Il Governo non mandi armi in Iraq – APPELLO Rete Disarmo

Rete Disarmo
www.unponteper.it, 19 agosto

La responsabilità di proteggere le popolazioni minacciate del Nord dell’Iraq non si esercita fornendo armi alle forze armate curde o irachene, ma semmai inviando una forza di interposizione militare a difesa delle popolazioni e creando le condizioni per interventi di pace.

Rete Italiana per il Disarmo chiede pertanto al Governo di promuovere iniziative efficaci affinché il nostro paese eserciti, in accordo con gli organismi internazionali, il suo dovere alla responsabilità di proteggere e al Parlamento di svolgere un ruolo propositivo e di controllo delle iniziative dell’esecutivo in particolar modo sull’invio di armi e sistemi militari nella regione.

“Conferma della posizione già espressa verso un no all’invio di armi in Iraq, in particolare se derivanti da depositi segreti” è la posizione espressa da Rete Italiana per il Disarmo in vista del dibattito previsto per domani, mercoledì 20 agosto, nelle Commissioni riunite Affari Esteri e Difesa di Camera e Senato, durante il quale i Ministri degli Esteri, Federica Mogherini, e della Difesa, Roberta Pinotti, svolgeranno le comunicazioni del Governo sui recenti sviluppi della situazione in Iraq con riferimento anche agli esiti del Consiglio straordinario dei Ministri degli esteri della Unione europea del 15 agosto 2014.

Rete Disarmo sottolinea, come già evidenziato in precedenti comunicati, che la “responsabilità nella protezione” (responsibility while protecting) delle popolazioni dal pericolo di massacri non ricade solamente sul governo iracheno, ma sull’intera comunità internazionale.

Per questo il nostro Paese deve rispondere con prontezza ed efficacia valutando anche la possibilità, insieme ad altri paesi dell’Unione europea, di inviare una forza di interposizione con mandato ONU e funzioni di “peace enforcement” che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale, senza alimentare il conflitto. Le forze armate irachene e curde hanno purtroppo dimostrato di non essere in grado di proteggere da sole le popolazioni e non solo perché non sono fornite degli armamenti necessari.

Di fronte ad una crisi che viene definita dagli organismi dell’Onu di ‘pulizia culturale’, la risposta dell’Unione europea non può limitarsi all’invio – pur drammaticamente necessario – di aiuti umanitari ed è per questo che la Rete italiana per il Disarmo chiede al governo Renzi di astenersi dall’invio di sistemi militari nella regione. “Ogni invio di armi nella regione va assolutamente impedito – afferma Giorgio Beretta dell’Osservatorio OPAL di Brescia – ancor più se il governo intende inviare ai militari curdi delle armi in disuso per svuotare i magazzini delle nostre aziende armiere o peggio ancora quelle armi di fabbricazione sovietica sequestrate al trafficante Zhukov e detenute per anni nelle riservette dell’isola sarda della Maddalena. Quelle armi, come prevede una sentenza del Tribunale di Torino del 2006 mai resa operativa, vanno distrutte: chiediamo perciò che venga subito aperta un’inchiesta parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi apponendo da parte dell’allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di stato”.

Rete Italiana per il Disarmo chiede inoltre a tutte le organizzazioni umanitarie e Ong impegnate nei soccorsi in Iraq di valutare attentamente quale sarà l’iniziativa promossa dal governo e di astenersi dall’effettuare distribuzioni di aiuti governativi italiani giunti tramite canali militari, con un coinvolgimento del Ministero della Difesa che non era assolutamente necessario per far giungere a Erbil beni alimentari facilmente acquistabili localmente.

“Dopo l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la persistente emergenza dei profughi siriani – afferma Martina Pignatti dell’associazione Un ponte per… – questa è la terza urgenza umanitaria che il Governo italiano affronta quest’anno nella regione mediorientale, ma con stanziamenti insufficienti e senza nemmeno valutare l’opportunità di sospendere l’invio di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto. Lo consideriamo molto grave: il messaggio che la Farnesina sembra voler inviare è che nel nuovo modello di cooperazione le armi e gli aiuti umanitari possono andare a braccetto senza scomodare nessuno”.

Rete Disarmo evidenzia infine la necessità di evitare l’escalation del conflitto e di creare le condizioni perché si possa giungere ad una convivenza pacifica tra le popolazioni della regione.

