune” di riferimento relativo all’acquisizione di quella “consapevolezza” che sola detiene la chiave per accedere al bagaglio di quel complesso di pratiche e conoscenze che definiamo “cultura”. Ma perché è – invece – la SCUOLA ad essere così frequentemente assimilata ai “beni comuni”?

Si potrebbe rispondere: perché anche la scuola pubblica è minacciata dall’avanzata inesorabile della PRIVATIZZAZIONE di beni pubblici da parte del mercato e di potentati che decidono del loro assetto sulla base di tornaconti economici, del privilegio di pochi, con la SOTTRAZIONE DELLA loro FRUIZIONE o ACCESSO a una grande parte dell’umanità…

Tuttavia, diversi sono gli obiettivi di una pur comune battaglia contro le privatizzazioni di beni comuni e diversi i percorsi di lotta. Il cammino specifico per il sistema formativo è tracciato dall’Art.33 /Cost. nell’atto in cui la Repubblica “istituisce scuole statali per tutti gli ordini e i gradi”, il cui obiettivo è l’attuazione della società prefigurata negli Artt.2, 3, 4 … della Costituzione.

La scuola non è un servizio pubblico, è un’ISTITUZIONE della Repubblica, come lo è la Magistratura, è per definizione rivolta a tutti e a tutte; è amministrata da organi della Pubblica Amministrazione e da organi elettivi di autogoverno definiti per legge di cui fanno parte tutte le componenti scolastiche. Equiparare la sua natura a quella auspicata per beni e servizi di interesse pubblico (gestione da parte di cooperative di utenti…gestione mista..) significherebbe – per assurdo!- intrecciarla a forme di privatizzazione che in questo momento giocherebbero a favore del piano scuola Renzi-Giannini in cui pubblico e privato come espressione “del territorio” – e frutto della Legge 62/2000 – darebbero luogo a un prolungamento inedito dell’orario e delle prestazioni del personale scolastico con la perdita della funzione specifica della scuola dello Stato.

Recita l’Art 33 “ L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. E’ qui proclamata la libertà della conoscenza da qualsiasi forma di condizionamento. Su quest’affermazione si fonda la libertà riconosciuta a Enti e Privati di “istituire” scuole e istituti di educazione (interessante sarebbe un seminario sugli Atti dell’acceso dibattito nell’Assemblea Costituente conclusosi negli ultimi giorni di aprile del ’47 con la formulazione dell’Art.33).

Ma l’Art. 33 separa nettamente il sistema scolastico dello Stato, cui è attribuita la funzione formativa delle giovani generazioni, dal diritto di Enti e Privati di istituire scuole e istituti di educazione corrispondenti a progetti educativi specifici, ma nel rispetto di quanto affermato nell’Art.33 – La Repubblica detta le norme generali sull’ ’istruzione. Ci troviamo di fronte a due diverse idee di scuola: l’una, la scuola dello Stato, la scuola della Costituzione, l’altra la scuola intesa nell’interesse di committenti di diverse tendenze. La conoscenza-bene comune passa per entrambe, poiché è la “libera scelta individuale” l’elemento determinante per avvicinarsi alla complessità di questo bene.

Entrambe hanno diritto di esistere, ma la scuola privata “senza oneri per lo Stato”, come recita l’Art.33… cadrebbe (e cade!) in contraddizione con se stessa quando nelle sue varie articolazioni finanzia o firma convenzioni con enti, cooperative, scuole confessionali che per la loro stessa natura rifiutano il pluralismo dell’offerta formativa.

Per questo motivo noi continuiamo a denunciare la legge 62/2000 che ha violato la distinzione costituzionale ponendo in un unico sistema nazionale la scuola statale e le scuole private aprendo così un grave varco alla privatizzazione del sistema formativo e rendendo il finanziamento pubblico – e- all’inverso – privato – a entrambe le tipologie di scuola sempre più facile da accettarsi…

E in Europa gli esempi cui uniformarsi non mancano, come recentemente ricordato dalla ministra Giannini (Convegno di Treelle a Roma del 25 giugno scorso). Diceva Piero Calamandrei che solo con la qualità la scuola dello Stato può battere le scuole private. E “qualità” è in primo luogo libertà di apprendimento di alunni e alunne che non sono “proprietà esclusiva dei genitori”- costretti a subire le scelte educative della famiglia nell’interpretazione forzata che viene comunemente fatta dell’Art.29 -, libertà di insegnamento dei docenti, rispetto dei diritti di tutti coloro che nella scuola operano…

Allora, questo è il patrimonio di cui insegnanti, genitori, alunni e alunne, ma anche ds, personale non docente della scuola dello Stato devono pretendere l’attuazione nella quotidianità, battersi, mobilitarsi perché ciò avvenga. Ciò significa battersi contro tutto ciò che distrugge questi principi (prove Invalsi, trasformazione degli Organi Collegiali in Consigli di Amministrazione – pdl Aprea – forme discriminanti di valutazione, gerarchizzazione impropria del personale docente, la collocazione dell’IRC all’interno dell’orario obbligatorio…)

E’ questo un primo aspetto che connota la partecipazione democratica nel sistema formativo, che presuppone prima di tutto consapevolezza di ciò che l’istituzione scolastica rappresenta e garantisce.

