La cattiva scuola di Renzi vista da un precario

Francesco Locantore

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Dopo gli annunci estivi del sottosegretario Reggi, della ministra Giannini e dello stesso Renzi, è stato reso pubblico il rapporto del governo Renzi intitolato “La buona scuola”, con una serie di idee guida per una riforma organica, nonostante il governo abbia deciso di non chiamarla così, della scuola italiana.

Il rapporto consta di ben 136 pagine, è diviso in sei capitoli ed è corredato da un allegato in cui si sintetizzano le dodici proposte che sintetizziamo in due blocchi: (1) reclutamento degli insegnanti, avanzamenti di carriera e gestione dell’organico; (2) intervento sui programmi di studio e alternanza scuola-lavoro.

1 Mai più precari nella scuola, ma insegnanti sempre più poveri e ricattabili

Il primo blocco di proposte riguarda l’annoso problema del reclutamento e l’avanzamento di carriera degli insegnanti. Il governo annuncia l’assunzione a tempo indeterminato dal primo settembre 2015 di tutti i precari inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e dei vincitori e idonei del concorso di Profumo del 2013 (proposta n. 1). Si tratta di quasi 150mila insegnanti, più o meno corrispondenti al numero di insegnanti tagliati da Berlusconi, Tremonti e Gelmini nel triennio 2008-2011. Questo provvedimento costerebbe, secondo i calcoli del governo, circa tre miliardi di euro l’anno a partire dall’esercizio finanziario 2016 (molto meno nel 2015, visto che si tratterebbe di pagare solo quattro mesi di stipendio, molti dei quali si sarebbero comunque pagati ai precari).

Se questo provvedimento fosse effettivamente realizzato sarebbe da salutare come una vittoria delle lotte dei precari che si stanno battendo da anni per la stabilizzazione, e che hanno portato la questione fino alla Corte di Giustizia europea, di cui è attesa una sentenza di probabile condanna per l’Italia. In Italia infatti non si applica neanche la pur permissiva normativa che impone di non poter sfruttare i lavoratori con contratti a tempo determinato oltre tre anni senza una prospettiva certa di stabilizzazione. L’Italia è anche oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea su questo punto, e certo non farebbe una bella figura Renzi proprio nel semestre di presidenza italiano a mantenere in piedi una situazione simile.

Tuttavia per i costi previsti ci sentiamo di dubitare dell’attuazione di queste pie intenzioni, fino a che non vedremo nero su bianco lo stanziamento delle risorse necessarie. D’altronde mentre si promette per il prossimo anno l’assunzione di un contingente importante di insegnanti, in questo anno scolastico se ne assumono meno di quelli previsti dal Dl Scuola dello scorso anno, visto che la ragioneria non ha autorizzato tutte le assunzioni previste in mancanza della copertura finanziaria.

I nuovi organici previsti dopo l’assunzione dei precari dovrebbero, secondo il governo, essere tali da non ricostituire una massa di insegnanti precari negli anni successivi, potendo far fronte alla copertura delle supplenze “brevi” (proposta n. 3), e potendosi così reclutare i futuri insegnanti attraverso concorsi per abilitati su base regolare in modo da sostituire gli insegnanti che andranno in pensione (proposta n. 2). E’ molto probabile che la soppressione delle graduatorie di istituto, da cui venivano attinti i supplenti brevi, passerà anche attraverso un aumento dell’orario di lavoro dei docenti. Anche se il rapporto non è esplicito su questo tema, si parla di “banca delle ore” da utilizzare nella propria scuola nella rete di scuole a cui si afferisce per coprire le necessità di supplenze temporanee.

La propaganda di Renzi sulle assunzioni dei precari senza dubbio serve a far digerire al corpo docente l’eliminazione degli scatti di anzianità, che verranno sostituiti da scatti di “merito”, attribuiti a non più dei due terzi del corpo docente ogni tre anni sulla base del giudizio del nucleo di valutazione di ciascuna scuola o rete di scuole (proposta n. 4 e 5).

