Un cattolico in politica: don Ciotti contro la mafia di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it

Si scrive molto in questi giorni sulle minacce contro Ciotti pronunciate da Totò Riina. Mi pare pienamente condivisibile l’opinione di Simona Mafai che, su www.mezzosecolo.it, scrive: le dichiarazioni “rubate” al capomafia Totò Riina, mi lasciano alquanto perplessa.

Strabiliante sembra, infatti, l’efficienza del sistema che ha consentito, durante una passeggiata nel cortile del carcere di Opera, di eseguire le registrazioni dalle quali tali dichiarazioni sono state ricavate, ma soprattutto costituisce fonte d’indignazione il ritardo con cui sono state divulgate essendo state raccolte del settembre del 2013. Lo stesso don Ciotti ha commentato: Ma nessuno mi ha avvertito… lo trovo singolare, mi sembra anche una mancanza di rispetto per i due poliziotti che mi seguono ogni giorno.

Si conferma che non sono chiari i rapporti fra mafia e politica.

La mafia non è solo un fatto criminale, ma l’effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune, conferma don Ciotti. Non bastano perciò, pur se significative, le testimonianze di solidarietà giunte al fondatore di Libera dalle Istituzioni e da tutto il mondo politico a cominciare da quelle dei Presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera, è necessario intensificare la lotta contro la mafia non limitandosi agli annunci.

Un esempio per tutti. Libera denuncia che l’Agenzia incaricata di dare una destinazione ai beni confiscati alla mafia – la forma di lotta più efficace oltre ai processi, pochi e spesso lenti – è stata bloccata dal febbraio scorso perché il Governo e per esso il ministro dell’interno Angelino Alfano, a cui spetta la vigilanza dell’ente, ha rinviato più volte la designazione del suo direttore fino alla nomina del prefetto Postiglione; manca ancora, però, il decreto di nomina degli altri componenti del consiglio direttivo. Nel fare gli auguri al nuovo Presidente la Commissione antimafia del Parlamento ha denunciato che la stessa Agenzia ha bisogno di una profonda riforma della struttura, perché solo il 5% dei beni confiscati viene riassegnato e ciò dipende in parte dalla sua inefficienza.

Il caso Ciotti, però, offre anche l’occasione per andare oltre queste non nuove considerazioni sul rapporto mafia, politica, società. Se ne possono aggiungere altre sul rapporto Chiesa e mafia, rievocando la scomunica lanciata da papa Francesco e la sospensione delle processioni in Calabria per evitare “inchini” alle case dei mafiosi, ma si può anche riflettere più in generale, alla luce delle parole di don Ciotti, sul rapporto cattolici/politica. Per me l’impegno contro la mafia è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie, delle violenze, al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi.

Alla stessa fedeltà hanno dichiarato e dichiarano d’ispirarsi quei cattolici che hanno fondato partiti confessionali o preteso di opporsi alla promozione legislativa di diritti civili.

Radicale è la differenza. Ciotti e con lui i cattolici presenti in Libera non traggono dal Vangelo inesistenti radici di “Programmi” politici di Partito, ma solo forza per impegnarsi a realizzare una società più egualitaria e fondata sulla giustizia secondo principi da tutti condivisi.

Si tratta, non c’è dubbio, di una differenza significativa in un Paese in cui la presenza dei cattolici in politica ne ha condizionato, e continua a condizionarne, la normale dialettica. Si può estendere la distinzione fra l’impegno di don Alex Zanotelli nei movimenti per la difesa dell’acqua pubblica, delle Comunità cristiane di base nella lotta contro il regime concordatario, dei tanti Gruppi aderenti al Movimento per la pace, dalle ormai stravaganti sigle, che si contendono l’eredità sperperata della Democrazia cristiana, e da quegli intellettuali che cercano di rinverdire la tradizione del “cattolicesimo democratico”.

Altrettanto sono estranei alle sollecitazioni di chi rivendica i valori non negoziabili, ridicolizzati anche da papa Francesco, e alle richieste di chi pretende d’ imporre il suo modello di famiglia in nome dell’esclusiva conoscenza della “legge naturale”. Con la rivendicazione del possesso della verità questi cattolici si rendono poco credibili quando affermano di accettare senza riserve il sistema democratico fondato, invece, sulla condivisione del principio che il patrimonio di idee posto a fondamento della convivenza sociale è frutto della convergenza alla pari di concezioni diverse e della mediazione fra opzioni anche discordi.

Nessuno può negare al cattolico-cittadino il diritto di credere nelle sue verità come assolute, ma lui, se come cittadino-cattolico vuole partecipare lealmente alla costruzione del divenire democratico, deve proporle nel dibattito politico come sue opinioni riconoscendole di pari dignità con quelle degli altri cittadini.

Allo stesso modo la Cei, se intende ispirare le sue scelte “politiche” al rapporto fra politica e fedeltà al Vangelo rivendicato da don Ciotti, dovrebbe destinare le energie spese a sostegno dei “valori non negoziabili” a combattere apertamente le mafie e non limitarsi a far sentire la sua voce per educare alla legalità, come recita il comunicato in cui esprime vicinanza e stima per don Ciotti.

Quella voce ha lasciato fin qui indifferenti le mafie che non hanno esitato, invece, a colpire quando è stata levata forte da don Puglisi e da don Diana che l’hanno riempita di azioni e di fatti.