Quindi il “bene comune” della conoscenza non può essere calato indifferentemente in una generica scuola – bene comune, che cancelli la distinzione costituzionale, ma neppure in una scuola che escluda il diritto costituzionale di Enti e privati ad accedere alla conoscenza nel rispetto della libertà di scelta, beninteso “senza oneri per lo Stato”.

Nostro obiettivo deve essere rendere sempre più attrattiva la conquista della conoscenza nel percorso formativo della Scuola della Costituzione. Sostenere il rilancio della LIP (Legge di Iniziativa Popolare per una buona scuola della Repubblica sottoscritta da 100.000 cittadini) e diffonderne la conoscenza dei punti qualificanti può divenire un impegno prioritario per allargare la partecipazione democratica nella scuola.

Qui entra in ballo il ruolo del MIUR, rappresentante e garante dell’unitarietà del sistema formativo statale e delle pari opportunità su tutto il territorio nazionale (garante anche della validità dei titoli di studio conseguiti nelle scuole private), la cui natura burocratico-amministrativa in contrasto con le prerogative della democrazia scolastica (Legge 477/ 1973) è a tutt’oggi in attesa di essere ridefinita.

Ci riferiamo agli Organi Collegiali della Scuola, primo passo per la realizzazione dell’autonomia funzionale del sistema formativo. La partecipazione democratica ha di fronte – a questo proposito- due versanti:

il primo: pretendere il rispetto della normativa vigente in tutte le sue pieghe. Questo presuppone una partecipazione “informata” da parte di tutte le componenti del singolo istituto scolastico. Ciò che raramente avviene…

La distinzione tra criteri e proposte, la distinzione tra i ruoli delle varie componenti, i diritti da rivendicare nel rispetto delle norme, sono terreni spesso sconosciuti a eletti e elette negli Organi Collegiali… sono terreni spesso sconosciuti.

I dibattiti nelle assemblee di studenti e genitori sono importanti per il confronto che possono provocare su temi cruciali, per le proposte che possono far emergere, per la consapevolezza che possono determinare, ma non possono sovvertire la normativa vigente (cfr. le modifiche apportate dai decreti sull’autonomia scolastica e sulla valorizzazione del ruolo del ds devono avvenire “nel rispetto delle competenze degli Organi Collegiali”, come disposto nel T.U.. Questo deve essere il baluardo in ogni scuola contro il fantasma della pdl Aprea….)

Un esempio. Abbiamo assistito nei mesi scorsi all’ invadenza di genitori nella programmazione didattica degli istituti, i quali – forti della loro rivendicata libertà di scelta educativa – hanno posto veti all’introduzione dell’Educazione Sessuale senza il consenso dei singoli genitori.

Si tratta ovviamente di un terreno minato in cui le sensibilità, le culture familiari, le diverse appartenenze religiose giocano un ruolo spesso determinante, ma … nessun diritto di veto spetta al singolo genitore nella scuola statale (cfr. sent. Corte di Cassazione n. 2656/2008) dove è riconosciuto responsabile dell’azione didattica il Collegio dei Docenti, sulla base del principio della libertà di insegnamento e del pluralismo culturale, fondamenti della Scuola dello Stato).

E’ qui evidente la distinzione tra scuola dello Stato e scuole private, nelle quali il progetto educativo si uniforma ai desiderata dei genitori. La partecipazione democratica nel sistema formativo deve tener conto di questa distinzione e essere in grado di difenderla con le debite motivazioni, evitando sterili polemiche.

Il secondo versante dell’azione democratica nel sistema formativo ha un obiettivo ambizioso: il completamento dell’iter della democrazia scolastica. Abbiamo precedentemente rilevato come un adeguamento del ruolo del MIUR in armonia con la legge istitutiva degli Organi Collegiali non abbia mai avuto luogo. L’ Associazione “Per la Scuola della Repubblica” si è fatta promotrice all’interno del Coordinamento Nazionale “Per la Scuola della Costituzione” di una proposta che completerebbe l’iter democratico degli Organi Collegiali.

La proposta riguarda il CNPI , non più organo consultivo del MIUR formato esclusivamente da docenti, ma organismo democratico, elettivo, con effettivi poteri nei programmi nazionali, che rappresenti al suo interno tutte le componenti della scuola e una rappresentanza della società civile. La recente morte-soppressione dell’attuale CNPI ( e la sua riproposizione-imposta peraltro dal TAR Lazio – nella riforma del Tit.V) costituisce un’imprevista occasione positiva per il rilancio della nostra proposta.!!

Al nuovo CNPI spetterebbe il compito di pronunciarsi sui contenuti fondamentali dell’azione formativa, fondata sul pluralismo culturale, sulla laicità della scuola, sulla memoria antifascista, in sintesi: sull’attuazione dei principi costituzionali.

Gli istituti scolastici statali non sarebbero più costretti a procedere a macchia di leopardo su temi cruciali per la laicità e la democrazia scolastica, ma avrebbero un imprescindibile punto di riferimento, nazionale, democratico, cui attenersi nelle proprie deliberazioni.

Questo deve essere l’obiettivo ultimo delle nostre lotte, per un’idea di scuola in grado di contribuire alla formazione critica e autenticamente democratica di coloro che faranno parte della società del futuro.