Questo è un affronto inaccettabile che colpisce gli insegnanti meno pagati d’Europa, con gli stipendi fermi dal 2009 (e ancora per tutto il 2015, come annunciato oggi stesso dalla ministra Madia), puntando a dividere i lavoratori, ad asservirli ai capricci dei dirigenti scolastici limitando il diritto costituzionale alla libertà di insegnamento. Questo provvedimento colpirà innanzitutto i precari, gli ultimi arrivati nelle scuole che andranno automaticamente a finire nel terzo non meritevole di prendere gli scatti, ma in generale favorirà un clima di competizione all’interno del corpo docente di ciascuna scuola. La retorica meritocratica con cui viene avanzata questa proposta mostra le sue contraddizioni in modo evidente: che senso ha stabilire per legge che in ciascuna scuola ci sono di terzi di docenti meritevoli e un terzo non meritevole? Sulla base di quali criteri si pensa di poter operare questa distinzione? Le proposte contenute nel rapporto del governo sono le stesse che sono state avanzate negli ultimi anni: da una parte il sistema nazionale di valutazione, che ruota attorno agli assurdi test dell’Invalsi, e dall’altra l’arbitrarietà dei dirigenti e della loro cerchia che andrà a costituire il nucleo di valutazione, con l’apporto dei privati che investono nella scuola.

Se questo provvedimento dovesse vedere la luce, come è probabile visto che, a differenza delle stabilizzazioni, non ha costi per lo Stato (anzi, è probabile che si realizzino risparmi rispetto al sistema degli scatti di anzianità), la funzione docente come l’abbiamo conosciuta finora ne risulterà stravolta. Altro che incentivo alla formazione e all’aggiornamento! Non è difficile prevedere la corsa ad accumulare punti di valutazione attraverso il mercato dei master privati, ad impegnarsi in progetti e progettini di gradimento del dirigente anziché nella didattica per gli studenti, ad orientare la didattica alla performance nei quiz Invalsi… La già difficile collaborazione tra docenti di materie diverse per una didattica interdisciplinare sarebbe minata dalla concorrenza interindividuale per rientrare nei due terzi di docenti graziati dallo scatto di merito triennale.

2 La scuola dell’autonomia al servizio del profitto privato

La retorica della meritocrazia è il pilastro su cui si fonda anche il secondo blocco di proposte del governo Renzi che va sotto il titolo della valorizzazione dell’autonomia delle scuole. In concreto il governo Renzi propone di dare ancora maggiore potere ai dirigenti delle singole scuole nel decidere addirittura sui docenti da utilizzare nella didattica sulla base di un registro nazionale dei docenti che riporti i curriculum formativi di ciascuno (proposta n. 6), di aumentarne la discrezionalità attraverso l’abolizione di una serie di “procedure burocratiche” (proposta n. 7).

Gli organi collegiali verrebbero stravolti, come era già intenzione dei governi precedenti che hanno sostenuto la proposta di legge Aprea, respinta dai movimenti della scuola in particolare nell’autunno 2012. Gli organi di gestione effettiva della scuola saranno il dirigente, il nucleo di valutazione e il consiglio dell’Istituzione scolastica, mentre al collegio (consiglio) dei docenti rimarrebbe la sola competenza della programmazione didattica. Nessuna menzione è fatta del consiglio di classe e dell’assemblea degli studenti, previsti dall’attuale normativa.

Il governo Renzi intende intervenire anche sui programmi delle scuole, valorizzando da una parte la musica, la storia dell’arte (niente da eccepire) e l’educazione fisica (non ci eravamo resi conto dell’enorme problema dell’obesità infantile… proposta n. 9), dall’altro riproponendo sotto altri nomi le tre “i” di berlusconiana memoria: inglese, informatica (coding) e imprese (economia, proposta n. 10). Si dice di voler valorizzare le attività di laboratorio, dimenticando che la recente riforma delle superiori avanzata dalla Gelmini ha compresso le ore di laboratorio, di storia dell’arte finanche nei licei artistici, il diritto e l’economia. Perché non partire proprio dall’abrogazione di quella riforma e dalla restituzione delle ore tolte specialmente alle scuole tecniche e professionali? Per i tecnici e professionali invece c’è in serbo la proposta dell’alternanza obbligatoria tra scuola e lavoro negli ultimi tre anni del percorso scolastico (proposta n. 11), ovviamente attraverso stage non retribuiti e senza alcuna garanzia di assunzione al termine, grazie anche al Jobs Act di cui lo stesso governo Renzi è promotore.

