Se anche la Corte Costituzionale si lascia tentare

Aldo Zanca
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All’art. 13 della legge che modifica il Senato, approvata l’8 agosto 2014, si legge: «Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale su ricorso motivato presentato da almeno un terzo dei componenti di una Camera, recante l’indicazione degli specifici profili di incostituzionalità».

Nessuno si è occupato specificamente di questa disposizione della tanto chiacchierata legge, anche se in questo che può essere considerato un dettaglio, si annida il diavolo, come spesso succede. Qui si proclama, da un lato, l’onniscienza e l’infallibilità della Corte costituzionale e, dall’altro, l’incapacità di principio del Parlamento di valutare se una legge in discussione presenti profili di incostituzionalità. Inoltre, qui si determina un gravissimo scarto delle funzioni della Corte costituzionale, che rischia di modificarne profondamente la natura, aprendo la strada per trasformarla in un pericolosissimo strumento per accrescere smisuratamente il potere dell’esecutivo e facendo fare un gran salto in avanti al disegno autoritario che è da tempo in pieno svolgimento, in Italia come altrove.

Vediamo. Se la Corte costituzionale esprime un giudizio preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale (per ora), questo significa che qualunque ricorso dopo la sua promulgazione sarà considerato inammissibile, blindandola contro qualsiasi attacco. Considerando questa inevitabile conseguenza, si presuppone così che la Corte non solo abbia motivatamente respinto il ricorso presentato da almeno un terzo dei componenti di una Camera, ma che abbia, sia pure implicitamente, considerato e preso in esame tutti i possibili e immaginabili specifici profili di incostituzionalità, presentandosi dunque come onnisciente e infallibile.

La storia insegna che una legge può essere considerata perfettamente aderente alla Costituzione in un determinato tempo e incostituzionale in un altro tempo, atteso che una (buona) costituzione non è una legge qualunque, ma il thesaurus di principi e di regole che compendia la cultura politica e civile di una comunità nazionale e che per questo è in grado di “reggere” di fronte alle trasformazioni che rendono obsolete le leggi ordinarie. Gli esempi sono numerosi. Perché ciò non dovrebbe valere per una legge elettorale?

C’è poi la confessione che il Parlamento non è in grado di rendersi conto con ragionevole certezza che i provvedimenti che approva siano o no esenti da vizi di incostituzionalità (ma non c’è un’apposita commissione che si intitola Affari costituzionali?). Sarebbe stato del tutto auspicabile che quel terzo dei componenti di una Camera fossero entrati nel novero dei soggetti che possono adire la Corte costituzionale, ma ricorrendo contro una legge già promulgata. Ciò sarebbe rientrato nella prospettiva dell’incremento dei diritti dell’opposizione e del riequilibrio dei poteri, tutte e due cose che stanno invece arretrando.

Si può profilare all’orizzonte uno snaturamento della funzione della Corte, la quale in atto è il giudice delle leggi, che sono l’oggetto specifico delle proprie competenze. Nel caso in questione la Corte si occupa non di una legge operante, che,mentre sta svolgendo i suoi effetti, viene sospettata di essere incostituzionale, ma di una legge che, se i ricorrenti perdono, viene consegnata del Presidente della Repubblica per la promulgazione con il sigillo che la mette al riparo da ogni contestazione giuridica, anche da parte dello stesso Presidente che non può più eccepire nulla (come avrebbe potuto fare il buon Ciampi, e non fece, a proposito del Porcellum, la cui incostituzionalità era eclatante).

Una volta che la Corte è abilitata a fornire giudizi preventivi di costituzionalità, trasformandosi in un super consulente legislativo, qualche governo potrebbe essere tentato di forzare un po’ la mano e, senza apportare nuove modifiche al testo costituzionale ma sulla scorta di una dotta disquisizione dottrinale (c’è sempre qualcuno disponibile a farla), potrebbe chiederle di esprimere il giudizio preventivo di costituzionalità relativamente a qualche legge ordinaria liberticida, come d’altra parte è una legge ordinaria anche la legge elettorale.

Il perno del disegno autoritario consiste proprio nella riduzione progressiva della separazione dei poteri, subordinandoli tutti all’esecutivo. Già tra il legislativo e l’esecutivo si è instaurato un rapporto di sudditanza del primo rispetto al secondo, se anche la Corte si prestasse al gioco la via verso l’autoritarismo o peggio sarebbe spianata.