“Papa Francesco, sull’aereo di ritorno a Roma, è stato molto chiaro – sottolinea don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi – Ha detto che quando c’è un’aggressione ingiusta è lecito fermare l’aggressore, non bombardare o fare la guerra, ma fermarlo. Papa Francesco ha inoltre ricordato che ‘Una sola nazione non può giudicare come si ferma l’aggressione, questo compito è delle Nazioni Unite. Dobbiamo avere memoria di quante volte con questa scusa di fermare un’aggressione ingiusta le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto vere guerre di conquista’; noi dobbiamo evitare l’escalation del conflitto e creare le condizioni perché si possa giungere ad una convivenza pacifica, anche per le minoranze, in quella regione”, conclude don Renato Sacco.

Rete Italiana per il Disarmo chiede di

Al Governo
1. Attivarsi prontamente con i competenti organi delle Nazioni Unite per l’invio di un contingente di “peace enforcement” sostenuto dall’Unione europea che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale e non alimenti il conflitto.
2. Astenersi dall’inviare armi e sistemi militari alle parti in conflitto in particolar modo le armi confiscate (come il cosiddetto “arsenale Zhukov”) o non utilizzabili dalle nostre forze armate e bloccare23 l’invio di armi e sistemi militari verso tutti i paesi in conflitto.
3. Predisporre, in dialogo con le organizzazioni umanitarie internazioni e le Ong nazionali, tutti gli aiuti necessari per un invio di materiali idonei all’effettivo soccorso delle popolazioni ed evitare l’invio di materiali non necessari e/o di fondi di magazzino, senza ricorrere alla cooperazione civile-militare nelle attività umanitarie.
4. Facilitare, in dialogo con le associazioni nazionali e internazionali, misure di protezione delle popolazioni di tipo non militare e di lungo periodo, che prevedano anche quote di ingresso in Italia per minoranze a rischio di genocidio e difensori dei diritti umani minacciati nelle zone di conflitto
5. Sottoporre, prima di attuare iniziative governative, tutte le proprie proposte al confronto nelle Camere, richiederne il parere con voto consultivo e attenersi al voto espresso dal parlamento

Al Parlamento
1. Promuovere e sostenere le iniziative sopra esposte.
2. Richiedere, qualora il Governo intenda inviare armi e sistemi militari in Iraq, un resoconto preventivo dettagliato di tutti i sistemi militari e di armi che si intende inviare e sottoporre al parere consultivo delle Camere ogni invio di armi.
3. Porre all’esame, nelle competenti commissioni parlamentari di Camera e Senato, le recenti Relazioni sulle esportazioni di sistemi militari italiani, valutare attentamente le autorizzazioni rilasciate dagli ultimi governi e il grado di trasparenza della Relazioni governativa in confronto anche con le associazioni impegnate da anni nel controllo del commercio degli armamenti.
4. Favorire un’inchiesta parlamentare su tutte le armi confiscate e detenute nei vari arsenali militari e predisporre tutte le misure necessarie per la loro pronta distruzione

Alle associazioni
1. Sostenere tutte le iniziative governative e parlamentari sopra esposte
2. Rifiutare, qualora il governo decida di inviare armi e sistemi militari in Iraq senza aver tenuto conto del parere espresso dalla Camere o in aperto contrasto con esso, di effettuare distribuzioni di aiuti umanitari governativi, soprattutto se giunti in loco tramite canali militari.
3. Collaborare per predisporre misure di assistenza umanitaria e interventi civili di pace, non armati e nonviolenti, di tutela delle popolazioni locali nel nord dell’Iraq, rafforzando la società civile locale nella denuncia delle violazioni e nella costruzione di percorsi di dialogo tra etnie e comunità.

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Renzi tra UE, Iraq e Mogherini

Fabrizio Casari
www.altrenotizie.org

La notizia di oggi è che inviamo vecchi fucili ai peshmerga curdi e nuove ovvietà al governo iracheno. L’irruzione di Renzi nella politica estera si spiega con l’intenzione di marcare il territorio: il semestre è italiano? Eccoci qui. L’Iraq diventa così una mossa della partita che si gioca in Europa. Quale miglior spot per sostenere la candidatura della Mogherini a Mr. Pesc?

Un colpo intelligente e mediaticamente utile alle sorti di quel braccio di ferro che, a dire il vero, non è poi così difficile da vincere. C’è poi un secondo elemento da considerare: il viaggio di Renzi è gradito sia a Bruxelles che a Washington.