Le imprese ringraziano per questo regalo ulteriore, d’altronde queste saranno direttamente coinvolte nella gestione del sistema di istruzione pubblico, attraverso i piani di digitalizzazione delle scuole (proposta n. 8), al finanziamento diretto con incentivi fiscali e all’utilizzo delle strutture negli orari pomeridiani (proposta n. 12). Senza contare che la valorizzazione dell’autonomia fino al parossismo di poter diversificare gli indirizzi culturali di ciascuna scuola (questo il senso della possibilità dei presidi di potersi scegliere l’organico), apre alla diversificazione delle scuole in base alle esigenze delle imprese che le finanzieranno, alla competizione tra scuole per attrarre i finanziamenti privati e gli alunni provenienti da famiglie più facoltose, in spregio ad una istruzione di qualità per tutte e tutti.

In conclusione, il progetto del governo Renzi è un progetto di ampia portata di liberalizzazione del sistema di istruzione per adattarlo alle esigenze del mercato capitalistico, un attacco senza precedenti ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola ma anche agli studenti e alle studentesse, reso ancora più insidioso dalle promesse di stabilizzazione dei precari e di reinvestimento nell’istruzione, che sono tutte da verificare alla prova dei fatti e che cozzano con le politiche di austerità che il governo continua a perseguire in Italia e in Europa.

Il governo ha aperto con questo rapporto una consultazione di due mesi nella scuola e nella società. Come è già stato fatto su altri temi, questa consultazione sarà finta, si millanteranno migliaia di email e tweet ricevuti a sostegno delle proposte del presidente del consiglio. Il dissenso delle persone in carne ed ossa dovrà esprimersi visibilmente nelle scuole e nelle piazze in questo autunno. Occorre mobilitarsi, a partire dalle assemblee previste in questi giorni (a Roma il 15 settembre), nei collegi e nelle assemblee scuola per scuola, e convergere con uno sciopero unitario dei sindacati della scuola sulla data di mobilitazione nazionale lanciata dagli studenti per il prossimo 10 ottobre.

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La partecipazione democratica nel sistema formativo

Antonia Sani *
www.womenews.net

Vorrei partire-per definire la partecipazione democratica nel sistema formativo- da una premessa e da una considerazione. La premessa riguarda il nesso inscindibile tra l’idea di scuola e l’idea di società che rappresenta l’orizzonte comune di ogni azione politica.

Non può esservi partecipazione democratica all’interno delle scuole se non ci si sente portatori , difensori , promotori e promotrici di diritti e principi che formano la sostanza stessa di una democrazia fondata sulla giustizia sociale ed economica.

L’indifferenza che spesso rileviamo tra colleghi e colleghe, tra studenti e genitori non appena si abbandona l’ambito delle difese “corporative”, è la testimonianza evidente di una diffusa assenza di speranze e di prospettive per una trasformazione della società in cui viviamo.

Risalire questa complessa deriva su cui si attardano infinite analisi, deriva che è insieme causa ed effetto della classe politica che ci governa e dell’ informazione telematica che ci domina, è il nostro difficile impegno di oggi….

Ci furono anni (gli anni ’70) in cui quel nesso inscindibile si manifestò come partecipazione democratica nelle liste di diversa ispirazione per le prime elezioni degli Organi Collegiali della scuola. La battaglia politica, allora molto accesa nelle scuole, rappresentava diverse concezioni del potere, della società e quindi della scuola, vissute dal basso.

Per le liste che allora si autodefinivano “democratiche e antifasciste” la Scuola della Costituzione sarebbe stata il luogo dove si sarebbe realizzato quel patrimonio di valori rivendicato in anni di lotte sociali. Un patrimonio di valori e di principi sedimentato da decenni, soprattutto patrimonio di tutta la sinistra.

La scuola statale fu in quegli anni un’autentica palestra in cui l’iniziativa sostenuta da validi punti di riferimento alimentò e produsse nuova partecipazione. Irresistibile e dirompente- nonostante l’impegno attivo di chi quegli ideali contrastava- fu l’ adesione di gran parte della popolazione scolastica alla difesa quotidiana di valori come uguaglianza, rispetto dei diritti di tutte le componenti, memoria storica della Resistenza, libertà d’insegnamento, laicità, pluralismo, accoglienza delle diversità….). Quel patrimonio si è confermato vincente, proprio grazie a quelle battaglie, e si è arricchito, nonostante gli attacchi subiti nell’ultimo ventennio.

Esso fa oggi parte dell’idea di “scuola pubblica statale”.

Allora, perché non pensare di compiere -qui e ora- il cammino inverso rispetto agli anni ’70?