La UE è ben lieta di assegnare all’Italia l’esposizione immediata. Pur convinta della pericolosità dell’IS, la UE non ha nessuna intenzione d’infilarsi nell’ennesima guerra mediorientale, stanca d’inseguire i disastri combinati dalle diverse Amministrazioni Usa in Medio Oriente e nel Golfo Persico. L’Iraq non è strategico ne per Londra né per Parigi né per Berlino.

Nello stesso tempo, la Casa Bianca apprezza decisamente la missione di Renzi, che corre a sostegno dell’iniziativa USA e dimostra di sapersi muovere velocemente nell’invio di armi e nell’iniziativa politica, insinuando agli europei una modalità della politica diversa dalle paludi nella quale, doverosamente, la teneva la Ashton.

Con il blitz in iraq Renzi coglie due obiettivi: il primo, importantissimo, è quello di proporsi sulla scena internazionale come fedelissimo interprete delle scelte di Washigton e, in questa chiave, propone il suo governo come locomotiva della politica estera europea ben oltre i restanti quattro mesi del semestre a guida italiana della UE. Il secondo è quello, in conseguenza, di ottenere il plauso di Washington per la possibile nomina della Mogherini a Mr. Pesc. Il consenso degli USA è infatti decisivo, molto più di qualunque opposizione continentale, per la scelta di chi deve rappresentare Esteri e Difesa della UE, anche per i vincoli NATO. Da ieri, perciò, le possibilità della Mogherini di spuntarla sono di gran lunga maggiori.

In fondo, nella sostanziale indifferenza dei partner europei principali, l’opposizione sostanziale alla nomina europea della ministro degli Esteri italiana è rappresentata solo da alcuni paesi dell’Europa dell’Est: non certo un peso politico insormontabile. Le argomentazioni che gli ex Oltrecortina oppongono, risiedono nell’accusa alla Mogherini di essere troppo “tenera” con la Russia di Putin.

Ma in realtà, dietro le dichiarazioni di facciata per non disturbare il conducente a stelle e strisce, Germania, Gran Bretagna e Francia lavorano quanto e più dell’Italia per non esasperare i toni contro Mosca. E’ l’Europa che conta, che non ha mai avuto una politica estera unitaria a livello continentale ma che – sebbene in ordine sparso – dispone di robusti interessi sia ad Est che a Sud.

L’ostilità antirussa, che utilizza strumentalmente qualunque tema per alzare l’asticella dello scontro, è in realtà prodotto della volontà politica statunitense preoccupata oltre misura del nuovo assetto internazionale che potrebbe prefigurarsi nella nuova alleanza tra Mosca e Pechino. Lo sfondamento – più che l’allargamento ad Est – della Nato, così come il sostegno al riarmo giapponese e le minacce alla Cina nel Pacifico, sono gli strumenti per alzare la tensione e mettere Mosca e Pechino di fonte ad una sfida che oggi è ancora a vantaggio degli Usa ma che presto potrebbe veder mutare condizioni e scenario.

Tema non meno delicato, è poi quello della crescente pressione che i Brics esercitano sulle leve dell’economia mondiale, soprattutto in seguito alla dichiarata intenzione di valutare la sostituzione del dollaro come moneta ufficiale negli scambi, mandando così a ramengo Bretton Woods e l’economia USA, drogata da possenti iniezioni di moneta stampata quotidianamente per sostenere una economia con un deficit mostruoso.

Se si aggiunge che una quota oltremodo significativa dei titoli a garanzia del debito USA sia nelle mani della Cina, si capisce come il declino della superpotenza, pure in un’epoca di unilateralismo assoluto, possa risiedere non più nella supremazia del modello e del ruolo, ma solo nel limitare in ogni modo la crescita delle altre potenze. Potenze che, per quanto dotate di armamento nucleare ed economicamente forti, prive di sostegno politico e di un disegno strategico globale restano comunque, per ora, superpotenze regionali.

La partita è straordinariamente complessa ed ha valore strategico nel controllo globale. L’Europa, che conferma ogni giorno il suo nanismo politico a fronte del gigantismo economico, in attesa di decidere se e come vorrà diventare un continente e non solo un’area finanziaria e commerciale di libero accesso per capitali speculativi e di divieto d’accesso per modelli socio-economici d’integrazione, assiste quindi stancamente – e forse con qualche fastidio – agli show del premier italiano, cui potrà anche riconoscere la sua piccola vittoria di Pirro con la nomina della Mogherini. Tanto i temi che contano si affrontano a sipario chiuso e telecamere assenti.