Perché, da parte di chi difende nel sistema scolastico i diritti e i principi costituzionali non potrebbe essere possibile trasferire la lotta per la loro difesa e affermazione sul terreno nazionale ed europeo coinvolgendo il mondo della scuola, sfidandone l’omologazione al modello maggioritario, intrecciandolo ai movimenti che per quegli stessi principi lottano in Italia e in Europa, ricreando così quel nesso inscindibile tra scuola e società per l’attuazione di un’autentica democrazia ?

Una successiva considerazione riguarda il tema balzato prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni: la questione dei beni comuni.

E’ la scuola un “bene comune”? L’interrogativo è d’obbligo poiché si tratta di un quesito alquanto controverso.

Due brevi riflessioni sulla natura dei Beni Comuni, oggetto di studi e definizioni scientifiche, (su cui varrebbe la pena riservare un seminario di approfondimento) ci aiuteranno a delineare il rapporto scuola/beni comuni.

I beni comuni- definizione suggestiva e quanto mai attraente -si riferiscono a quei diritti universali il cui esercizio nelle comunità deve essere garantito a tutt* . La nostra Costituzione (Art.43) autorizza l’affidamento, o il trasferimento tramite esproprio (dietro indennizzo) di imprese relative a “servizi di pubblica utilità,” allo Stato, a enti pubblici, o a comunità di lavoratori e di utenti…. ….

Marx li definiva beni d’uso nella prospettiva di preservarli da qualsiasi tipo di proprietà- privata o pubblica- per la fruizione delle future generazioni…

Un’ulteriore riflessione riguarda la distinzione tra le categorie dei beni comuni, che richiedono approcci diversi. Beni comuni materiali (acqua, terra, cibo, fonti energetiche,casa, paesaggio,..) e immateriali (salute,conoscenza,..),presentano infatti analoghi caratteri di universalità e di non deterioramento nel loro uso, ma mentre i primi non possono che essere sottoposti nella loro gestione a regole condivise improntate alla solidarietà, i secondi- pur nella garanzia universale della loro fruizione, nel loro uso sono guidati dalla “libera scelta individuale”.

E’ questo il caso della Conoscenza, bene comune dell’umanità, insieme aspirazione libera di ogni individuo verso forme autonome e collettive di “cultura”, ma anche fattore imprescindibile per il progresso delle società, tanto che gli Stati moderni l’hanno ancorata all’obbligo di istruzione, nel rispetto delle libere scelte educative. E’ dunque la conoscenza il “bene comune” di riferimento relativo all’acquisizione di quella “consapevolezza” che soladetiene la chiave per accedere al bagaglio di quel complesso di pratiche e conoscenze che definiamo “cultura”.

Ma perché è – invece- la Scuola ad essere così frequentemente assimilata ai “beni comuni”?

Si potrebbe rispondere: perché anche la scuola pubblica è minacciata dall’avanzata inesorabile della Privatizzazione di beni pubblici da parte del mercato e di potentati che decidono del loro assetto sulla base di tornaconti economici, del privilegio di pochi, con la sottrazione della loro fruizione o accesso a una grande parte dell’umanità….

Tuttavia, diversi sono gli obiettivi di una pur comune battaglia contro le privatizzazioni di beni comuni e diversi i percorsi di lotta. Il cammino specifico per il sistema formativo è tracciato dall’Art.33 della Costituzione nell’atto in cui la Repubblica “istituisce scuole statali per tutti gli ordini e i gradi”, il cui obiettivo è l’attuazione della società prefigurata negli Artt.2,3,4…della Costituzione.

La scuola non è un servizio pubblico, è un’istituzione della Repubblica, come lo è la Magistratura, è per definizione rivolta a tutti e a tutte; è amministrata da organi della Pubblica Amministrazione e da organi elettivi di autogoverno definiti per legge di cui fanno parte tutte le componenti scolastiche. Equiparare la sua natura a quella auspicata per beni e servizi di interesse pubblico (gestione da parte di cooperative di utenti…gestione mista..) significherebbe –per assurdo!- intrecciarla a forme di privatizzazione che in questo momento giocherebbero a favore del piano scuola Renzi-Giannini in cui pubblico e privato come espressione “del territorio” – e frutto della Legge 62/2000- darebbero luogo a un prolungamento inedito dell’orario e delle prestazioni del personale scolastico con la perdita della funzione specifica della scuola dello Stato.

Recita l’Art 33 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. E’ qui proclamata la libertà della conoscenza da qualsiasi forma di condizionamento. Su quest’affermazione si fonda la libertà riconosciuta a Enti e Privati di “istituire” scuole e istituti di educazione (interessante sarebbe un seminario sugli Atti dell’acceso dibattito nell’Assemblea Costituente conclusosi negli ultimi giorni di aprile del ’47 con la formulazione dell’Art.33). Ma l’Art. 33 separa nettamente il sistema scolastico dello Stato, cui è attribuita la funzione formativa delle giovani generazioni, dal diritto di Enti e Privati di istituire scuole e istituti di educazione (corrispondenti a progetti educativi specifici, ma nel rispetto di quanto affermato nell’Art.33 -La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione).

Ci troviamo di fronte a due diverse idee di scuola: l’una, la scuola dello Stato, la scuola della Costituzione, l’altra la scuola intesa nell’interesse di committenti di diverse tendenze. La conoscenza-bene comune passa per entrambe, poiché è la “libera scelta individuale” l’elemento determinante per avvicinarsi alla complessità di questo bene. Entrambe hanno diritto di esistere, ma la scuola privata “senza oneri per lo Stato”, come recita l’Art.33.

Cadrebbe ( e cade!) in contraddizione con se stessa la Repubblica quando nelle sue varie articolazioni finanzia o firma convenzioni con enti, cooperative, scuole confessionali che per la loro stessa natura rifiutano il pluralismo dell’offerta formativa. Per questo motivo noi continuiamo a denunciare la legge 62/2000 che ha violato la distinzione costituzionale ponendo in un unico sistema nazionale la scuola statale e le scuole private aprendo così un grave varco alla privatizzazione del sistema formativo e rendendo il finanziamento pubblico – e-all’inverso- privato- a entrambe le tipologie di scuola sempre più facile da accettarsi…. E in Europa gli esempi cui uniformarsi non mancano, come recentemente ricordato dalla ministra Giannini (Convegno di Treelle a Roma del 25 giugno scorso).

Diceva Piero Calamandrei che solo con la qualità la scuola dello Stato può battere le scuole private . E “qualità” è in primo luogo libertà di apprendimento di alunni e alunne che non sono “ proprietà esclusiva dei genitori”-costretti a subire le scelte educative della famiglia nell’interpretazione forzata che viene comunemente fatta dell’Art.29-, libertà di insegnamento dei docenti, rispetto dei diritti di tutti coloro che nella scuola operano…

Allora, questo è il patrimonio di cui insegnanti, genitori, alunni e alunne, ma anche personale non docente della scuola dello Stato devono pretendere l’attuazione nella quotidianità, battersi, mobilitarsi perché ciò avvenga. Ciò significa battersi contro tutto ciò che distrugge questi principi ( prove Invalsi, trasformazione degli Organi Collegiali in Consigli di Amministrazione- pdl Aprea- forme discriminanti di valutazione, gerarchizzazione impropria del personale docente, la collocazione dell’IRC all’interno dell’orario obbligatorio….)

E’ questo un primo aspetto che connota la partecipazione democratica nel sistema formativo, che presuppone prima di tutto consapevolezza di ciò che l’istituzione scolastica rappresenta e garantisce.

Quindi il “bene comune” della conoscenza non può essere calato indifferentemente in una generica scuola –bene comune, che cancelli la distinzione costituzionale, ma neppure in una scuola che escluda il diritto costituzionale di Enti e privati ad accedere alla conoscenza nel rispetto della libertà di scelta, beninteso “senza oneri per lo Stato”.

Nostro obiettivo deve essere rendere sempre più attrattiva la conquista della conoscenza nel percorso formativo della Scuola della Costituzione.

Sostenere il rilancio della LIP (Legge di Iniziativa Popolare per una buona scuola della Repubblica sottoscritta da 100.000 cittadini) e diffonderne la conoscenza dei punti qualificanti può divenire un impegno prioritario per allargare la partecipazione democratica nella scuola.

Qui entra in ballo il ruolo del MIUR, rappresentante e garante dell’unitarietà del sistema formativo statale e delle pari opportunità su tutto il territorio nazionale (garante anche della validità dei titoli di studio conseguiti nelle scuole private), la cui natura burocratico-amministrativa in contrasto con le prerogative della democrazia scolastica (Legge 477/ 1973) è a tutt’oggi in attesa di essere ridefinita.

Ci riferiamo agli Organi Collegiali della Scuola, primo passo per la realizzazione dell’autonomia funzionale del sistema formativo.

La partecipazione democratica ha di fronte- a questo proposito- due versanti: il primo: pretendere il rispetto della normativa vigente in tutte le sue pieghe. Questo presuppone una partecipazione “informata” da parte di tutte le componenti del singolo istituto scolastico. Ciò che raramente avviene… La distinzione tra criteri e proposte, la distinzione tra i ruoli delle varie componenti, i diritti da rivendicare nel rispetto delle norme, sono terreni spesso sconosciuti a eletti e elette negli Organi Collegiali …sono terreni spesso sconosciuti.

I dibattiti nelle assemblee di studenti e genitori sono importanti per il confronto che possono provocare su temi cruciali, per le proposte che possono far emergere, per la consapevolezza che possono determinare, ma non possono sovvertire la normativa vigente (cfr. le modifiche apportate dai decreti sull’autonomia scolastica e sulla valorizzazione del ruolo del ds devono avvenire “nel rispetto delle competenze degli Organi Collegiali”, come disposto nel T.U. Questo deve essere il baluardo in ogni scuola contro il fantasma della pdl Aprea….)

Un esempio. Abbiamo assistito nei mesi scorsi all’ invadenza di genitori nella programmazione didattica degli istituti, i quali –forti della loro rivendicata libertà di scelta educativa- hanno posto veti all’introduzione dell’Educazione Sessuale senza il consenso dei singoli genitori.

Si tratta ovviamente di un terreno minato in cui le sensibilità, le culture familiari, le diverse appartenenze religiose giocano un ruolo spesso determinante, ma …nessun diritto di veto spetta al singolo genitore nella scuola statale (cfr. sent.Corte di Cassazione n. 2656/2008 ) dove è riconosciuto responsabile dell’azione didattica il Collegio dei Docenti, sulla base del principio della libertà di insegnamento e del pluralismo culturale, fondamenti della Scuola dello Stato).

E’ qui evidente la distinzione tra scuola dello Stato e scuole private, nelle quali il progetto educativo si uniforma ai desìderata dei genitori. La partecipazione democratica nel sistema formativo deve tener conto di questa distinzione e essere in grado di difenderla con le debite motivazioni, evitando sterili polemiche.

Il secondo versante dell’azione democratica nel sistema formativo ha un obiettivo ambizioso: il completamento dell’iter della democrazia scolastica. Abbiamo precedentemente rilevato come un adeguamento del ruolo del MIUR in armonia con la legge istitutiva degli Organi Collegiali non abbia mai avuto luogo.

L’ Associazione “Per la Scuola della Repubblica” si è fatta promotrice all’interno del Coordinamento Nazionale “Per la Scuola della Costituzione” di una proposta che completerebbe l’iter democratico degli Organi Collegiali.

La proposta riguarda il CNPI , non più organo consultivo del MIUR formato esclusivamente da docenti, ma organismo democratico, elettivo, con effettivi poteri nei programmi nazionali , che rappresenti al suo interno tutte le componenti della scuola e una rappresentanza della società civile. La recente morte-soppressione dell’attuale CNPI ( e la sua riproposizione-imposta peraltro dal TAR Lazio- nella riforma del Tit.V) costituisce un’imprevista occasione positiva per il rilancio della nostra proposta.!!

Al nuovo CNPI spetterebbe il compito di pronunciarsi sui contenuti fondamentali dell’azione formativa, fondata sul pluralismo culturale, sulla laicità della scuola, sulla memoria antifascista, in sintesi: sull’attuazione dei principi costituzionali.

Gli istituti scolastici statali non sarebbero più costretti a procedere a macchia di leopardo su temi cruciali per la laicità e la democrazia scolastica, ma avrebbero un imprescindibile punto di riferimento , nazionale, democratico, cui attenersi nelle proprie deliberazioni. Questo deve essere l’obiettivo ultimo delle nostre lotte, per un’idea di scuola in grado di contribuire alla formazione critica e autenticamente democratica di coloro che faranno parte della società del futuro.

* Riflessione presentata al seminario di approfondimento -autoconvocati Scuola, tenutosi a Roma, lo scorso 13 luglio 2014